Believer 2: recensione del film Netflix

L'action sudcoreano, sequel di Believer del 2018

Arriva su Netflix il 17 novembre 2023, Believer 2 di Baek Jong-yul. Il film è un action-thriller, sequel di Believer (2018) di Lee Hae-young, remake sudcoreano di Drug War (2013) di Johnnie To.

Believer 2 Cinematographe.it

La narrazione parte riassumendo il finale del primo capitolo, seguendo una consuetudine più adatta a una serie tv che a un film. Il detective Won-ho sta ancora dando la caccia al misterioso boss del narcotraffico asiatico, Mr. Lee. Rak, ex chimico di Lee, anch’esso ossessionato dallo scoprire l’identità del boss, finisce per trovarsi coinvolto nella faida di potere fra la psicotica Big Knife, aspirante braccio destro di Mr. Lee e Brian, piccolo boss che si era finto Lee e che, per questo, era stato torturato e gambizzato da Rak. Fra sparatorie mozzafiato, location sparse per l’Asia e agnizioni più legate al canone soap-operistico che a quello della tragedia aristotelica, il film porta a un finale filosofeggiante e pessimista, in cui verrà ribadita la banalità – o, se si vuole, mediocrità – del male.

Believer 2: una metafora del sistema capitalista

Il fulcro concettuale di questo lavoro di Baek Jong-yul, non sarebbe neppure malvagio. Il regista mette in scena un mondo spietato, regolato da leggi economiche che riducono le vite umane a meri oggetti, atti a produrre guadagno. Ogni relazione fra i vari protagonisti è basata su strategie di alleanze e tradimenti volte a scoprire il segreto del successo (cioè l’identità di Mr Lee) dell’impresa di manifattura di droga più potente dell’Asia. Tutto è gestito come un’immensa trattativa aziendale, che sfocia nella guerra. I vari gruppi criminali stessi sono composti, per lo più, da mercenari e militari, costruiti attorno al modello delle security aziendali e delle polizie private. Le donne, come da moderna dottrina capital-femminista, devono esser più spietate degli uomini, per poter assurgere a ruoli di potere o semplicemente sperare di guadagnare l’affetto di un padre snaturato. A tutto questo fanno da sfondo i grattacieli, le grandi città di ferro e vetro, i ponti immensi e tutto ciò che solitamente lo spettatore lega all’immagine della metropoli postfordista.

Believer 2: fra Johnnie To e Christopher Nolan

Il riferimento estetico hollywoodiano più prossimo sembra essere il cinema di Nolan, con tanto di colonna sonora che cita apertamente quella de Il cavaliere oscuro (2008). Questo perché l’autore britannico ha più volte descritto in termini epici o noir le dinamiche del potere del tardocapitalismo, generando un immaginario da metropoli globale e globalizzata, fatto di architetture fredde e impersonali, eleganti businessmen da combattimento e racconti che, attraverso un uso creativo di flashback e flashforward, hanno generato una sorta di poetica dell’artificiosità meticolosamente calcolata. Un tale cinema ha avuto ampio riscontro di pubblico e quindi Hae-young e Jong-yul, nei loro due film (come già, in parte, To nell’originale), seguendo una certa tendenza del mainstream filmico sudcoreano, si sono appropriati dell’immaginario di quel cinema.

Believer 2 Cinematographe.it

L’operazione purtroppo però risulta alquanto forzata. Gli stilemi del cinema nolaniano vengono applicati in maniera meccanica, su una storia che non ha introiettato per niente la riflessione ideologica dell’autore britannico. Believer 2 usa, infatti, l’analisi socioeconomica del reale solo come un orpello superficiale, per creare una struttura narrativa esile e dar profondità a un dramma dei sentimenti, non troppo raffinato. Per l’ennesima volta assistiamo alla rappresentazione di come la vendetta sia una strada senza ritorno, di quanto le relazioni familiari possano essere forti e perverse allo stesso tempo e di come non bisognerebbe mai mettere il lavoro prima degli affetti. Tutto già visto e tutto già detto. Laddove poi nel Drug War di To, il recupero di alcune suggestioni nolaniane era funzionale a condurre a scene action che valevano il prezzo del biglietto, qui i combattimenti e gli scontri a fuoco sono davvero pochi. Inoltre, se anche non privi di qualche buona trovata, sono spesso girati secondo modalità debitrici delle strategie visive videoludiche, che rendono la componente spettacolare molto impersonale.

Believer 2: valutazione e conclusione

La regia, anche se di mestiere, non riesce a creare reali momenti di tensione, né a creare particolare empatia verso i personaggi coinvolti. Jong-yul sembra, tra l’altro, non saper decidere se optare per un mood drammatico o per uno grottesco – tanto che si fanno notare alcuni elementi gore, abbastanza fuori posto, nel contesto visivo generale.

Believer 2 Cinematographe.it

Insomma questo Believer 2 risulta un film tendenzialmente piatto e, come già il primo capitolo, non in grado di reggere il confronto né con il modello di Johnnie To, né tantomeno con il cinema nolaniano.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.4

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