Roma FF18 – Firebrand: recensione del film di Karim Aïnouz

Il film, presentato nella sezione Best of 2023 della Festa del Cinema di Roma, è un brutale thriller religioso che rimane sospeso con pochi connotati geografici e storici.

Firebrand è il nuovo lungometraggio diretto da Karim Aïnouz (La vita invisibile di Euridice Gusmao, Praia do Futuro) ispirato al romanzo La mossa della regina di Elizabeth Fremantle che indaga la vita della sesta e ultima moglie di Enrico VIII (Jude Law) ovvero Catherine Parr (Alicia Vikander), una figura di un’importanza notevole che combatté con tutte le sue forze per la sua emancipazione, essendo tra l’altro vicina ad una visione protestante dell’Anglicanesimo.

Firebrand - Cinematographe

Al centro del film, un duetto violento e terribile tra il sovrano d’Inghilterra e la Regina dai contorni crepuscolari, che, nonostante l’ottima ricostruzione scenica, mina completamente ogni riferimento storico perdendo parte della sua potenza. Firebrand, prodotto da Brouhaha Entertainment, Magnolia Mae Films, è stato presentato dapprima a maggio 2023 in concorso al Festival di Cannes per poi essere proiettato, nella sezione Best of 2023, della 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Firebrand: una danza di anime e sangue

Firebrand 2 - Cinematographe

Firebrand si apre con una voce fuori campo femminile che brevemente introduce la vicenda: siamo tra il luglio e il settembre del 1544, quando la sesta e ultima moglie del sovrano inglese Enrico VIII, Catherine Parr diventa Reggente della corona per un breve periodo, mentre suo marito combatte in Francia. Nei primi minuti del film abbiamo l’occasione di capire come mai la donna è così osteggiata dalla corte: Catherine, infatti, è vicina ad ambienti protestanti, non vedendo di buon occhio il soffocante e limitante Anglicanesimo che escludeva dalla vita religiosa i ceti meno abbienti per un fattore linguistico. Quando torna il Re, per quanto abbia a cuore la consorte più delle altre (che, ricordiamo, in due casi sono state decapitate, in altri due casi allontanate con 1 solo caso di morte naturale) inizia a sospettare il suo anelito di libertà religiosa, ma anche sociale ed è così che comincia una battaglia.

Nel lungometraggio, in modo del tutto insolito, le uniche guerre che vediamo solo quelle psicologiche (ma anche fisiche) tra i due protagonisti, con i conflitti esterni alla Corona che diventano solo una voce, un frammento che non fa per nulla parte del tema centrale della pellicola. Lo scopo di Aïnouz, infatti, riprendendo il romanzo della Fremantle, è quello di costruire un thriller storico di stampo religioso dove il nucleo fondante è proprio il conflitto tra Re e Regina, appartenenti a due mondi diversi nonostante siano entrambi nobili. Se Enrico VIII è un brutale e opprimente regnante che rimane ancorato ad un conservatorismo imperante e dittatoriale, Catherine invece è una donna moderna che utilizza la cultura come arma di emancipazione, non avendo problemi a manifestare le proprie idee religiose.

Il risultato è una sfida tremenda e ardita tra due figure carismatiche dove è preponderante la carne, lo spirito e la danza. Il fattore fisico, espresso, tra le altre cose, dalla cruda malattia debilitante del sovrano, è rappresentativa di una tangibilità forte che sfocia in un realismo macabro. Lo spirito (nella fattispecie la religione), al contrario, è il tema portante dell’opera che trascende ogni cosa, mentre il ballo e il canto sembrano dettare legge in modo misterioso e soverchiante. Diverse sequenze musicali, in tal senso, sono particolarmente evocative perché tracciano inesorabilmente il tono del film.

In tutto questo imponente teatro registico, fortemente concreto ed esplicativo, le atmosfere giocano un ruolo di vitale importanza: le ambientazioni, prevalentemente irradiate da un filtro fotografico pesante e corpuscolare, sono cupe e angosciose quasi portatrici silenti del dramma che si sta consumando a corte. In certi passaggi il background sembra quasi irrealistico, dominato da una nebbia fitta che sembra ad andare ad anticipare un disastro o una morte imminente. In altre parole, giocando tra realtà e suggestione, tutto il contorno della storia fa da contraltare al conflitto centrale tra Enrico e Catherine, quasi fosse un’emanazione dell’importante scontro sociale e religioso.

Firebrand: al di fuori della storia

Jude Law - Cinematographe

Ecco, proprio a proposito dei due protagonisti, Firebrand non sarebbe lo stesso senza le straordinarie interpretazioni di Jude Law e Alicia Vikander, che dominano la scena in modo coinvolgente e acceso. Nel caso di Law, l’attore è assoluto padrone del ruolo che riesce a rimodulare e dominare con naturalezza nonostante la caratterizzazione bestiale ed animalesca di Enrico VIII. Di contro la Vikander, invece, persegue un equilibrio armonico tra risolutezza e fragilità, restituendo un volto empatico e umano alla sua Catherine. Chiaramente tutto il contrario del divo protagonista che, con la sua interpretazione, fa di tutto per tenere distanti gli spettatori trasformandosi in un mostro di spietata ferocia. Grazie a queste due brillanti performance, quindi, il conflitto espresso in regia e sceneggiatura prende finalmente la sua forma definitiva.

Per quanto concerne la sceneggiatura, invece, c’è un importante distinguo da fare. Parlando della caratterizzazione, psicologica e fisica, dei personaggi nulla da dire in merito: è stato fatto un grande lavoro di scrittura, con echi teatrali di stampo shakesperiano che risuonano forti nei dettagli. Anche i dialoghi sono ben calibrati, carichi di una tensione verbale elevatissima e ciò emerge nei vari scontri tra Re e Regina dove spesso a dominare sono le battute pungenti, le offese incondizionate, le volgarità, gli insulti e le sottigliezze. Ecco, da questo punto di vista, il copione alimenta ancora di più, a livello di ritmo, l’inquietudine e il turbamento come si confà ad un thriller di spessore.

Purtroppo, però, a mancare, a sul piano narrativo, è il contesto storico, anche se non si comprende bene se ciò rientra in una scelta precisa dell’autore. Per quanto c’è sicuramente qualche aggancio all’epoca di riferimento, infatti, lo script elimina quasi del tutto la dimensione geografica e politica, quasi costruendo un racconto che al di fuori dei confini della storia conosciuta. Una direzione audace che però potrebbe implicare, sottilmente, che il conflitto tra i sovrani che vediamo in Firebrand non ha connotazioni specifiche perché diventa universale nel momento in cui si tirano ballo temi attuali come l’emancipazione femminile, il maschilismo tossico, la libertà religiosa e molti altri elementi che si collegano alla modernità.

In ultima istanza, tra l’altro, c’è un’altra sottigliezza narrativa che va a rovinare, in parte, l’esperienza affascinante ed ipnotica del lungometraggio. Ci stiamo riferendo, in particolare, alla voce narrante che apre e chiude la pellicola, un’aggiunta che sembra posticcia, artificiale, che va a rompere la straordinaria magia realistica e drammatica che vediamo all’interno dell’opera. A rafforzare tale estraniamento ed alienazione, inoltre, c’è anche una scelta registica incomprensibile ovvero lo sguardo in camera finale della Principessa Elisabetta (Junia Rees), quasi a voler ribadire la chiara destinazione del film ad un pubblico moderno che però era stata già esplicata prima senza dover necessitare per forza di questa soluzione aggiuntiva.

Firebrand: valutazione e conclusione

Firebrand 3 - Cinematogrpahe

Una regia fortemente concreta e realistica; una sceneggiatura sottile che però elimina del tutto il contesto storico; una fotografia macabra e surreale estensione del conflitto tra i protagonisti; una recitazione coinvolgente di Jude Law e Alicia Vikander; un sonoro che tesse il tono delle scene; un continua conflittualità che alimenta la tensione della pellicola. In conclusione un film molto interessante per come è stato costruito e diretto, al di fuori dei canoni classici di questo genere, ma troppo evanescente rispetto ai fatti narrati.

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Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.6