The Surfer: recensione del film con Nicolas Cage visto a Cannes 2024
Il nuovo film di Lorcan Finnegan è stato presentato fuori concorso alla 77ª edizione del Festival di Cannes.
Era dal 1990 di Cuore selvaggio che Nicolas Cage non faceva la sua apparizione sul tappeto rosso del Festival di Cannes e, pur tornando quest’anno in punta di piedi, ha saputo far rumore animando una delle crepitanti nottate di un’edizione sorprendentemente ricca. The Surfer – presentato fuori concorso alla 77ª edizione del festival, in presenza del cast e dell’autore – è l’ultima fatica del regista irlandese Lorcan Finnegan che, dopo aver incuriosito critici ed appassionati di tutto il mondo con il suo Vivarium, anch’esso presentato a Cannes nel 2019, ha voluto confermarsi come talento da tenere d’occhio e come esperto modulatore delle psichiche scompensazioni umane, con un thriller che gioca con le abilità percettive dello spettatore, dando a Cage tutto lo spazio necessario per potersi dimostrare perfettamente calzante per il ruolo. Scritta da Thomas Martin (White Widow), l’opera ruota attorno ad uno spazio ben definito, con pochissime location ed un assoluto protagonista, compensato dalla presenza di personaggi che ne determinano il delirio, tra cui l’antagonista Scally, interpretato da Julian Mcmahon (Nip/Tuck, Premonition).
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The Surfer: ondate disorientanti
Il tentativo di un padre di ricucire un rapporto ormai logoro con il proprio figlio, portandolo a condividere la comune passione per il surf sull’idilliaca spiaggia teatro della sua infanzia, nelle primissime battute del film si trasforma in un duro scontro con una banda locale autoproclamatasi padrona della spiaggia. L’ostinazione del protagonista, determinato a ricomprare la casa abbandonata in giovane età, non sembra però voler scendere a patti con l’aggressivo e reiterato rifiuto dei giovani rivali, tanto da trattenerlo, per sua unica volontà, nel parcheggio poco distante, per quasi l’intera durata della pellicola.
Ma quando la trama sembra così essersi definita entro limiti prudenti, ecco che si apre un percorso allucinatorio all’interno della mente di un personaggio che, con il procedere dei fotogrammi, perde progressivamente il contatto con la realtà, ponendo continuamente dubbi nello spettatore su quale sia effettivamente la chiave per giungere al senso più profondo di ciò che viene mostrato. Da elegante ed abbiente uomo d’affari, il surfista lentamente si vede tolto ogni lusso ed ogni illusoria certezza ed è pertanto costretto – passando dalle figure poste di fronte – ad affrontare sé e il suo passato, arrivando a trapassare la soglia della disperazione e avvicinandosi sempre più a riconoscere nella miseria del senza tetto, che ciclicamente riappare, una proiezione del proprio io più recondito.
Fuori e dentro la testa
Se la follia è di casa a Cannes, The Surfer ha trovato il posto giusto da cui partire: il santuario di uno psicologico squilibrio che si sfoga sull’immensità degli schermi del festival. Il percorso del film segue una schizofrenica discesa nell’io e costringe lo spettatore all’interno dei pensieri disordinati e disorientati del protagonista. Non è data una spiegazione chiara, ma piuttosto una risoluzione, una risalita dal baratro nel quale Nicolas Cage sprofonda caoticamente, dando anche alla sala un senso di incompiutezza che viene dissipato dalla scena della sua disperata reazione ai patimenti concatenatisi senza un attimo di respiro.
Lo spettatore è angosciato quanto il protagonista, è irritato, freneticamente alla ricerca di una risposta, di una maggior presa di coscienza, e come esso non percepisce se la realtà sia un’alterazione mentale data da una condizione estrema o invece la manifestazione di una realtà semplicemente preda del caos. Gli spunti abbondano e nella seconda parte sembrano suggerire un forte legame tra il crollo fisico e psichico del personaggio ed i fantasmi mai affrontati del suo passato, quei fantasmi rimasti sepolti sotto le onde increspate del luogo, per poi arrivare ad una conclusione che riconnette ogni punto, sovrapponendo possibili congetture e facendo confluire più strade lungo un unico sentiero.
The Surfer: valutazione e conclusione
Lorcan Finnegan dimostra uno stile del tutto personale, capace di coinvolgere per l’intera durata del film e di riuscire a tener sollecitata l’attenzione e la curiosità del pubblico sino alla sua conclusione; un’operazione complessa, considerata la struttura dell’opera delimitata all’interno di uno spazio compreso tra la spiaggia e il parcheggio con essa confinante, e considerata la presenza quasi totalitaria di un solo personaggio. Eppure le frenetiche riprese, accalorate da un’afosa fotografia e da un sonoro esasperato sino al fastidio, generatore di oniriche suggestioni e accompagnamento costante delle virate squilibranti del protagonista, fanno sì che anche il pubblico avverta la medesima sensazione di smarrimento, bisognosa di sprofondare per poter riemergere sulla cresta dell’onda.
Nicolas Cage è al centro e si vede cucire addosso un ruolo su misura, abbagliato dai turbamenti come molti altri personaggi a lui assegnati e come lui stesso, in vita, è stato per diversi anni. La pellicola suggerisce una riscoperta di sé che passi dall’abbattimento delle illusioni riflesse sul proprio io e dal superamento dei fantasmi che ne determinano una prigionia subconscia; una pellicola che difficilmente emergerà da questa edizione ma che non va dimenticata, come non va dimenticato il nome di un autore che promette di regalare interessanti sorprese.