Pietro Falcone su Saudade: “credo che le immagini, i ricordi, ci formino” [VIDEO]
Quanto è importante documentare?
Come può un racconto familiare, intimo e quasi segreto, celato alla vista, diventare una storia “da maneggiare”? Scoprire attraverso le mura domestiche cosa vuol dire amare, se stessi, gli altri e la propria terra d’origine, è il dono che viene fatto attraverso il film-documentario Saudade del regista emergente Pietro Falcone. In quest’intervista con il regista, ci troviamo a conversare, a scavare dietro la realizzazione, ma soprattutto cerchiamo di scoprire quale sia il monito che spinge un narratore a far entrare gli spettatori in casa sua, attraverso i racconti di una madre e della sua storia cangiante, ricca di dolore ma anche d’infinita gioia.
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La genesi di Saudade
Com’è nata l’idea di fare Saudade?
“L’idea è nata dopo la realizzazione di un cortometraggio che ho fatto quando andavo ancora in accademia. Ho iniziato a mostrarlo a dei miei compagni di classe e mi hanno suggerito di svilupparlo in qualcosa di più lungo, più sostanzioso. Così lo proposi alla mia professoressa di produzione (Livia Barbieri) e con lei abbiamo iniziato a lavorare alla produzione di questo lungometraggio. Dopo 2 anni di lavoro avevamo una progettualità abbastanza avanzata ma non riuscivamo a iniziare a girarlo, poiché mancavano i mezzi per farlo come ci sarebbe piaciuto. Una volta tornato qui, in Abruzzo, lei mi suggerì di provare a girarlo da solo, con i miei mezzi. Iniziando a girare mi sono trovato subito a mio agio e dopo tre mesi di riprese avevamo la maggior parte delle scene concluse.”
È stato difficile trovare i soldi per la produzione?
“Sì, prevalentemente perché è si parla di un progetto abbastanza complesso. Per spiegare meglio lo sviluppo sarebbe meglio dividerlo in due fasi. Nella prima fase di sviluppo romano abbiamo cercato di realizzarlo in modo classico a livello produttivo: lo abbiamo proposto ad alcune case di produzione, abbiamo cercato alcuni investitori privati. Insomma, c’è da dire che la prima versione della sceneggiatura era una qualcosa di completamente diverso dalla versione finale. Infatti, dopo aver montato il materiale che avevo girato per conto mio, avevo un montato di un’ora e mezza molto grezzo, fatto di pancia. Quando gliel’ho proposto al produttore (Cristiano Di Felice) lui dopo una manciata di minuti mi ha proposto di lavorarci insieme. Qui subentra la fase pescarese di produzione, lì è stato diverso. Il lavoro è stato comunque difficile; tutta la parte di riprese era già stata chiusa e a noi serviva il budget per poterlo concludere dal punto di vista della post-produzione. Cristiano mi ha messo in contatto con una sua ex studentessa, Tessa Laporese che è diventata la mia montatrice. Così mentre noi lavoravamo al montaggio, avendo deciso di rimontare tutto da capo, lui si è occupato della ricerca fondi associandosi ad altri produttori. Quindi durante i due anni di montaggio, post-produzione, color, composizione della colonna sonora (Giuseppe Lo Faro) e via dicendo, il produttore si è dato un gran da fare per trovare le risorse. Alla fine però siamo riusciti, anche in maniera più agevole di com’era successo a Roma.”
Quanto è stato difficile raccontare una storia così intima e familiare?
“Devo dire che è stato difficilissimo. Quando ho iniziato a lavorarci Livia mi aveva avvertito che sarebbe stato difficile. Per incoscienza, per ingenuità dicevo fra me e me <<Vabbè, che sarà mai?>>. Alla fine ho sofferto tantissimo, sia per come si è sviluppata la storia sia andando a girare, sviscerare, situazioni familiari private che io in primis non conoscevo. Sono stati periodi veramente tosti, però alla fine di tutto ne è valsa la pena.”
La necessità di rivivere i ricordi
Come si è svolta la ricerca di immagini di repertorio?
“Questo da un punto di vista è stato più semplice rispetto al girato, poiché si parla di un repertorio che conosco molto bene. Quando ero più piccolo ci riunivamo in sala io e la mia famiglia e lo riguardavamo; mia mamma spesso lo riguardava per conto suo. In un certo senso è un repertorio che avevo a disposizione immediatamente. Era qui in casa pronto e, ripeto, lo conoscevo molto bene. La parte in Super 8mm invece è stata molto più difficile. Cercavo video, ma anche foto, di mia nonna e della famiglia di mio padre in generale. Andando a parlare con vari parenti ho scoperto che in famiglia avevamo anche un videoamatore che girava in Super 8mm che aveva questi rulli sviluppati, ma non riversati. Spesso l’etichetta non corrispondeva al suo effettivo contenuto, quindi anche per motivi di budget siamo andati un po’ alla cieca. Ci è andata bene sostanzialmente (ride). Ho visto per la prima volta mio nonno in movimento ed è stato un momento molto emozionante.”
Quanto è stato importante il ruolo di tuo padre all’interno della produzione visto che molti immagini di repertorio sono state girate proprio da lui?
“Io credo fortemente che le immagini che abbiamo visto, e non sono l’unico a pensarlo, in un certo modo ci formino. Rivedendo tutto il repertorio, ma anche le fotografie che poi non sono state inserite nel documentario, mi sono reso conto che il mio occhio è molto simile al suo. Di conseguenza nella sceneggiatura originale questa cosa volevamo anche marcarla. Lavorando con Tessa abbiamo cercato il modo di farlo vedere, anche se poi ci siamo resi conto che sarebbe stato un qualcosa di troppo didascalico. Alla fine abbiamo deciso di evitare dei confronti diretti pensando che comunque si sarebbe notato comunque, e ad esempio sono contento che tu l’abbia notato.”
Come l’ha presa la tua famiglia quando è uscito il documentario?
“In realtà bene. La paura che avevo è stata più che altro che fraintendessero le mie intenzioni, perché secondo me da un punto di vista narrativo, drammaturgico, esiste un antagonista, ci sono molti ostacoli. Però nella seconda parte del documentario questa cosa viene sovvertita conoscendo quelli che crediamo essere gli antagonisti. Non avevo paura però mi sarebbe dispiaciuto se avessero frainteso le mie intenzioni. Mia madre si è emozionata molto, mio padre è molto contento. Quando siamo usciti dal cinema, dopo la prima, un mio amico gli ha chiesto cosa ne pensasse e lui ha detto che è stato felice del fatto che avessi raccontato tutta la storia, da tutti i punti di vista, senza prendere le parti di nessuno.”
I prossimi lavori seguiranno una prospettiva documentaristica o saranno storie originali?
“Il lavoro che sto scrivendo adesso riguarda una famiglia, ma è un film di finzione. Ha dei punti di contatto con Saudade, è sempre una ricerca nel passato, nei segreti delle famiglie, ma con una chiave molto diversa dal documentario ovviamente.”