Alessandro Loprieno, fondatore di WeShort: “Ma perché i corti no?”
Cos'è il cortometraggio raccontato da chi, da oltre tre anni, tiene le redini di uno dei canali di distribuzione più attivi sul formato a livello mondiale, al cinema il 6, 7 e 8 maggio con i corti degli ultimi Oscar
La grandiosità di un’opera breve passa per il suo contatto con il pubblico e per la sua consistenza all’interno del mercato e Alessandro Loprieno, fondatore di WeShort, è probabilmente una delle figure più autorevoli in grado d’interpretare e di raccontare quella che è oggi la realtà distributiva dei cortometraggi.
L’imprenditore 33enne nato e cresciuto nella provincia di Bari, vista la grande passione cinematografica sfociata in un’assetata conoscenza del corto come formato e della sua suo condizione all’interno dell’industria, tra il 2019 e il 2020 decide di fondare una piattaforma di streaming, col fine di avvicinare il grande pubblico a quella branchia della cinematografia per troppo tempo marginalizzata a causa della sua durata e delle conseguenti difficoltà di produzione e distribuzione.
Dopo il successo ottenuto lo scorso anno, con gli oltre 4000 biglietti venduti per la proiezione su più settimane del corto vincitore degli Oscar 2023, An Irish Goodbye, WeShort torna in sala il 6, 7 e 8 maggio con il sostegno di Shorts tv e la collaborazione di Amaranta Frame, per portare al cinema, per la prima volta, 10 corti candidati agli ultimi Oscar, sia quelli d’animazione, tra cui il vincitore War is over! Inspired by the music of John & Yoko, sia quelli in live action, tra i quali emerge il cortometraggio diretto da Wes Anderson, La meravigliosa storia di Henry Sugar, con Benedict Cumberbatch e Ben Kingsley.
Dalla necessita di un riconoscimento di valore per l’opera breve agli scrupolosi passaggi imprenditoriali necessari per la creazione di una startup, l’intervista ad Alessandro Loprieno passa per la sua grande passione per il cinema e per l’orgoglio di aver creato qualcosa di necessario.
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Partiamo da te: qual è stato il tuo percorso? Dove nasce la tua passione per il cinema?
“La mia passione per il cinema nasce quando avevo 6/7 anni ed è poi stata una costante nella mia vita; sono cresciuto guardando film, in adolescenza collezionavo DVD e ho imparato l’inglese grazie al cinema. Sono un vero e proprio divoratore, ma la cosa che è cambiata lungo il percorso è che ha un certo punto mi sono chiesto «ma perché i corti no?» E questa domanda ha cambiato tutto. Dopodiché ho iniziato ad informarmi: ho capito che il corto non veniva distribuito nella maniera adeguata, che non c’erano aziende che puntassero specificatamente su quello, pur essendo sempre stato presente nella storia del cinema e in quella delle carriera di tutti i grandi registi, soprattutto ai loro albori.
Ho compreso che il corto aveva problemi sia di distribuzione che di produzione e che l’avvento del digitale ha cambiato le cose: prima per distribuire un corto nei festival bisognava fare come per i film ed un regista era più propenso a cercare chi gli producesse, piuttosto, un lungometraggio a basso budget. C’è quindi stato un periodo in cui il corto non era al centro dell’interesse di chi produceva ma, con la digitalizzazione, si è iniziato ad utilizzare strumenti in grado di agevolare processi produttivi e distributivi.
Poi, chiaramente, la digitalizzazione da sola non basta, infatti il mercato che si è sviluppato negli ultimi 15 anni, lo ha fatto in maniera abbastanza selvaggia: quando noi siamo arrivati sul mercato non c’era nessuno che mettesse a terra delle strategie per fare comunicazione sul corto e che desse delle aspettative rispetto alla produzione, così che un regista potesse decidere di realizzare un corto non solamente col fine di arrivare al festival, ma pensando anche alla possibilità di arrivare al grande pubblico attraverso la piattaforma”.
E quindi è qui che arriva WeShort; com’è nata esattamente?
“Nasce con me che, nella primavera del 2019, ero seduto al cinema da solo, nella stessa sala in cui oggi programmiamo la serata dei corti Oscar, una sala in quel momento vuota, e mi faccio la domanda: «ma perché non guardo i corti? Ma perché non mi fanno vedere un corto prima dell’inizio di un film, in quel momento di vuoto?». La scintilla è scattata in quel momento, poi un anno di studio, di preparazione e la pandemia, che ha fatto sì che io potessi distaccarmi dal lavoro precedente. Prima ero assistente di volo per una compagnia aerea, facevo quello per vivere, ma il mio sogno era quello di fare cinema, anche se non sapevo in che modo e in che ruolo. Avevo capito solamente che era la parte business che mi interessava.
Poi è arrivata quest’idea – ed è chiaro che il momento in cui tu inizi a fare una cosa fa la differenza – è arrivata la pandemia, eravamo tutti a casa e le compagnie aeree non volavano, quindi ho potuto concentrarmi per quasi un anno sulla realizzazione di un piano industriale. Ho fatto tutto il percorso come startup, ho pensato al nome, ho pensato alle strategie, sono andato a cercare investitori, tutto tra 2020 e inizio 2021. Quindi nel 2020 eravamo solo un’idea, a fine anno è nata la società e a inizio 2021, in tre mesi, da zero avevamo la piattaforma con più di 200 corti.
È stato tutto volutamente molto veloce perché abbiamo seguito la Lean Startup Methodology, un metodo di business per cui non si aspetta di essere perfetti per andare sul mercato e si non aspetta di avere moltissimi soldi da investire.
Sono partito investendo tutti i miei risparmi in questa azienda, quindi credendoci fermamente. Poi siamo partiti, con tutte le difficoltà di un’azienda che parte con pochissimi soldi, con una sfida importante, in uno scenario comunque importante come quello dello streaming, dove i numeri sono da capogiro, cercando di trovare anche interessamento da parte dei piccoli investitori, per poi arrivare all’investimento di Minerva Pictures, con Santo Versace, e ai fatti più recenti”.
Quando siete partiti quindi avevate già un vostro catalogo?
“Sì, dopo che abbiamo creato la società, e una volta completato quello che si chiama processo di validazione, abbiamo incominciato a contattare qualche Festival, qualche regista. Ricordo benissimo la mia prima videocall con Franco Calandrini, del Ravenna Nightmare Film Festival, che è stata una delle prime persone a cui ho raccontato di WeShort e che mi disse: «WeShort è così bella che sembra che esista già, secondo me avrai successo, io credo in questa cosa quindi ti metto a disposizione tutti i contatti che ho del mio festival». Siamo partiti da lì, abbiamo iniziato a contattare i primi distributori, i primi produttori, i primi film maker e poi la cosa è partita da sola: noi da gennaio del 2021 riceviamo ininterrottamente candidature di cortometraggi, mediamente 500 a settimana, senza mai aver fatto campagna di marketing vera e propria”.
A livello pratico come funziona la piattaforma? C’è un’iscrizione?
“Funziona come le altre piattaforme: ha un’iscrizione gratuita, con contenuti accessibili a chiunque, e poi c’è la versione a pagamento, che dà accesso all’intero catalogo. Siamo, tra l’altro, in fase di rilascio di una nuova versione dell’app, che verrà lanciata nelle prossime settimane.
Diciamo siamo stati costantemente al lavoro sia sulla parte di contenuti che sulla parte di tecnologia e poi chiaramente per consolidare anche il posizionamento sul mercato”.
Successivamente come sei riuscito a portare i corti al cinema? Già lo scorso anno avevate proposto qualcosa di simile, giusto?
“Esatto, noi siamo partiti con la distribuzione del corto che ha vinto l’Oscar lo scorso anno, con l’ipotesi fiduciaria che se avesse funzionato bene un solo cortometraggio, più corti dello stesso rango avrebbero potuto sortire maggiore interesse sia da parte delle sale che da parte del pubblico. Inoltre, per avere un risultato ancor più veritiero da questo test, l’anno scorso non abbiamo speso budget in marketing. Abbiamo portato in 20 sale – Circuito Cinema, Circuito Anteo e qualche altra sala qua e là – il corto che ha vinto l’Oscar e abbiamo mandato una mail a tutti gli iscritti italiani su WeShort, dicendo che c’era la possibilità di vederlo. Tutto ciò ha sortito 4000 paganti, per un biglietto che costava 3€, in un periodo dell’anno non di piena per le sale e che quindi ci ha consentito di programmarlo per addirittura quattro settimane. La cosa ha ha funzionato e ha destato attenzione, rinnovando l’interesse delle due catene e permettendoci di ampliare e migliorare il prodotto, questa volta con Shorts tv come partner e aiutati da Amaranta Frame.
Quest’ipotesi fiduciaria ci ha portato poi a proporre l’iniziativa di quest’anno, con l’idea di replicarla nel tempo, anche su altri formati; gli Oscar possono essere un inizio, vediamo come va, siamo fiduciosi.
Quest’anno sicuramente stiamo anche spendendo di più budget sul marketing, perché l’operazione richiede un maggiore sforzo, ma ci aspettiamo un risultato congruo”.
È strano pensare a quanto, nell’era del contenuto breve, dei Reel e di Tik Tok, il cortometraggio viva ancora in una condizione di marginalità. Considerate tutte le premesse dette sino ad ora, tu vedi un futuro al cinema per i corti?
“Io penso di sì. Tendo a valutare sempre passo per passo quello che viene fatto; è chiaro che aver creato un’azienda che punta tutta la sua identità sul cortometraggio implica l’ipotesi fiduciaria che il cortometraggio possa diventare consueta abitudine in sala. Noi siamo qui apposta, per far sì che questo accada e che diventi un’abitudine, così le persone non si dovranno più stupire e il corto diventerà, come deve essere secondo me, una cosa normale.
Immagina una scena: nel mezzo di una giornata caotica decido di prendermi una pausa per me stesso, non sarebbe bello potermi rinchiudere mezz’ora in una sala cinematografica per avere un momento di pace e guardare un corto? Oppure ancora: con la famiglia al centro commerciale vai pure a fare le tue compere, io vado a guardarmi un corto, ci vediamo fra mezz’ora. È come prendersi un caffè”.
Alessandro Loprieno e la grandezza dei corti: dall’Oscar ai festival
Compresa la realtà attorno a cui nasce l’esigenza di creare uno strumento nuovo, in grado di elevare il cortometraggio ad opera d’arte, al pari di prodotti dall’opposta durata, con Alessandro Loprieno si è poi fatto cenno ai cortometraggi vincitori delle due categorie, emblematici entrambi, in maniere difformi, per poi concludere con i corti che hanno particolarmente segnato il suo percorso e le realtà festivaliere che ne hanno permesso lo sviluppo.
Il vincitore dell’Oscar come migliore cortometraggio del 2024, La meravigliosa storia di Henry Sugar, che vede la direzione di Wes Anderson accompagnata da un cast d’eccezione, è emblematico per questa riscoperta dell’opera breve, come i corti di Lanthimos, di cui adesso tanto si parla, o di altri registi blasonati. Credi che si stia andando sempre più in questa direzione?
“Dal mio punto di vista l’opportunità è questa, quella di non relegare all’opera prima di un regista il fatto che il pubblico venga a conoscenza del regista stesso, cioè sarebbe bello che il pubblico conoscesse il regista già dai suoi corti. Anche dal punto di vista produttivo, il fatto che un regista abbia già un suo pubblico grazie ai corti, è un elemento di valore. È lo stesso principio che viene applicato con i content creator; per quale motivo applichiamo questo principio per i contenuti video delle piattaforme di video sharing, invece l’approccio alla produzione cinematografica è differente? Perché mai nessuno si era preso cura dei corti così da vicino prima d’ora. Se io sono un regista e ho il mio corto distribuito in 500 sale, posso già portare dei dati e dei risultati all’attenzione di un produttore che deve produrre la mia opera.
Le persone vanno al cinema e scelgono i contenuti basandosi su un binario che è exploration o explotation: l’explotation colpisce coloro che subiscono maggiormente la pubblicità, l’exploration è quello a cui si dedica un cinefilo come me. Chiaro che il pubblico per l’80% è d’explotation, ma queste due cose oggi possono andare anche di pari passo e quindi il cortometraggio può essere anche affrontato in maniera diversa.
Secondo me elevare il corto aiuta tutta la filiera, anche perché si va a validare in piccolo quello che si potrebbe fare in grande. Io temo che in futuro vedremo un cinema che parla da solo, che parla a sé stesso, e una frattura con il pubblico sarebbe grave per il cinema, diventerebbe autoreferenziale e sarebbe solamente per fare dei salotti post festival. Ma non è quello il cinema secondo me”.
War is over, miglior corto d’animazione, è a tal proposito la prova di come in soli 10 minuti, peraltro privi di dialogo, si possa comunicare un messaggio fortissimo; sei d’accordo?
“Hai toccato proprio una corda molto sensibile. È un corto bellissimo, fatto benissimo, non c’è nulla da dire, poi dietro ci sono delle leggende come Yoko Ono e suo figlio Sean, che hanno contribuito fortemente alla nascita di questo progetto. Secondo me è un corto che dovrebbero vedere tutti, specialmente oggi; oggi non servono tre ore per mandare un messaggio che colpisca il cuore delle persone, bastano10 minuti. Io l’emozione che ho provato in quei 10 minuti, l’esperienza emotiva, lo scavo che ho fatto, con molti film che ho visto ultimamente non l’ho provata”.
Quali sono i primi corti che ricordi di aver visto? Ce n’è qualcuno in particolare che ti ha segnato?
“Da appassionato di film horror, una volta ho visto che si chiama Steel, in cui c’è un mimo che deve rimanere immobile, ma è circondato da zombie che sbranano le persone. È horror sì, ma fa anche ridere. Poi c’è The Eleven O’Clock, divertentissimo, che purtroppo non abbiamo ancora su WeShort, non sempre è facile trovare i diritti. Poi sicuramente il corto di Scorsese, The Big Shave, i lavori di Kubrick, Amblin di Spielberg, corto realizzato coi suoi risparmi e che ha dato il nome alla sua casa di produzione. Insomma, più che a un corto in particolare, mi sono appassionato alla storia di come il corto abbia avuto la sua importanza, avvicinando persone che sono apparentemente distanti: George Lucas, Steve Jobs, Kobe Bryant – vincitore dell’Oscar – lo stesso Lanthimos, con diversi corti come Mimic, lanciato recentemente da WeShort.
Ho i miei preferiti ma ormai mi sento affezionato in generale al formato. Prima ero dall’altra parte e ora che ho creato la piattaforma possono fruire di un sacco di lavori eccezionali. È una cosa che mi emoziona”.
Per quanto riguarda le realtà festivaliere cosa ci puoi dire? Le frequenti spesso?
“Recentemente ho avuto una bellissima esperienza con Cortinametraggio, Maddalena Mayneri è una delle prime persone in Italia ad aver creduto nel cortometraggio, portando avanti questo Festival per tantissimi anni. Sono grato a persone come Maddalena, allo stesso Franco Calandrini del Ravenna Nightmare, che è stato un padre iniziatore. Poi l’anno scorso abbiamo collaborato con Alice nella città, siamo diventati partner del Sundance Institute, da due anni vengo invitato da Cannes e da Venezia come decision maker per la parte industry del mondo dei corti e abbiamo persino rapporti anche con Festival in Sud America, come Bogoshorts. Abbiamo consolidato delle partnership con tantissimi Festival proprio per aiutarli ad avere una maggiore esposizione; c’è un rapporto di scambio, un’intersezione interessante per per entrambi”.