Under Pressure: Verso i mondiali di calcio femminile – recensione della docuserie Netflix
Un'affascinante opera piena di difetti che racconta con immagini di repertorio un argomento fin troppo sottovalutato.
Under Pressure: Verso i mondiali di calcio femminile è una docuserie Netflix disponibile in 4 episodi a partire dal 13 dicembre 2023. Un’opera senza dubbio affascinante, benché imperfetta, che cattura con occhio appassionato e pieno un aspetto troppo poco trattato, o mostrato, dello sport. Le donne e gli sport considerati “per uomini” dalla cultura imperante hanno da sempre avuto un rapporto complesso, sia per l’eccessiva spettacolarizzazione delle imprese sportive maschili che per una svalutazione insita del femminile applicato a pratiche come il calcio, il football o il rugby.
Ma la regista di Under Pressure, Rebecca Gitlitz, non è una artista schiava di alcuna cultura, imperante o meno che sia, e la sua esperienza nel settore del documentario, nonché del reportage, la rende una mente creativa, libera, svincolata dal mainstream ed interessata a raccontare realtà cariche di sentimento, evoluzione. Il suo sguardo attento sceglie dunque la squadra di calcio femminile americana, vincitrice di due Coppe del Mondo, per parlare di cameratismo, agonismo e fallimento. Under Pressure non è solo un racconto di sport, ma un vero dramma ricco di umanità e sentimento, fierezza e lacrime, con un leggero alone di melò.
Under Pressure: Verso i mondiali di calcio femminile, un racconto di sport le cui scene più interessanti avvengono fuori dal campo
Under Pressure: Verso i mondiali di calcio femminile racconta, attraverso immagini di repertorio, talking heads e moviole dei match, la corsa della nazionale americana di calcio verso la loro terza vittoria mondiale. O, almeno, quella che il team spera essere la terza vittoria del Campionato mondiale. Raccontare una vittoria, secondo la Gitlitz – regista veterana vincitrice di due Emmy Award – è un’impresa eccessivamente semplice. Soprattutto, quando il soggetto scelto è la squadra di calcio femminile più decorata della storia dello sport, vincitrice di due titoli mondiali consecutivi. Ed è così che questa serie da quattro episodi, veri e propri mini-film della durata di circa un’ora ciascuno, sceglie di portare lo spettatore in un pellegrinaggio emotivo lungo e tortuoso – ricco di digressioni e umanità – che fornisce totale accesso alla vita personale e sportiva delle singole atlete.
Creare pathos, per le produzioni americane che parlano di sport, è un obiettivo quasi inevitabile; forse più che un obiettivo si tratta del filtro attraverso il quale lo sport stesso viene guardato e riproposto. Senza melodramma, tormento personale, dolore e lacrime, il racconto di impresa atletica o sportiva riesce difficilmente a fare presa su un pubblico ampio di non tifosi.
Fare leva sul cuore dello spettatore per mostrare il dramma dello sport
Bisogna fare leva sul cuore, sulla lotta intestina alla squadra e al singolo individuo per fare breccia, raccontare una storia di umanità oltre che di calcio femminile. La produzione dietro questa docuserie – che vede nomi come la stessa FIFA – conosce la cultura pop e trasforma una sfida calcistica in un dramma degno del miglior Rocky. Gli episodi, dunque, premono (e forse spremono) le calciatrici del USWNT mostrandole nella loro iniziale spavalderia di vincitrici per poi calarle nelle loro vesti mortali: giovani ragazze che si commuovono, falliscono, litigano e fanno pace tra di loro e con il loro nuovo coach Vlatko Andonovski. Alex Morgan, la popolare capitana, viene mostrata nelle vesti di madre, mentre interagisce con sua figlia Charlie, tra un allenamento e la vita familiare.
La serie segue una struttura piuttosto classica nelle prime due puntate, alternando interviste e immagini di repertorio, sequenze di allenamenti e servizi del TG che raccontano i successi delle ragazze, in un falso climax che sembra voler arrivare alla vittoria finale della squadra. Sembra quasi sorprendente il taglio finale, cupo, adottato dalla regia di Gitlitz: non credeva, probabilmente, di poter raccontare così direttamente la realtà cruda di un fallimento cocente. L’aver promosso la storia personale delle calciatrici permette di sentire il dolore alla loro cacciata da record dal mondiale 2023. Il colpo finale è da maestro del racconto: quel senso di sfiducia, di tracollo improvviso, che restitiusce tutta l’imprevedibilità della vita nella sua impietosa indifferenza.
Duro, emotivo, benché chiaramente eccessivamente melodrammatico e teso all’affabulazione del suo spettatore, Under Pressure è un prodotto imperfetto ma d’impatto che racconta una realtà sportiva troppo spesso ignorata.
Under Pressure: Verso i mondiali di calcio femminile, conclusione e valutazione
Under Pressure è una docuserie ricca di falle, soprattutto nel suo cercare l’eccesso di emozione, di lacrime, di melodramma e gioia esuberante. Tanti picchi emotivi possono perdere il focus della narrazione: lo sport in declinazione femminile, le controindicazioni della vittoria facile, la volubilità della fortuna e il potere della sconfitta. Tuttavia, è proprio la grande umanità dei soggetti scelti – visti come individui e non solo come sportive – che irretisce e focalizza l’attenzione su un argomento delicato come gli sport praticati dalle donne in un mondo di volti maschili idolatrati, mitizzati.