Primo – Sempre Grezzo: recensione del documentario di Guido M. Coscino
Il film, dedicato al rapper Primo, viene presentato alla XXI edizione del Rome Independent Film Festival.
Non basterebbero tutte le parole con cui ha armato ogni sua rima, per definire la portanza umana e artistica di David Belardi, in arte Primo, o forse l’unica cosa da fare sarebbe indossare due cuffie e perdersi nella sua arte; quel che è certo è che con Primo – Sempre Grezzo il regista romano Guido Maria Coscino (che, dalla fotografia al montaggio, si occupa di ogni comparto tecnico) fa molto di più e porta sul grande schermo tutti i tratti di una leggenda della musica italiana che, fino ad ora, non ha sicuramente ricevuto tutta l’attenzione che merita. Presentato alla XXI edizione del RIFF – Rome Independent Film Festival 2023 e prodotto dal padre del rapper, Mauro Belardi, assieme a Cor Veleno, FataMorgana e Cineproduzioni, il documentario sfrutta montagne di materiale d’archivio inedito, delle parole dello stesso David e di chi lo ha potuto apprezzare da vicino, con la voce narrante di Elio Germano ad imprimere solennità e riverenza alla carriera di un artista sconfitto troppo presto da un male incurabile (la notte di Capodanno del 2016, a soli 39 anni).
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Primo – Sempre Grezzo: storia o vita?
“Non è la storia dell’hip hop e non è neanche la storia della scena rap romana, io sono Primo e questa è la mia vita, raccontata dalle persone che meglio possono farlo“. Con queste parole il cantante, interceduto dalla voce di Elio Germano, apre un racconto fintamente autobiografico, alle spalle del quale si avvertono tutto il dolore e tutto l’orgoglio di un padre devoto, oltre che la stima di un’intera scena musicale. Se le prime sequenze del film aiutano a percepire lo status raggiunto da Primo e dalla sua musica nel corso degli anni, tutta la seconda parte ripercorre, tappa per tappa, ogni momento della sua carriera, tutti i passaggi che l’hanno portato ad essere quell’imprescindibile tassello per l’ascesa dell’hip hop e del rap in Italia.
Figlio dei rapper americani a cui ha aperto molti concerti (Wu-Tang Clan, De La Soul, 50 Cent) e padre di giovani ambiziosi che oggi raccolgono i frutti dei suoi insegnamenti (Salmo, Gemitaiz), David viene raccontato dai suoi amici, dai suoi colleghi e da coloro che non hanno mai avuto dubbi su quanto egli sia effettivamente stato il primo, il numero uno.
Dagli inizi degli anni ’90 con gli FDC, gruppo da lui composto assieme al compagno di sempre Grandi Numeri (Giorgio Cinini) e ai futuri Colle der Fomento (Simone Eleuteri, a.k.a. Danno, e Massimiliano Piluzzi, a.k.a. Masito), il suo cammino vede una continua e copiosa produzione originare un concatenarsi di successi e attestazioni di stima: Piotta (Tommaso Zanello), Squarta (Francesco S. Caligiuri), la formazione dei Cor Veleno, le numerose collaborazioni, da Tormento a Jovanotti, da Dj Shocca a Roy Paci, e quindi il fondamentale lavoro con la Sony, il digitale, i live, quei live che un tempo apparivano come estremamente distanti dal mondo dell’hip hop e che cercavano di conquistare spazio ed andare in scena, seguendo una curva ascendente parallela al consacrarsi di Primo come uno dei suoi principali esponenti.
Il termine sono le ultime due collaborazioni dell’artista, che testimoniano ulteriormente la sua prolificità e il suo impellente bisogno di creare; Fin da bambino con Ibbanez (Ivan Donatello) e El Micro de Oro con Tormento (Massimiliano Cellamaro) sono i due lavori che chiudono la breve ma ricchissima carriera del cantante, prima della scoperta di una terrificante malattia, il tumore al cervello, riguardo alla quale, prima del doveroso tributo, egli stesso, sempre veicolato dalle parole di Elio Germano, afferma: “Non voglio dire nulla al pubblico, preferisco affrontare il dolore nella discrezione, nel silenzio, sappiate che comunque ho lottato come una tigre, come sempre, fino alla fine“.
Primissimo
“Primo si è inventato il rap a Roma” afferma Silvano Albanese, in arte Coez; dietro a lui Salmo (Maurizio Pisciottu) che parla di “benedizione” e Gemitaiz (Davide De Luca) che propone l’erezione di una statua per rendere omaggio allo smisurato talento e all’indole creativa di chi, anche a distanza di anni, semplicemente grazie all’ascolto di alcuni stralci delle sue liriche, così eterogenee e così dense di contenuto, arriva a confermare quella sua primarietà, a lucidare quel piedistallo all’apparenza insormontabile ma da lui scalato e conquistato con fatica e determinazione. Il primeggiare di David Belardi traspare per mediazione della sua musica, ma basta il semplice ascolto dei suoi pensieri, la condivisione di alcune delle asserzioni più peculiari da lui rilasciate per calibrarne la levatura morale, l’impegno socio-culturale e la profondità.
Primo fan
“Il dolore di mio padre è impossibile da spiegare”. Le parole qui pronunciate da Elio Germano suonano come un diretto e commosso messaggio di Mauro Belardi, padre e primo fan del rapper romano, che ancor non si capacita di quanto la realtà sia stata crudele, di come il destino abbia tentato di troncare una carriera, e con essa un’esistenza. Ma “non è la morte a segnare la sua fine, la sua musica rimane”, rimane la sua poesia, rimane quella sua grezza dolcezza che afferrava la parola come suo strumento, per arrivare a chiunque fosse pronto ad ascoltarlo, lui che “ha viaggiato trasversalmente tra il mainstream e l’underground, che ha costruito un ponte tra il vinile e il digitale”, lui che si nutriva di palco per poter far star bene la gente, che dava tutto sé stesso anche solo per una decina di spettatori.
Primo – Sempre Grezzo: valutazione e conclusione
In un’epoca in cui la musica rap in Italia meriterebbe una narrazione che siamo ancora lontani dall’ottenere, va profondamente ringraziato Guido Maria Coscino per aver raccontato la vita e la caratura di una figura altamente propulsoria per tutto quel che è venuto dopo, per tutto quello di cui lui non ha potuto godere. Il regista prima ci presenta il mito, poi rielabora e ricostruisce la storia, torna ad ogni momento, ad ogni passaggio fondamentale, ricco di riprese e di registrazioni, che ripercorrono dagli inizi degli anni ’90 sino ai giorni nostri, e carico di dichiarazioni d’affetto e consacrazioni artistiche.
Un crogiolo di parole per colui che “questa cosa la vive al midollo”; perché di parole si tratta, parole grezze, pure, graffianti, accompagnate da un suono grezzo e puro quanto loro e spinte dalla “sollecitazione creativa” che animava lo spirito di una leggenda del rap, e che ora vive in noi e nella voglia di ascoltarlo e di riconoscerci nella sua autenticità.
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