Roma FF18 – En attendant la nuit: recensione del film di Céline Rouzet
Vampirismo e amore giovane nella provincia francese, tra Badlands di Malick e Bones and All di Guadagnino. Uno dei moltissimi casi di cinema d’autore in assenza d’autore, nei quali ciò che si perde, è la narrazione e ciò che resta, è il vuoto. Presentato alla 22a edizione di Alice nella città e parallelamente alla 18a edizione della Festa del Cinema di Roma
En attendant la nuit, presentato in anteprima all’80ma edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti e in seguito alla 21a edizione di Alice nella Città, rassegna cinematografica collaterale alla 18ma Festa del Cinema di Roma, è l’esordio al cinema di finzione di Céline Rouzet, autrice di A Distant Thud in the Jungle.
Il film della Rouzet, ripercorrendo le tracce narrative del cinema ultimo adolescenziale e vampiresco, colloca in una Francia provinciale piuttosto inedita e rurale, il dramma vissuto dalla famiglia Feral, costretta a spostarsi da un luogo all’altro del globo, senza fermarsi mai, per via dell’anomala condizione del figlio di mezzo, Philemon (Mathias Legoût-Hammond), il quale trascorre la propria esistenza da vampiro tra noia e solitudine, finché l’incontro con la giovane vicina di casa, Camila (Céleste Brunnquell), non cambia le cose, rompendo una volta per tutte quei fragili equilibri familiari ed esistenziali, fino ad allora rigidissimi e proprio per questo, inevitabilmente destinati alla crisi.
I modelli cinematografici cui En attendant la nuit fa riferimento sono piuttosto evidenti fin dalle primissime sequenze, se non addirittura inquadrature. Infatti, si rincorrono tra loro, moltissimi dei cliché appartenenti tanto ai film di formazione, quanto a quelli sui vampiri e/o cannibali, intrecciandosi e confondendosi gli uni, negli altri, rischiando per la medesima ragione, di privare il film della sua essenziale componente orrorifica e ansiogena.
Lo spettatore viene dunque coinvolto in un inizialmente divertito e poi sempre più annoiato quiz cinematografico, che senz’altro risponde ad un vuoto narrativo di enormi dimensioni, ed è un peccato, poiché Céline Rouzet, pur guardando incessantemente al lascito di autori quali Terrence Malick e Luca Guadagnino – suoi principali riferimenti autoriali – sembra perfino possedere interessanti doti registiche, che finiscono però sprecate nel tentativo unico di replicare modelli cinematografici e narrativi già estremamente rodati e celebrati, annullandosi e svanendo nella loro ombra.
Céline Rouzet tra Badlands e Bones and All
Se infatti la tormentata storia d’amore estiva tra Philemon e Camila, dagli echi estetici e narrativi fortemente debitori della più classica fiaba gotica – le sequenze al tramonto e all’alba, con la loro tavolozza di colori freddi, eppure dolcemente malinconici e così anche la luminosità iperrealistica delle sequenze diurne – sembra rimandare a qualcosa di già visto, è proprio il primissimo cinema di Terrence Malick a saltare alla memoria dello spettatore, e con esso l’ultimo Guadagnino.
Pur lontanissimi tra loro, La rabbia giovane (Badlands; 1973) nella sua componente di ribellione on the road, sospesa tra romanticismo ed efferata violenza, pur sempre confinata al fuori campo e al sottotesto, e Bones and All, nel suo farsi riflessione profondamente emotiva sul significato ultimo della solitudine, del sentirsi incompresi, perciò della necessità di incontrarsi e non lasciarsi andare più, nonostante le proprie anomalie e crudeltà, riflettono quelle che sono le istanze narrative di En attendant la nuit.
Il film della Rouzet però, non si limita soltanto a richiamarle, piuttosto a sfruttarle, nell’ingenua speranza che una simile mossa possa convincere lo spettatore della sincerità del suo racconto e questo chiaramente non accade.
Philemon non è un protagonista memorabile, nemmeno un idealmente anonimo adolescente di provincia, piuttosto un volto come tanti, ecco perché la dimensione vampiresca perde fin da subito, o quasi, di spessore e di interesse.
Laddove poi nella svolta romantica ci si sarebbe dovuti aspettare una maggiore complicazione narrativa, causata ancora una volta dall’esistenza di quella violenza che sappiamo essere inevitabile e ben presente nella provincia, perfino in quella idilliaca da vero e proprio non luogo, raggiunta dalla famiglia Feral, che potrebbe collocarsi in qualsiasi tempo e spazio, senza di fatto mutare le logiche del racconto, nulla accade, restando in superfice.
En attendant la nuit: valutazione e conclusione
Cinema d’autore in assenza d’autore, e così di sorprese narrative, Rouzet usa il vampirismo come metafora ovvia di come l’anticonformismo possa corrispondere direttamente alla condizione dell’isolamento, dunque della solitudine, specialmente nell’età dell’adolescenza, e di come la paura dell’“altro” possa portare a una violenza insensata.
Senz’altro interessante, è un peccato però che moltissimo materiale narrativo venga direttamente da un cinema molto più centrato e sincero in merito alla questione, come d’altronde lo è quello di Luca Guadagnino e non soltanto rispetto a Bones and All, piuttosto dalle sue origini.
Un film derivativo, senza capo né coda, che si perde fin da subito tra riferimenti cinematografici e letterari, diretti e al limite dell’emulazione e inspiegabili tentativi d’accesso a generi e sottogeneri che mai realmente sembrano poter aderire compiutamente alla dimensione del racconto.
Non è un disastro, ma quasi.