Ancora un’estate: recensione del film di Catherine Breillat
La recensione del dramma dalle venature mistery ed erotiche di Catherine Breillat con Léa Drucker. Al cinema dal 7 marzo 2024 dopo l’anteprima al 76° Festival di Cannes.
Se c’è una regista che più di ogni altra/o ha raccontato il desiderio e la sessualità, quella è proprio Catherine Breillat. Considerata la pioniera del cinema al femminile, la cineasta e scrittrice francese è finita spesso con le sue opere al centro di polemiche per il suo approccio anticonformista alle suddette tematiche e per la loro esplicita rappresentazione anche dal punto di vista della violenza. Nel suo cinema, attraverso pellicole controverse e osteggiate dal pubblico e dagli addetti ai lavori, si è interrogata più e più volte senza timori reverenziali, con asprezza e coerenza d’intenti sulla sessualità nelle sue diverse espressioni, esplorando ad esempio la perdita traumatica della verginità (L’adolescente, A mia sorella!, Vergine taglia 36), il masochismo femminile (Romance) e le relazioni sessuali intergenerazionali (Brève Traversée, Perfect Love). Ed è su quest’ultime che è voluta tornare a riflettere nella sua più recente fatica dietro la macchina da presa dal titolo Ancora un’estate (L’été dernier), remake di Queen of Hearts della collega danese di origini egiziane May el-Toukhy, che dopo l’anteprima in concorso al 76° Festival di Cannes e ben quattro candidature ai premi César (tra cui quelle per la migliore regia e la migliore attrice protagonista) è approdata nelle sale italiane a partire dal 7 marzo 2024 con Teodora Film.
Ancora un’estate è il remake del film danese Queen of Hearts
In Ancora un’estate, così come nella sua matrice scandinava, si racconta di Anne, avvocata di successo e madre felice di due bambine adottive che un giorno decide di accogliere in casa Théo, il figlio diciassettenne che il marito ha avuto da un matrimonio precedente. Tra i due nasce un’intesa imprevista e una relazione clandestina che una volta venuta a galla provocherà pesanti ripercussioni a livello familiare e una vera e propria lotta intestina. La Breillat, con la collaborazione in fase di scrittura di Pascal Bonitzer, rimette mano alla pellicola del 2019 che, per tematiche e tipologia di storia, presentava molte affinità elettive il suo “credo” cinematografico e il suo modus operandi. Tali assonanze hanno permesso alla regista di Bressuire di entrare in perfetta sintonia con la fonte narrativa e drammaturgica originale, mantenendo pressoché immutata le linee guida del racconto ma cambiando molto il personaggio della protagonista. Qui infatti non è più una predatrice come in Queen of Hearts. Quando Théo si innamora di lei, inizialmente sente solo questo sentimento di felicità. Non analizza quello che succede, fino a quando non diventa lui stesso una minaccia rivelando al padre la verità. Sta qui la sostanziale differenza tra le due sceneggiature, che per il resto mettono entrambe al centro il desiderio, l’amore, la pulsione amorosa e il senso di colpa. Insomma, tutto ciò che ci sfugge e che ha a che fare con il non detto. Da qui nasce un turbinio di emozioni e stati d’animo cangianti che guidano le scelte razionali e non dei personaggi coinvolti.
La cineasta francese riesce a disegnare le linee di un pericolosissimo “gioco” di coppie che non ha paura di mostrare
Non è dunque la prima volta e non sarà di certo l’ultima nella quale si parla e si mostra una relazione intergenerazionale, la stessa Breillat lo aveva già fatto in passato. Ecco perché se un tempo era un tabù, adesso non lo è più viste il numero di opere che negli anni si sono fatte carico di un tema così controverso: Unfaithful di Adrian Lyne, piuttosto che Il diavolo in corpo di Marco Bellocchio (dal romanzo omonimo di Raymond Radiguet), La donna della luna di Vito Zagarrio o al più recente Chéri di Stephen Frears. L’approccio della Breillat alla materia in questione, nonostante i dieci anni lontani dalle scene e dagli schermi, è rimasto quindi lo stesso, poiché indirizzato più alla poesia che al realismo vero e proprio al fine di tenere il plot e i personaggi che lo animano il più lontano possibile da affermazioni e dinamiche stereotipate e moralistiche. La cineasta francese riesce a disegnare le linee di un pericolosissimo “gioco” di coppie che non ha paura di mostrare, con scene caldissime che alzano la temperatura di un dramma domestico fortemente erotico destinato a sfociare in un thriller morboso e nella tragedia. L’autrice, alla pari dei bravissimi interpreti (su tutti una sempre all’altezza ed efficace Léa Drucker), non si tira indietro nelle parti più incandescenti dove il sesso esplicito tra una donna adulta e un adolescente irrompe sullo schermo. La cinepresa va via via a diminuire le distanze tra l’apparato filmico e i corpi raffigurati sino ad azzerarle, raggiungendo una vicinanza tale da invadere l’intimità e diventare parte integrante di essa. In questo modo si assiste ad afflati e amplessi in una specie di ménage à trois che coinvolge i personaggi e lo spettatore. Questa è una caratteristica fondamentale e fondate dello stile e nella poetica della Breillat, che senza troppi pudori e grandissima naturalezza continua a raccontare la sessualità come pochi.
Ancora un’estate: valutazione e conclusione
La sessualità intergenerazionale al centro del nuovo film di Catherine Breillat, che trovando affinità elettive narrative e tematiche con la pellicola danese Queen of Hearts decide di farne un remake. Fedele al racconto nativo, ma rimodellando la figura della protagonista, la regista francese mette la sua firma su dramma familiare a sfondo erotico che sfocia prima nel thriller e poi nella tragedia. Il risultato è un’opera che vive di sussulti, morbosa al punto giusto ma discontinua nel flusso emotivo. Confezione ruvida e bravissimi interpreti, a cominciare dalla sempre convincente Léa Drucker fanno il resto.