Cannes 77 – I Dannati: recensione del film di Roberto Minervini

Roberto Minervini si affida alla sintesi di autenticità documentaria e ricostruzione storica per I Dannati, in sala dal 16 maggio 2024 per Lucky Red dopo il passaggio al Festival di Cannes, sezione Un Certain Regard.

Il 16 maggio 2024, per Lucky Red, in sincrono con la prima assoluta al Festival di Cannes, sezione Un Certain Regard. Importante, molto, che I Dannati esca quando l’attenzione dei media e del pubblico esigente è massima (qualcuno ha detto La Chimera?), quando c’è margine di manovra per una risposta, anche commerciale, soddisfacente. Scritto e diretto da Roberto Minervini, che di base (ma non esclusivamente) è documentarista, ma qui ribalta la formula. Se il metro, per il suo cinema più recente – Louisiana (2015) e Che fare quando il mondo è in fiamme? (2018) – è il documentario ibrido, quello che flirta con la finzione, con I Dannati il regista italiano (americano in spirito e biografia) tenta il gioco opposto. Sceglie il massimo dell’artificio, il dramma storico, il film in costume, ma lo fotografa nella maniera più realistica possibile. Con Jeremiah Knupp, René W. Solomon, Cuyler Ballenger, Noah Carlson, Judah Carlson, Tim Carlson.

I Dannati: la guerra, gli uomini, la frontiera

I Dannati cinematographe.it recensione
Copyright Okta Film.

Se c’è una cosa che a Roberto Minervini proprio non interessa, è lo stereotipo. I Dannati non ha voglia di misurarsi con le convenzioni del genere, neanche il tempo; è un bene. Non c’è spazio per una certa rilettura, retorica e tronfia, di concetti come eroismo, onore e valore. Lo sfondo è la guerra, la guerra civile, ma non quella che gli Stati uniti stanno combattendo oggi, no, di quella se n’è occupato, con il suo bel film, Alex Garland. Qui è la Guerra Civile Americana; è a un certo punto di questa tragica e caotica pagina della Storia che il film prende il via. Siamo nel 1862. La guerra è cominciata da un anno circa, ne mancano tre alla conclusione (finirà nel 1865). Un drappello di soldati, volontari, è inviato dagli alti comandi dell’esercito nelle inesplorate terre dell’Ovest. L’idea è di controllarle e presidiarle. Lontani i protagonisti,molto anche, dal teatro degli scontri; è un’anomalia interessante perché, quante volte capita un film di guerra che si concede il lusso di starsene così lontano dal suo palcoscenico naturale? Un film di guerra senza la guerra, o almeno la sua rappresentazione più convenzionale. L’eroismo denudato della retorica. Un esercito riassunto nei bisogni, le fatiche, il sangue e sudore di una scarna pattuglia. A questo punto viene da chiedersi a che gioco stia giocando, Roberto Minervini.

Un gioco che parte dalla grammatica del cinema, dalla preoccupazione per il linguaggio e arriva all’umanità, alla riflessione sulla guerra, su quelli che la fanno e quelli che la subiscono. I Dannati è un film in costume, un affresco storico, girato con l’immediatezza e la spontaneità del documentario. Questa la cifra stilistica, l’ideologia, di un regista che crede in un cinema al punto di convergenza tra artificio e sincerità. Che si tratti del documentario o, come è il caso, dell’opera di finzione, l’idea è di modellarne il battito intrecciando la plasticità dell’artificio alla spontaneità, l’imperfezione, il nervosismo della vita. I Dannati rifiuta la progressione narrativa standard: la storia evolve accumulando frammenti, episodi, fette di vita, privilegiando l’emozione e l’allusione a un’esposizione piatta e didascalica (e che non lascia spazio all’immaginazione). La frontiera è uno stato mentale e un luogo fisico; consente ai protagonisti di sentirsi contemporaneamente dentro la guerra e fuori, quasi estreanei a se stessi, con un distacco altrimenti impossibile. Hanno molto tempo per pensare e infatti pensano, alla vita e alla guerra, al modo in cui ci sono finiti dentro e alla ragione per cui combattono. I Dannati cerca la forza di un’emozione universale nell’intimità di un pugno di uomini. Mentre la natura, immobile e indifferente, offre una possibilità di redenzione. A patto che l’uomo sia in grado di coglierla.

Il cinema degli opposti di Roberto Minervini cerca la verità nella finzione e viceversa

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Cambiare le carte in tavola per restare fedeli a una vocazione. I Dannati è fiction riletta alla maniera di Roberto Minervini. Si diverte, il regista italiano trapiantato negli States, l’ha sempre fatto d’altronde, a conciliare creatività e amore per il vero, l’esatto; in una parola, il reale. E se, parole sue, il cinema di ieri è “documentario di creazione”, ibrido di spontaneità e artificio creativo, la posta in gioco con I Dannati è qualcosa di più audace e tradizionale. Un dramma in costume, un dialogo con la Storia, finzione animata di intimità e realismo. Il gioco è l’accostamento degli opposti: l’illusione della messa in scena e la tensione del reale. La frontiera come stato mentale e la brutalità della guerra. La guerra, esperienza retorica e collettiva raccontata dall’invincibile solitudine dei soldati. Il film mette, uno di fronte all’altro, il massimo dell’artificio e un sobrio realismo.

I Dannati vive di un equilibrio instabile. Si tratta di trovare la verità, l’intimità e la vita – nell’autenticità dei volti, nelle pause di una narrazione che concilia in maniera intelligente stasi e azione – attraverso l’artificio della ricostruzione. L’immagine plasmata dal direttore della fotografia Carlos Alfonso Corral ha un’eleganza semplice, un’allusività poetica e una tensione, un nervosismo, di taglio prettamente documentaristico; da ricordare, meravigliosa e tremenda nella sua formalmente curata e brutale sincerità, la battaglia che scuote la sonnacchiosa routine dell’accampamento. Oltre le pretese ufficiali e le grandi dichiarazioni, la guerra è un’esperienza esteriore – le battaglie, l’adrenalina, l’agonia, il sangue – ma anche qualcosa di estremamente intimo e privato.

Ogni soldato ha un retroterra, una visione della vita e dei suoi misteri, un pugno di ragioni, recriminazioni e rimpianti: il film fruga dentro l’individuo per smitizzare la retorica della guerra, isolarne le verità fondamentali e raccontare lo spirito dell’uomo in maniera realistica. Riesce, I Dannati a conciliare le due anime, l’artificio formale e il respiro di verità, affidandosi ai volti, assolutamente anticinematografici, dei protagonisti: sporchi, imperfetti e vitali. Indagando le ragioni di ciascuno il film mette a nudo contraddizioni, eterogeneità (di gusti, orientamenti, etnie) e fratture di un paese, gli Stati Uniti, contemporaneamente sollevato e limitato dalla sua complessità. I Dannati completa il gioco di opposti – documentario nello spirito ma strutturalmente opera di fiction, riflessione sulla guerra racchiusa nell’esplorazione dell’intimità individuale – riesumando il passato di una nazione per raccontarne il presente. Concentrandosi su una guerra in particolare, per rappresentarle tutte. Cercando l’universale dell’umanità nella singolarità dell’individuo. E viceversa.

I Dannati: conclusione e valutazione

Roberto Minervini insegue l’autenticità nell’artificio della finzione, spiega il presente guardando al passato, esalta l’umanità nella brutale degradazione della guerra, affida la sua riflessione universale sulla condizione umana all’intimità dei personaggi. La parola chiave è sintesi. I Dannati è la sintesi di due mondi cinematografici apparentemente agli antipodi, l’ibrido di fiction e autenticità che cerca di prendere il meglio da entrambi – il senso di distacco alimentato dalla ricostruzione storica, il battito della vita restituito dal documentario – per fare della sua una verità tridimensionale, fissandone ogni angolazione. Il ritmo e l’apparente esilità della struttura narrativa non soddisferanno la totalità del pubblico ma, molto più di un esperimento, I Dannati, per la forza dei suoi volti, così lontani dagli stereotipi, per il mix di atmosfere, ha una poetica e sincera vitalità che non può passare inosservata.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.7