Codice: cacciatore – recensione dell’action-thriller Netflix
La recensione della trasposizione firmata dal sudafricano Mandla Dube del romanzo omonimo di Deon Meyer. Dal 29 marzo 2024 su Netflix.
Chi come noi ha avuto in passato contatti con la filmografia di Mandla Dube sa quanto centrali siano i temi della libertà, dell’indipendenza, delle radici, dei principi umani e della lotta tra il bene e il male nelle sue opere per il piccole e il grande schermo. Risaputo e sottolineato in più di un’occasione è infatti lo spirito rivendicativo, politico e idealista che accompagna e caratterizza le storie raccontate nelle serie e nelle pellicole da lui firmate: da The Harlem Hellfighters a L’assedio di Silverton, da Jiva! a Kalushi: The Story of Solomon Mahlangu. La sua ultima fatica dietro la macchina da presa dal titolo Codice: cacciatore, disponibile su Netflix dal 29 marzo 2024, sappiate non è da meno, anche se per quanto concerne la scrittura non è per niente farina del suo sacco, bensì di Deon Meyer e del suo romanzo Heart of the Hunter, adattato dallo stesso scrittore con la collaborazione di Willem Grobler. Nelle pagine del libro del celebre giornalista, scrittore e sceneggiatore sudafricano, il regista originario di Mabopane, cittadina a nord di Pretoria, ha evidentemente ritrovato tutte o parte di quelle argomentazioni a lui care, tanto da volerne fare un film. Effettivamente la storia, la tipologia di personaggi che la animano e le tematiche affrontate, sembravano scritti su misura e che puntualmente si è cucito addosso, plasmandoli a immagine e somiglianza del suo modo di fare e concepire l’audiovisivo.
In Codice: cacciatore il regista Mandla Dube torna ad affrontare temi a lui cari come la libertà, l’indipendenza, le radici, i principi umani e la lotta tra il bene e il male
La vicenda narrata ha come protagonista un ex-soldato speciale ritiratosi a vita privata insieme alla compagna Malime e al figlioletto di lei. Il suo nome è Zuko Khumalo e dopo avere deciso di cambiare vita è andato a lavorare presso un concessionario di moto. Ma come accade nella stragrande maggioranze delle storie come queste, il passato ci mette poco a tornare a bussare alla porta. A rigettarlo nella mischia è Johnny Klein, suo vecchio capo e precedente leader dell’opposizione che gli chiede di compiere un’ultima missione per sabotare l’ascesa al potere come Presidente sudafricano del crudele e corrotto Daza Mtima. L’uomo decide suo malgrado di farlo, rientrando in un mondo di cospirazioni, intelligence e morte che aveva giurato di abbandonare per sempre, questa volta con l’obiettivo di proteggere i suoi cari e distruggere definitivamente Mtima, anche aiutato da fidati ex-compagni d’armi. Basta dunque leggere la sinossi di Codice: cacciatore per rendersi immediatamente conto di quante affinità elettive c’erano tra la matrice letteraria e la sceneggiatura. Il tutto ovviamente al netto di un processo di riscrittura che per esigenze cinematografiche e volontà dell’autore della trasposizione hanno preferito sviluppare determinati aspetti e dinamiche della trama piuttosto che altri. Il ché ha innescato una mutazione genetica per quanto concerne il genere nella quale si andava a iscrivere la matrice originale, accentuando nel prodotto cinematografico la componente action che nel libro era decisamente inferiore a livello di dosaggio. Il romanzo infatti puntava molto di più sul thriller e sull’intreccio mistery, cosa che invece nel film è abbondantemente ridimensionata.
Codice: cacciatore è un prodotto d’intrattenimento a buon mercato più adatto agli amanti del genere di serie B che ai palati fini ed esigenti
La suddetta mutazione ha a nostro avviso decretato il fallimento del progetto, con la veste action che ha completamente depotenzializzato la materia prima di partenza, il cui spesso narrativo, drammaturgico e tematico era di gran lunga superiore. Codice: cacciatore è diventato, suo e nostro malgrado, un prodotto d’intrattenimento a buon mercato più adatto agli amanti del genere di serie B che ai palati fini ed esigenti. Un palato che tra l’altro deve anche accontentarsi di un retrogusto televisivo, a tratti stucchevole e difficile da mandare giù, simile a quello che i frequentatori del piccolo schermo e dei canali generalisti possono trovare nelle serie poliziesche del palinsesto pre-serale come Siska o Squadra Speciale Cobra 11. Questo per rendere l’idea su che tipo di confezione, stile e approccio tecnico si va incontro nel momento in cui si decide di avventurarsi nella visione della pellicola di Dube, che rispetto a L’assedio di Silverton ha compiuto non uno, bensì più passi indietro. Ciò però non sembra avere scoraggiato gli utenti della piattaforma a stelle e strisce che, al contrario, l’hanno proiettato immediatamente nella top ten dei film più visti nella settimana d’uscita. Paradossi dello streaming.
In Codice: cacciatore l’attore Bonko Khoza si trova alle prese con la copia mal riuscita di un man of action vecchia scuola
Con Codice: cacciatore, il regista e all’occorrenza direttore della fotografia sudafricano offre alla platea del web una storia d’intrighi e corruzione ambientata a Città del Capo che ruota intorno alle disavventure di un ex sicario, l’ennesimo verrebbe da dire, che si trova coinvolto in una vera e propria cospirazione che nel suo caso potrebbe addirittura cambiare le sorti del suo Paese. Se nelle pagine del romanzo, l’autore era riuscito a creare una spirale di violenza e corruzione decisamente più efficace, intrigante e coinvolgente, l’intreccio su e intorno al quale ruote e si sviluppa la timeline della trasposizione risulta banale, ridondante e privo di qualsiasi mordente narrativo. Insomma niente di nuovo da dichiarare dal punto di vista del plot, delle dinamiche e dei personaggi, a cominciare dal protagonista che clone ha appiccicata addosso per l’intera durata l’etichetta del clone. Il ché non gioca di certo a favore di chi è stato chiamato a vestirne i panni, ossia un Bonko Khoza alle prese con la copia mal riuscita di un man of action sulla falsa riga di Tyler Rake, John Wick, John Matrix di Commando, Stanley Hill di Io sono vendetta e del Bryan Mills della trilogia di Taken, tanto per citare qualche nome illustre. Ma lui è solo una delle vittime sacrificate sull’altare dell’azione e dell’intrattenimento fine a se stesso, che tra l’altro sul versante spettacolare e adrenalinico non ha nemmeno tanto da dire e da mostrare che valga la pena ricordare. Il campionario fatto di inseguimenti, sparatorie e corpi a corpi, è quello che è e sinceramente, ripensando agli standard attuali e dai livelli coreografici raggiunti a certi livelli, qui non si raggiunge neppure la sufficienza.
Codice: cacciatore – valutazione e conclusione
Prosegue la collaborazione tra Netflix e il regista sudafricano Mandla Dube, che dopo L’assedio di Silverton torna sulla piattaforma a stelle e strisce con un action-thriller di serie B, derivativo e dalla confezione spiccatamente televisiva sia dal punto di vista tecnico che narrativo. Accantonando quanto di buono c’era nel materiale di partenza, ossia il romanzo Heart of the Hunter di Deon Meyer che sul versante mistery aveva sicuramente qualcosa in più da dire per quanto riguardo l’intreccio, il risultato per assecondare mere esigenze commerciali decide di puntare sull’azione. Quest’ultima però ha un tasso di spettacolarità ben al di sotto degli standard richiesti del genere in questione, con inseguimenti, sparatorie e combattimenti che coreograficamente non raggiungono nemmeno la sufficienza. Bonko Khoza, star del cinema sudafricano, che qui veste i panni dell’ennesimo ex-agente in pensione costretto a tornare in pista per scongiurare la minaccia di turno, fa quello che può per salvare baracca e burattini e non andare a picco con il resto della nave. Si salvi chi può.