Roma FF11 – The Last Laugh: recensione del documentario di Ferne Pearlstein

Esiste per caso un criterio universale che stabilisce quali sono gli argomenti sui quali si può scherzare e quali sono invece i tabù da evitare? Genocidi, malattie, terribili disgrazie. È possibile fare dell’ironia su questo? Sul dolore che le persone hanno provato? E se si scherzasse, per esempio, su  Auschwitz? Una volta qualcuno ha detto “Chi ha pianto abbastanza, rida”, un motto che dopo la devastante Seconda Guerra Mondiale molti comici hanno fatto proprio ed hanno cercato con la propria sensibilità di trasformare, rendendo la tragedia dell’Olocausto fonte di inesauribili battute volte a purificare dalla totale atrocità del nazismo e far sì che questa inimmaginabile sventura non manchi mai nella memoria della nostra cultura.

La regista Ferne Pearlstein con il suo acuto documentario The Last Laugh cerca di racchiudere in poco meno di un’ora e mezza le opinioni, gli scherzi e le perplessità di personaggi del mondo dello spettacolo e della letteratura, sopravvissuti e parenti di quest’ultimi, uomini e donne, ebrei e non, per conversare sulle implicazioni che la Shoah ha apportato alla coscienza di massa e le sue ripercussioni nell’universo della risata.

Insieme a registi dalla forte carica ironica come Mel Brooks e Rob Reiner e seguendo le giornate e i ricordi toccanti di una donna la quale ha vissuto sulla propria pelle la ferocia della Germania nazista riuscendo nonostante tutto a rinascere dalle ceneri, The Last Laugh è il rispetto per la disperazione di chi ha provato in prima persona le difficoltà dei campi di concentramento, amalgamato però con l’irriverenza di alcuni noti individui che hanno avuto la faccia tosta di andare oltre i pregiudizi ed affrontare talvolta il rifiuto della gente. Pur comprendendo la reticenza intorno a qualsiasi forma di umorismo nei riguardi di un evento tanto scioccante, è la cognizione di non poter vivere un’esistenza nell’ombra a spingere comici e superstiti verso uno humor all’apparenza indifferentemente nero, ma il quale il più delle volte si consuma dietro una maschera di sofferenza e autoconsapevolezza.

Mettere in discussione e sfatare il mito del cattivo gusto con The Last Laugh

the last laugh

La regista del documentario insieme ad alcuni protagonisti del progetto

Ridere tra le lacrime, ma comunque ridere. L’unica cosa che può salvarci e l’unica cosa che ha salvato molti di quei deportati. La vendetta di tanti sopravvissuti nei confronti di un uomo che per anni li ha privati della propria casa, di famigliari, di libertà, ma che mai, nemmeno una volta, è stato in grado di togliere loro la possibilità di ridere per sostenersi. E grazie a questa nuova forma di umorismo post bellico è stato possibile prendersi gioco di qualcosa che per lungo tempo ha grandemente spaventato, una sorta di esorcizzazione per riacquistare la propria dignità e togliere ai cattivi ogni potere.

Trovare in tematiche non divertenti una chiave di lettura che permetta di compiere alla fine una buona battuta si rivela inoltre il modo più fresco per ampliare l’orizzonte dell’inesplorato, abbattere quei muri innalzati dai tabù  che ci permettono in questo modo di liberarci da quella sensazione di disagio che crea un’irrequietezza comprensibile, la quale si accende per la vergogna di provare simpatia verso uno scherzo comunemente indelicato.

La rivoluzione del “cattivo gusto” da una parte sfatata e dall’altra messa in gioco nel riflessivo quanto piacevole The Last Laugh, storia del mondo, storia della comicità moderna, ma anche storia di una fetta di cinema che va dalla briosità di To Be Or Not To Be di Ernst Lubitsch al sentimentalismo de La vita è bella di Roberto Benigni, passando poi per i provocatori sketch del Saturday Night Live fino a scavare nel passato di archivi che riportano alla luce filmati di vecchi cabaret allestiti nei campi di concentramento. Un documentario visto dal punto di vista di chi vive di risate e che con queste ha voluto sconfiggere il male.

Regia - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.3