Roma FF18 – The Performance: recensione del film di Shira Piven

Il lungometraggio, presentato alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, rappresenta uno sguardo inedito al nazismo, che però presenta qualche cortocircuito narrativo.

The Performance è il film diretto da Shira Piven (One Mississippi, Room 104) con la sceneggiatura della stessa Piven e di Josh Salzberg (Blood Equity, Walking Man) con il copione che trae ispirazione dall’omonimo racconto di Arthur Miller. Il film è un interessante spaccato degli anni precedenti la seconda guerra mondiale da una prospettiva alternativa, mostrando la ferocia e la brutalità nazista dagli occhi di un gruppo di artisti.

The Performance - Cinematographe

A funzionare in modo intermittente è la sceneggiatura che non sempre fa centro, specialmente nella parte conclusiva con eventi che si susseguono troppo rapidamente e un finale dal grande valore simbolico ma poco verosimile nella sua costruzione. The Performance, prodotto in particolare da Daniel Finkelman Films, FrameFilm SK e Sparks Go, è stato presentato in anteprima mondiale alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, nella sezione Grand Public.

The Performance: inseguire un sogno fino alla rovina

Jeremy Piven - Cinematographe

The Performance prima di essere un film storico, ambientato precisamente nel 1937 poco prima della seconda guerra mondiale, è una riflessione sui limiti di una passione ardente e trascinante. Fino a che punto puoi essere disposto a perseguire il tuo sogno prima di bruciare? È proprio questo il caso del talentuoso ballerino ebreo americano di tip tap, Harold (Jeremy Piven) che, durante una tournée europea con la sua compagnia viene avvicinato da un misterioso impresario tedesco che vuole assolutamente che il gruppo si esibisca a Berlino. Sì, ma con quale pubblico e a quale costo, umano, al di là dell’incredibile compenso proposto? Nonostante lo spiacevole incontro con tutti i massimi gerarchi e Adolf Hitler stesso, pare che Harold non voglia fermarsi. Si tratta solo di soldi o c’è qualcos’altro dietro? Ecco che quindi quella che sembra una semplice passione si tramuta in una ricerca di riconoscenza.

Ad un costo però elevatissimo e il protagonista non sembra cedere, a differenza dei suoi amici. Ecco che quindi lo sfondo pre-bellico rappresenta un perfetta opportunità, non solo per raccontare una storia tematicamente trascinante e impattante, ma anche per mostrare al pubblico un’alternativa ai soliti film storici a tema nazismo che oramai hanno saturato eccessivamente il mercato dell’audiovisivo. Stavolta il punto di vista rappresentato non è quello dei carnefici e nemmeno delle vittime, ma di un gruppo di artisti, per così dire “neutrali”, in quanto americani, che comunque rischiano la pelle e sta a loro decidere il proprio destino che non è stato scelto per loro ma ricade interamente nelle loro mani.

La ricostruzione storica di The Performer, in tal senso, fa il suo dovere sfruttando pochi e semplici espedienti per rendere funzionale il contesto di riferimento senza però esagerare. Al di là di alcune scene esplicative che servono proprio per evocare il periodo di terrore di cui stiamo parlando, i continui aggiornamenti che il ballerino Benny (Adam Garcia) segue alla radio così come i dialoghi di scambio tra la compagnia e i nazisti sembrano essere quindi sufficienti per dare l’idea, senza dover caricare eccessivamente la scena di dramma e pathos che comunque passa ugualmente. Nel bilanciamento e nella sobrietà, quindi, la sceneggiatura trova un perfetto alleato per realizzare comunque un progetto diverso dal solito.

Detto questo, per garantire comunque una connessione con la realtà di quel tempo senza però sovraccaricare lo schermo, hanno un grande valore le ambientazioni, con una Berlino piena di contraddizioni che è perfetta per rappresentare l’animo inquieto dell’epoca. Parliamo di una città esteticamente superba che, sotto uno strato di magnificenza e splendore, nasconde l’orrore: con un’alternanza tra sfarzo e morte, ricchezza e rigide regole e ancora, cibo e alcool a fiumi che contrastano con gli eccidi in strada, abbiamo un quadro completo della Germania del periodo senza necessitare di ulteriori approfondimenti didascalici che sicuramente avrebbero appesantito la sceneggiatura.

The Performance: accelerare e rielaborare

The Performance 2 - Cinematographe

Detto questo, però, il copione soffre comunque di alcuni problemi di gestione delle tempistiche narrative. Quando ci stiamo avvicinando al finale, infatti, lo script tende ad accelerare eccessivamente gli eventi contrariamente a quanto ha fatto precedentemente, proponendo un modello totalmente diverso. Il risultato è che tutta la parte contenutistica, in questa sezione specifica di The Performance, va un po’ a perdersi a causa di questa velocità improvvisa. Oltretutto, anche la conclusione stessa non è particolarmente riuscita nell’ottica in cui propone qualcosa di assolutamente inverosimile e poco realistico, nonostante abbia un forte valore simbolico dietro. Chiaramente non andiamo nel dettaglio, ma vi basta pensare che la storyline di Harold si chiude in modo agrodolce, coerentemente con il suo personaggio, ma incoerentemente con i fatti accaduti poco prima della conclusione.

Passando invece alla regia, come anche ha sottolineato più volte dalla regista Shira Piven, c’è una scelta molto particolare adottata dalla macchina da presa per rafforzare la connessione con l’epoca storica. Difatti, alle riprese normali, si intervallano anche delle sequenze di repertorio che invece provengono da filmati reali dell’epoca. Proprio queste ultime scene sono state rielaborate, montate e riportate alla luce all’interno della pellicola per donare un senso di continuità rispetto alla messinscena, così da dare l’illusione di vivere una storia realmente accaduta, nonostante si tratta per l’appunto di un adattamento di un racconto.

Al tempo stesso, lo sguardo della cinepresa valorizza al meglio le performance danzanti dei protagonisti, che sono sempre e comunque al centro della scena, anche nelle situazioni più concitate e problematiche. Applicando questo finto estraniamento dalla realtà circostante, si va quindi ad ampliare il concetto che già precedentemente avevamo menzionato ovvero il calarsi in una prospettiva differente dal normale. D’altronde il lungometraggio, come tra l’altro suggerisce il titolo stesso della pellicola, è dedicato principalmente all’esibizione del gruppo di ballerini americani a Berlino che gli ha cambiato la vita, nel bene e nel male.

Chiudiamo, tra l’altro, mettendo in evidenza come il sonoro gioca un ruolo fondamentale all’interno di The Performance che, dà semplice accompagnamento, diventa anche espressione pura e diretta delle emozioni dei personaggi. Si possono notare, nel film, oltre a diversi brani dell’epoca che guidano la storia e le esibizioni dei ballerini americani, diversi passaggi in cui la musica sparisce improvvisamente, sostituita dal silenzio dei protagonisti. Ciò restituisce un effetto “ovattato” che sembra riprodurre perfettamente l’ansia, la paura e la tensione del gruppo di artisti, specialmente quando si trova in alcune situazioni spiacevoli.

The Performance: valutazione e conclusione

The Performance 3 - Cinematographe

Una regia che pone lo sguardo verso i protagonisti tenendo il contesto storico saggiamente all’esterno; una sceneggiatura valida dal punto di vista tematico che nei passaggi finali diventa troppo brusca; una fotografia che gioca sulle apparenze; una recitazione buona, ma non eccelsa; un sonoro che ha valore di accompagnamento e di estensione delle emozioni dei personaggi; un racconto inedito lontano dai soliti standard. In conclusione una pellicola insolita comunque riuscita che utilizza lo sfondo pre-bellico per ragionare intensamente sul valore delle passioni, non sempre gestendo bene gli eventi.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.7