A Bloody Lucky Day: recensione della serie crime coreana targata Paramount+
Una serie che ripercorre il segno tracciato da grandi classici, ma capace di offrire un twist originale dal guizzo fumettistico.
A Bloody Lucky Day è la serie sudcoreana distribuita da Paramount+, disponibile in streaming a partire dal 1° febbraio 2024. Dieci episodi ricchi di suspence, sorprese e dramma, una narrazione che si trascina con ritmo lento e bilanciato per scorprire, uno alla volta, i tratti più veri e oscuri dei protagonisti. Diretto da Pil Gam-Sung e scritto a quattro mani dagli sceneggiatori sudcoreani Kim Min-sung e Song Han-na, A Bloody Lucky Day è la trasposizione per la televisione del webtoon Naver A Day of Bad Luck di Aporia. Con attenzione e fantasia, regia e sceneggiatura trasportano un linguaggio nell’altro, progettandone e realizzandone una versione più oscura, profonda e critica.
Nonostante la scelta di entrare profondamente nei tropi e negli stilemi del genere, conosciuti ai fruitori di cinema e serie TV, A Bloody Lucky Day traspone i classici dai quali prende ispirazione in una miscela adrenalinica e scottante. Le variazioni sul tema, quando sono costruite con stile e intelligenza, non devono essere forzatamente originali e distanti dal materiale simile per poter essere riuscite. Nello show vediamo un mix di tematiche, grammatiche e sintassi già utilizzate, familiari, ma non per questo meno eccitanti.
Un viaggio nella follia come origine e destinazione dell’uomo
A Bloody Lucky Day decide di unire elementi ispirati a grandi classici del cinema occidentale, come l’immenso Collateral di Michael Mann o l’osannato Joker di Todd Phillips, con uno stile profondamente sudcoreano, legato alla cultura profondamente controversa di un popolo che non ha fiducia nelle proprie istituzioni e autorità, diffidente nei confroti del proprio paese come forza protettiva e correttiva. La serie diretta da Pil Gam-seong ricorderà, ai binge-watchers professionisti, anche le contemporanee serie Beef – disponibile su Netflix – e Bargain, piccole perle nere del serial contemporaneo. Il comune denominatore è il crime utilizzato come stratagemma, a scopo metaforico, per esporre una ferita sociale che si infetta e contagia l’animo umano, pungolandone la fragile natura per spingerlo a violenza e follia.
Al centro della trama vediamo un tassista di mezza età, Oh Taek (Lee Sung-min), che cerca di vivere la sua vita – lavorativa e personale – nel modo più corretto e tranquillo possibile. Dopo aver avuto problemi con la legge, decide di rigare dritto fino al punto di diventare passivo, remissivo, tollerante anche alla cattiveria e alla scostumatezza dei suoi clienti. Un’esistenza volta a prendersi cura della sua famiglia, tra i figli ancora giovanissimi e la ex moglie che lo guarda dall’alto in basso. Una “giornata fortunata” cambia radicalmente la vita di Taek: l’incontro con il giovane Geum Hyeok-soo (Yoo Yeon-seok), un cliente che gli offre cifre altissime per un lungo viaggio in auto, sembra accendere nell’uomo la speranza del riscatto. Ma lentamente, con il ritmo lento delle battute iniziali scelto dal regista, la dinamica della situazione si rende più chiara, inquietante. Geum, da subito, inizia a emanare vibrazioni complesse, ambigue, la sua figura viene associata ad una palette molto particolare, tra i rossi e i neri, perfetta per introdurne la reale natura.
Il villain Geum è un mix di altri grandi cattivi creati per il grande e piccolo schermo: un sociopatico, sanguinoso serial killer che prende le mosse dal villain di Tom Cruise in Collateral, ma che unisce anche marcati tratti del killer davvero esistito Richard Ramirez, coronato da una performance borderline tra la rabbia cieca e la glaciale freddezza. Presto, A Bloody Lucky Day perde le fattezze del road movie al retrogusto di horror e si evolve in revenge movie: il tranquillo, pacifico e gioioso Taek, esposto alla violenta presenza di Geum, segue una metamorfosi sotto l’occhio attento e irretito dello spettatore, in pieno stile Joker di Joaquin Phoenix, ma ancor più esemplificativo è il personaggio indimenticabile portato sullo schermo da Michael Douglas nel capolavoro di Joel Schumacher, il William Foster di Un giorno di ordinaria follia. Il finale della storia, sorprendente e potente, è puro intrattienimento in stile coreano: cinematografia classica con guizzo fumettistico, ricalcando Squid Game.
Nonostante il retrogusto di conosciuto, il divertimento offerto da A Bloody Lucky Day è tanto: una regia che inizia con andatura lenta per poi premere sull’acceleratore in una rocambolesca avventura senza respiro, performance brillanti e uno stile che più cool non ce n’è. A fare da controaltare, bilancia narrativa ma anche emotiva, è la storia parallela della madre dolorante e agguerrita, Hwang Soon-gyu (Lee Jung-eun, Parasite), pervicacemente impegnata a dare giustizia al suo figlio perduto. La giustizia è lo scopo finale della ricerca esistenziale dei personaggi, ma sembra lontana, possibile solo nel mondo delle idee e dell’animo, una cosa personale che non trova corrispondenza nelle istituzioni, nella società.
A Bloody Lucky Day: valutazione e conclusione
A Bloody Lucky Day prende ispirazione dal grande cinema americano, ma anche alle creazioni più brillanti dello spettacolo coreano: fedele agli archetipi del suo genere thriller, offre tuttavia una serie pregevole di stratagemmi narrativi e tecnici per distinguersi dalla massa in modo efficace. Una regia intelligente e avvincente bilancia una sceneggiatura da asciugare, a tratti prolissa ma mai banale, che tocca l’eccellenza in un paio di momenti cruciali. Fotografia e colonna sonora sempre sul pezzo, recitazione brillante anche quando prevedibile e conosciuta: lo show è da vedere, e godere, tutto d’un fiato!