Roma FF18 – After the Fire (Avant que les flammes ne s’éteignent): recensione dell’esordio di Mehdi Friki
La pellicola, in Concorso alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, è un canto di rivolta duro e diretto, non sempre perfettamente calibrato.
Avant que les flammes ne s’éteignent (noto anche come After the Fire) è l’opera prima registica di Mehdi Fikri, giovane cineasta dal grande talento che, con questo film, costruisce un racconto urlato e addolorato, una parabola triste e necessaria che prende forma a Strasburgo, con la storia (di finzione) di una lotta per la giustizia di una sorella e di una famiglia musulmana che combatte per scoprire la verità dietro un terribile omicidio.
Nonostante la perfetta risonanza con altri casi reali e un messaggio di forma compiuta che arriva chiaro e lampante, il lungometraggio non riesce sempre a muoversi correttamente, complice una sceneggiatura che arranca in alcuni passaggi. Avant que les flammes ne s’éteignent, prodotto da Bac Films, France 3 Cinéma e Topshot Films, è in concorso, nella sezione Progressive Cinema, della Festa del Cinema di Roma 2023.
Il fuoco della rivolta che non si spegne
Avant que les flammes ne s’éteignent si apre con delle immagini che appartengono al passato: fratelli e sorelle si promettono amore eterno, unendo il loro sangue con alcuni tagli sul polso. È l’accensione di un legame rappresentato dall’immagine di un fuoco ardente che però, molti anni dopo, diventa un incendio di rivolta. Malika (interpretata da Camélia Jordana) vede il fratello più giovane, Karim, morire in ospedale dopo un controllo della Polizia. Quest’ultima sostiene che il ragazzo è stato vittima di un attacco epilettico dopo aver assunto droga, ma i lividi parlano chiaro: la Polizia stessa è la colpevole di questo efferato omicidio e cerca in tutti i modi di nasconderlo all’opinione pubblica. Una storia totalmente di finzione che però ricorda, come sottolineano i titoli di testa, tanti casi che hanno insanguinato la cronaca mondiale.
Per noi italiani immediata è l’associazione con il caso di Stefano Cucchi, ragazzo di 31 anni morto, nel 2009, mentre era in custodia cautelare dai Carabinieri. Anche in quel caso il decesso del giovane fu attribuito all’epilessia, quando le percosse sul cadavere martoriato di Stefano non hanno mai avuto bisogno di spiegazioni. Ancora: il 25 maggio 2020, nella città di Minneapolis, in Minnesota, scompare George Floyd, afroamericano picchiato fino alla morte da quattro agenti della Polizia. Sono davvero innumerevoli gli esempi che si sono susseguiti nel corso degli anni e Avant que les flammes ne s’éteignent li incarna un po’ tutti con un doppio intento: il primo fortemente critico nei confronti di un sistema legale (in questo caso francese) pieno di falle; il secondo, di stampo documentaristico, che cerca di ripercorrere tutti passaggi, già visti, in queste situazioni analoghe.
Per quanto concerne l’aspetto critico, non v’è dubbio che la pellicola ce la mette tutta per alimentare una riflessione giusta e sacrosanta che sviscera tutti i punti deboli della giustizia, non in grado, tra l’altro, di prendersi la responsabilità di un atto simile cercando in tutti i modi di mistificare la realtà. Ecco, tutta la sezione di denuncia del lungometraggio è veicolata da una regia molto attenta a comunicare i dettagli giusti, senza nessun tipo di fraintendimento, concentrandosi nello specifico sulle emozioni e il dolore di chi resta, che, dopo un rifiuto iniziale, accende quel fuoco di verità di cui vi abbiamo già parlato. Per facilitare la connessione con i personaggi, la macchina da presa non solo caratterizza in modo differente tutti i membri della famiglia, ma dà molto peso alle ambientazioni.
I luoghi di Avant que les flammes ne s’éteignent sono quindi un mezzo d’espressione potentissimo per comunicare il dissenso, con gli spazi che, mano a mano che si sviluppa la trama, diventano sempre più angusti e meno accoglienti. Rappresentativa in tal senso è la ripresa dall’alto (probabilmente tramite un drone) delle lotte armate che infiammano il quartiere dopo la morte di Karim, unico spiraglio di libertà che viene sempre meno quando poi la camera si addentra nelle case dei protagonisti, specialmente quando è in corso la veglia funebre. Quando invece la famiglia comunica all’esterno, ai giornalisti, il punto di fuga sembra allargarsi, trasmettendo un’apertura che non diventa solo fisica, ma anche interiore: finalmente si può esprimere il proprio dolore a tutti, con la speranza di mandare avanti il caso in tribunale.
After the Fire (Avant que les flammes ne s’éteignent): la sospensione della narrazione
Parlando invece dell’intento documentaristico del film, in questo frangente la narrazione fa leva sui classici cliché dei legal drama, dall’avvocato ricco e talentuoso che accetta il caso all’ultimo fino ad arrivare ai sacrifici che effettivamente la famiglia è costretta a sostenere in presenza di uno scontro giuridico così tanto impattante sia sul piano economico che psicologico. Ecco, proprio tale sezione dell’opera è probabilmente la meno riuscita perché non solo non sembra proporre niente di particolarmente originale, ma anche perché la scrittura sembra sospesa e meno efficace, specialmente nel momento in cui il finale sospende improvvisamente la diatriba legale, suggerendo solo di sfuggita come potrebbe finire la vicenda.
Ad ogni modo il copione risulta comunque interessante nell’istante in cui ci si rende conto che la parte critica è scritta con forza e risolutezza, senza mezzi termini, andando quindi dritta al punto: è proprio in quel momento che le fiamme che divampano nel quartiere si fanno voce ed espressione più nitida che passa attraverso la sceneggiatura. Lo vediamo dall’intensità delle parole rivolte alla stampa, dagli scambi accesi con l’avvocato, fino ad arrivare alle discussioni familiari che brillano di un’ardente passione, di un riscatto tanto bramato, di una giustizia che forse non è poi così tanto lontana dall’essere raggiunta.
Ecco che quindi, in un connubio non sempre molto bilanciato tra regia e sceneggiatura, emerge una voce popolare sentita e solida che sembra accomunare il cinema francese degli ultimi anni, in perfetta coerenza con gli squilibri politici che sta affrontando il paese. Il cinema francese è sempre più un grido forte di ribellione, un potente spirito sovversivo per certi versi insito in questo popolo che ha tanti anni di storia rivoluzionaria alle spalle, dimostrando tanto coraggio e forza. Anche Avant que les flammes ne s’éteignent si aggiunge a questa inchiesta cinematografica, purtroppo non innovando più di tanto, ma comunque mettendo in evidenza, ancora una volta, l’urgenza del messaggio.
In ultima istanza è opportuno inoltre elogiare, senza ombra di dubbio, il grande lavoro interpretativo del cast, con una nota di merito in particolare nei confronti di Camélia Jordana che incarna Marika, il personaggio più importante perché portavoce della storia narrata, con gli spettatori che vivono il racconto dal suo punto di vista. Abbandonando ogni sovrastruttura, l’attrice ha abbracciato il progetto con tutta sé stessa, costruendo una giovane espressiva, caparbia e, soprattutto, fragile. Una fragilità che è riportata con tanta attenzione e rispetto da parte della star, nonostante siamo di fronte ad una figura di finzione.
After the Fire (Avant que les flammes ne s’éteignent): valutazione e conclusione
Una regia ordinaria che però dà tanto peso alle ambientazioni e alla psicologia dei personaggi; una sceneggiatura non sempre centrata che sembra sospesa nel raccontare la parte di legal drama della storia; una fotografia cupa e opprimente, coperta di lutto che talvolta si accende del fuoco delle proteste; una recitazione di grande livello attoriale con Camélia Jordana che si prende tutta la scena; un sonoro che si alza e si abbassa a seconda del tono del momento; in generale una voce di rivalsa diffusa che, nonostante qualche inciampo, arriva al pubblico. In conclusione una pellicola non sempre precisa nella narrazione che però arde di un messaggio esplicito e urgente.