L’anima in pace: recensione del film di Ciro Formisano
In sala dal 18 gennaio 2024, L'anima in pace, diretto da Ciro Formisano, con un ottimo cast, dove spicca la protagonista: l'esordiente Livia Antonelli
L’anima in pace, vincitore di numerosi premi come miglior film e anche alla miglior attrice protagonista, l’esordiente Livia Antonelli, è diretto dal regista Ciro Formisano, già autore di L’esodo e L’altro buio in sala. Una storia tutta al femminile ambientata nella periferia romana e vista attraverso gli occhi di una giovane di 25 anni costretta a crescere troppo in fretta. Accanto a Livia Antonelli, nel cast sono presenti Donatella Finocchiaro, Daniela Poggi, Federico Mancini e Lorenzo Adorni. Distribuito da Farocinema L’anima in pace uscirà nelle sale il 18 gennaio 2024.
La vita nella periferia di Roma
Dora è una 25enne ribelle e all’apparenza fredda e scontrosa. Lavora portando la spesa a domicilio, occupazione che le permette a malapena di sopravvivere e che affronta con fatica e latente insoddisfazione. La madre è un donna inaffidabile e reduce da poco da un periodo in prigione. Dora ha due fratelli, 2 gemelli che sono stati sottratti alla tutela della madre, situazione che ha aggravato la loro esistenza e il loro rapporto. I due fratelli sono stata infatti affidati alla zia e l’unico modo che ha Dora per riaverli con sé è avere i soldi per dare a lei, a sua madre e a loro, una vita dignitosa. Per questo si lega a Yuri, implicato nel traffico di droga e per il quale inizia a lavorare come pusher. Le cosa cambiano e al tempo stesso rischiano di precipitare quando Dora conosce Andrea, specializzando in medicina che cerca di allontanarla da quell’ambiente e di abbattere quel muro che Dora interpone tra lei e gli altri, per evitare delusioni e ulteriori sofferenze. Andrea suscita in particolare l’ira di Yuri, tra gelosia, possesso e codici della criminalità.
La Roma del primo lockdown, Piazza di Spagna e Piazza del Popolo vuote, i sobborghi della città deserti, nessuno che gioca nei cortili interni e un silenzio quasi spaventoso. È così che si apre L’anima in pace chiarendo così un periodo e rivelandosi da subito un film ambientato durante l’emergenza Coronavirus, senza però essere un film che parla del Covid-19. Le prime scene, tra intensità e malinconico ricordo, rappresentano un contrasto che a Roma è sempre stato evidente: centro e periferia, due mondi distanti, opposti, lontani, due realtà a se stanti, che a volte non sembrano neanche appartenere alla stessa città. Cambiano usi e costumi, personalità e abitudini, e la reale spaccatura non risiede solo nelle difficoltà economiche che spesso si vivono nelle borgate romane, nell’idea che l’unica differenza tra centro e periferia sia da ricercarsi nel proprio stato sociale, nella contrapposizione tra ricchezza e povertà.
L’anima in pace e la sua originale rappresentazione della tematica del riscatto personale
La protagonista di L’anima in pace è una giovane donna alle prese con altrettante figure femminili problematiche e delle quali è spesso lei a prendersi cura. È infatti Dora a occuparsi di tutto e degli altri, e mentre il suo passato si rivela lentamente, nel corso del suo presente che cambia, tormenti e sofferenze aumentano e la figura di Dora si staglia e spicca come emblema di una vita alla quale non bisogna mai dire la parola “fine”. C’è un’originalità, non nella trama del nuovo lungometraggio di Ciro Formisano, ma nella concatenazione degli eventi e nella loro connessione con l’infanzia e l’adolescenza di Dora, che non è originaria di Roma e che quindi vive anche il trauma di aver abbandonato la propria casa. Ecco che come la figura della protagonista si delinea pian piano, anche l’intera storia del film prende forma e si capisce che il fulcro della pellicola sta nell’importanza della possibilità di rialzarsi sempre, dopo qualsiasi dolore o disagio, anche quelli impossibili da dimenticare.
Una tematica che non arriva come messaggio finale, ma che si esprime in tutta la sua profondità, con un impeto delicato, trasparendo da un dialogo, uno scambio di battute che chiarisce inoltre quelle similitudini che inizialmente potevano apparire elementi retorici che non sorprendono più. E invece L’anima in pace stupisce nella sua attenzione ai particolari, nell’esistenza e nel trascorrere delle giornate nelle quali si fa entrare lo spettatore, con tecniche cinematografiche che creano un continuo raccordo e una struttura circolare, tanto al film quanto alla vita della protagonista. Ogni personaggio si lega alle difficoltà di Dora che, con determinazione e fatica, a volte sopporta, a volte no, e anche questo ha il pregio di risultare inaspettato.
Una tecnica attenta
La regia di L’anima in pace si muove nell’ampiezza degli esterni del Quarticciolo di Roma, con grandi complessi di palazzi composti da case basse, dove tra tutti i condomini si vivono rapporti sui generis che, appunto, solo in alcune periferie, si possono ritrovare, e dove i cortili interni, comunicanti con ogni edificio, appaiono come una piccola vita di quartiere. Una cura quasi meticolosa anche nella costruzione degli interni, nella semplicità di abitazioni d’altri tempi e nel poco rilievo che potrebbe avere una ristrutturazione o modernizzazione quando si fanno i conti tutti i giorni con le proprie ristrettezze economiche. L’anima in pace è un ottimo prodotto che fotografa un universo in ogni suo tratto distintivo, mostrando le caratteristiche di un luogo e di chi in quel mondo ci ha passato degli anni.
L’anima in pace: valutazione e conclusione
L’anima in pace è un film che funziona e che punta, fino alla fine, sulla credibilità di quanto accade. Non è la classica storia di riscatto, perché non sempre questo è possibile, ma è fondamentale affrontare ogni giorno la propria vita, senza mai andare contro se stessi. Unica pecca, accettabile nel complesso della riuscita del film, è qualche passaggio che può apparire eccessivamente casuale e didascalico, volto a spiegare cosa è accaduto anni prima e perché quella famiglia abbia dovuto dire addio ai fratellini di Dora, e dove si trovi suo padre adesso. In contrasto invece con quei momenti dove tutto traspare da uno sguardo, una lacrima e la scelta di non servirsi delle parole, che è tanto chiara quanto capace di continuare a stupire.
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