Cyberkbunker: nelle profondità del dark web – recensione
Un viaggio profondamente inquietante nel misterioso e pericoloso mondo del dark web.
Cyberbunker è un documentario inquietante, quasi difficile da credere tale, sembra quasi un mockumentary o un finto prodotto creato ad arte per sembrare una storia di cronaca reale. Ma basta documentarsi leggermente riguardo la questione per aver conferma che tutto ciò che si vede in questi 101 minuti è vero, dall’inizio alla fine. Ed è indubbiamente sensazionale, nel senso più sbalorditivo del termine. L’operazione tentata (e riuscita) dai registi tedeschi Kilian Lieb e Max Rainer è portare sullo schermo un mondo abissale spesso solo nominato, ma mai davvero indagato o mostrato, forse per paura o per oggettiva difficoltà nel reperire materiale utilizzabile come testimonianza effettiva.
Non a caso, si tratta di uno degli argomenti più misteriosi, meno conosciuti e probabilmente empi, che la modernità è stata capace di generare. Gli abissi e le oscurità del dark web sono realtà, per i più quasi impensabili: un vero e proprio sturcio della tecnologia, in grado di procurare a chiunque qualsiasi cosa voglia, senza morale o regole. Ed è proprio nel coraggioso racconto di Lieb e Rainer che iniziamo a toccare con mano, e ci sembra forse la prima volta, la spaventosa rete del dark web e di tutte le brutture concepibili dall’umanità.
Cyberbunker: nelle profondità del dark web è un documentario inquietante dal ritmo serrato ed un villain da film
Il documentario tedesco Cyberbunker, disponibile in streaming su Netflix a partire dall’8 novembre 2023, renderà difficile dormire a chiunque abbia il coraggio di guardarlo nella sua interezza. 101 minuti di assoluto e serratissimo orrore, con una regia che raccoglie il giusto materiale e costruisce il montaggio con il ritmo perfetto di un racconto horror, si spiegano davanti agli occhi dello spettatore senza che possa fare assolutamente nulla per evitarlo. Basterebbe allungare il dito sulla tastiera del computer e premere pausa, o semplicemente spegnere l’apparecchio di trasmissione del programma, ma – come spesso accade per gli esseri umani – è difficile staccarsi da qualcosa che ci causa dolore quando è anche così intenso ed interessante.
Lieb e Rainer hanno raccontato una storia da film scegliendo il loro protagonista, un vero e proprio villain degno dei migliori episodi della serie TV The Blacklist, con intelligenza e studio. Chiunque fruisca spesso di film e libri, di qualsiasi genere siano, conosce la potenza e l’importanza del cattivo: la storia non è degna di essere raccontata se il male non ha un suo fascino, un suo carisma, assolutamente irresistibile. E così non può non essere per il genio malefico di Xennt, un 59enne che sembra uscito dall’ultimo film di Jams Bond, ma ha iniziato la sua carriera di “cattivo” semplicemente vendendo computer.
Ma Xennt, che appare sullo schermo come perno della narrazione di questa avventura oscura ed incredibile, buca la psiche dello spettatore con la sua freddezza teutonica, una riluttanza atavica alla collaborazione mischiata alla sfacciataggine di voler apparire nel documentario per tutto il tempo senza dire una parola utile. Xennt è il capobanda di una vera e propria rete criminale che si dirama in tutto il mondo, raggiungendone i piani più alti e potenti. Partendo dalla sua base segreta, un ex bunker della NATO risalente alla guerra fredda sito nella idilliaca e tranquilla cittadina tedesca di Traben-Trarbach, Herman Xennt crea il dark web nelle sue declinazioni più pericolose e raccapriccianti. In un demimonde in cui chiunque può chiedere qualsiasi cosa con la totale protezione di un firewall imbattible, pagando in criptovaluta, il bunker diventa la sede fisica di una vera e propria realtà sotterranea e ineffabile, digitale e dunque sfuggente.
Nonostante Xennt sia stato arrestato, e il suo mondo sotterraneo portato alla luce dalla legge, il documentario sottolinea quanto sia impossibile espugnare completamente questo tipo di rete criminale. Il materiale mostrato non è mai eccessivo, rientra sempre nei limiti dell’informazione e non vuole sconvolgere lo spettatore con violenza gratuita. Gioca, tuttavia, sapientemente la carta del terrore immaginato: il raccapriccio suggerito, mai mostrato sfacciatamente sullo schermo, lascia alla fantasia del pubblico la creazione di orrori indicibili e realtà talmente oscure da non poter essere dette.
L’inquietante storia è sceneggiata oltre che diretta da Lieb e Rainer, mentre il tutto viene incollato e tenuto insieme dalla sapiente colonna sonora di Ziggy Has Ardeur, un elemento d’accompagnamento essenziale per seguire gli umori dell’opera e guidare le emozioni di chi guarda.
Valutazione e conclusione
Cyberbunker è un documentario ben costruito, informato e scritto dopo un profondo studio della vicenda: Lieb e Rainer creano una narrazione serrata e interessante, costruendo la storia con dettagli ed immagini di repertorio, nonché testimonianze degli stessi soggetti criminali coinvolti. Un villain che è al limite tra Unabomber e Julian Assange condisce la faccenda – già incredibile di per sé – con quella giusta quantità di inquietudine e carisma per tenere gli spettatori con il fiato sospeso, a bocca aperta, per 100 minuti.