Roma FF18 – Holiday: recensione del film di Edoardo Gabbriellini
Un racconto di formazione che muta ben presto in thriller psicologico, dall’efficace e sorprendente gestione dei tempi interpretativi e di scrittura nella parte giudiziaria e incessantemente inquietante e angosciante nella sua lucida fotografia di un crudo realismo, ai limiti del documentaristico. Alice nella città
Presentato in anteprima italiana nel corso della 21a edizione di Alice nella città, rassegna cinematografica collaterale alla 18a Festa del Cinema di Roma, Holiday di Edoardo Gabbriellini, dopo il buffo esordio, B.B. e il cormorano e l’ottimo, Padroni di casa, rappresenta per il giovane regista livornese, il raggiungimento di una fase autoriale sorprendentemente solida e matura, capace di muoversi agilmente tra il racconto di formazione più classico, il dramma giudiziario e il thriller psicologico.
Corpi. Protagonisti delle primissime inquadrature del film, sono due cadaveri dei quali non ci è dato conoscere l’identità. Su di essi osserviamo numerose ferite d’arma da taglio, circondate da ematomi e sangue.
Sono corpi privi di vita quelli che Gabbriellini ci mostra inizialmente, messi a confronto poco dopo con quelli fortemente impigriti, in qualche modo tossici e perfino logorati dal tempo e dalle difficoltà della crescita, delle due adolescenti, Veronica Fois (ottima la prova interpretativa di Margherita Corradi, tra rabbia inespressa e desiderio di fuga) e Giada (Giorgia Frank), l’amica – o mancata sorella – di una vita.
In un angolo di Liguria non meglio definito, potenzialmente collocabile tra i comuni di Genova, Rapallo e Santa Margherita Ligure, un complesso ed efferato caso di cronaca nera ha sconvolto la comunità, animando sempre più la curiosità dei giornalisti locali, sia durante le indagini e l’incarcerazione della giovane Veronica, che dopo.
Infatti, quando la stessa, tenta di tornare alla normalità, per continuare a crescere e vivere le più classiche esperienze dell’adolescenza e maturità, si ritrova ad affrontare un quotidiano tragicamente violato, poiché continuamente osservato, fotografato e perfino postato, da una società divenuta via via più spietata e affamata di violenza, tanto da non lasciare scampo, eliminando fin dal principio, la presunzione d’innocenza.
Un racconto di formazione sporco e cattivo
Ciò che importa dunque, non è chi abbia commesso cosa, piuttosto come sia possibile continuare a vivere la propria vita, spensieratezza, fame di futuro e libertà, dopo che la propria immagine, ancor più durante la giovinezza, filtrata da schermi su cui scorrono incessantemente le peggiori atrocità, violenze, derisioni, erotismi e così via, sia stata letteralmente fatta a pezzi e scomposta, in nome di un giudizio popolare, senz’altro parziale e forse, neppure lontanamente veritiero, rispetto a quella realtà dei fatti, che solo un colpevole conosce a fondo, mentre la massa, può soltanto immaginare.
Per questa ragione Gabbriellini, pur esplorando con sorprendente sapienza topos e linguaggi del cinema giudiziario, sconfinando raramente nel duro e puro legal thriller, è alla crescita dell’adolescente Veronica che guarda, soffermandosi sul corpo e sulla necessità di quest’ultimo di tornare ad essere osservato, toccato e amato. Un corpo che non è mai l’ideale incarnazione della perfezione, al contrario, appare sgraziato, stanco, segnato dal tempo e così dalle colpe, che lo muovono, anche se probabilmente, sempre più in direzione di un male e di una fine, e difficilmente della salvezza.
Holiday muovendosi efficacemente tra una moltitudine di generi, dal thriller psicologico, fino al dramma familiare, è nella dimensione narrativa del racconto di formazione che riesce a dare il suo meglio, fotografando lucidamente un realismo crudo, a tratti documentaristico che non si tira mai indietro di fronte alle brutture, alle scomodità e perfino alle violenze psicologiche – e non – celate nella famiglia e in quell’amore, che dovrebbe salvare i giovani individui e che rischia invece di affossarli.
Holiday: valutazione e conclusione
Il cinema di Gabbriellini si fa sempre più atipico e unico nel suo sguardo. È raro infatti rintracciare nel panorama cinematografico nazionale ed internazionale un autore interessato non tanto alle bellezze del racconto di formazione, alla poesia del romanticismo giovane e della spensieratezza, piuttosto al maligno, alla sporcizia, al suo lato più direttamente carnale e crudele. Gabbriellini se ne interessa, dirigendo il suo film più bello, solido, scorretto e maturo.
In qualche modo si può guardare ad Holiday come ad un bizzarro incontro tra ciò che Forum scandaglia – si fa per dire – tra linguaggi televisivi certamente sensazionalistici e superficiali, e ciò che invece Justine Triet ha analizzato attraverso il suo ultimo e meraviglioso lungometraggio, Anatomia di una caduta, il tutto filtrato da una stilistica che in più di un momento sembra ricondurci all’epoca MTV e a certi affreschi di gioventù, poeticamente sospesi tra tragicità e riscatto.
Non sorprende la presenza in produzione di Luca Guadagnino, da sempre attento a queste tematiche. Notevole!