L’arte della gioia – Parte 1: recensione della serie Sky di Valeria Golino

L'arte della gioia è un racconto potentissimo di emancipazione e ribellione, di trasformazione e di scoperta.

Modesta, un piccolo tizzone ardente. Un animaletto vorace e pieno di vita. Mangia senza posate, parla in dialetto, lascia le sue deiezioni in giro. Modesta nasce il primo gennaio del 1900 nell’entroterra siciliano, una terra povera che sembra condannare chi ci abita ed è proprio alla povertà che la protagonista si abitua come una di quelle malattie che entrano nelle vene e lì prendono stazione. In quella casupola cresce insieme a sua madre e ad una sorella disabile, donne con cui litiga ogni giorno a causa della sua indole ribelle e libera. Dopo la tragica scomparsa delle due, però, Modesta resta sola e viene affidata ad un convento dove entra nelle grazie della Madre superiora, Leonora, che la prende sotto la sua ala protettrice, la nutre, le dà un’istruzione solida. Così inizia L’arte della gioia, primo adattamento (prodotto da Sky Studios e da Viola Prestieri per HT Film) del libro di Goliarda Sapienza, scritto a più mani da Valeria Golino che è anche regista, Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella e Stefano Sardo, costituito da sei episodi – il primo in première mondiale al 77° Festival di Cannes -, diviso in due parti, che arriveranno in sala il 30 Maggio 2024 (la prime parte) e il 13 giugno (la seconda).

L’arte della gioia – Parte 1: un coming of age che è tante cose insieme

Golino nella prima parte del suo L’arte della gioia narra l’infanzia della protagonista, passando per l’esperienza nel convento, per poi arrivare alla villa della Principessa Gaia Brandiforti (Valeria Bruni Tedeschi, irresistibile come di consueto), madre di Leonora, una strepitosa Jasmine Trinca, capace di rappresentare malizia e rigore al tempo stesso. La regista ha da sempre detto di non aver intenzione di seguire pedissequamente il romanzo, opera complessa, intricata, poderosa, di volerne capire e tradurre anima e corpo, respiro e intento, piega densità e scandalo del romanzo d’origine (scritto tra il 1967 e il 1976) seguendo la narrazione di un coming of age che porterà Modesta ad elevarsi.

Modesta: “è vero, ho rubato parte della gioia da tutti e da tutto”

L’arte della gioia ruota e si costruisce proprio intorno a Modesta, un nome che mal si combina con quella piccola bambina, poi ragazzina che si dibatte, sfugge, morde, brama conoscere e vivere, incarnata alla perfezione da Tecla Insolia impastando e cibandosi delle meschinità, dei desideri forti che si impongono su tutto e tutti come dice la stessa Modesta. Mal sopportava madre e sorella, regole e paletti sociali, naturali, morali – primo fra tutti, inconsapevolmente certo, il suo stesso nome -, risponde a violenza con violenza, sa cosa vuole, impara a conoscersi sin da piccola indagando i confini del corpo, dell’anima, imparando da ogni situazione. Per lei il corpo non è un limite, come vorrebbero farle credere, ma uno strumento, la sua mente arma e risorsa.

Ruba sempre Modesta, ruba tutto, concetti, parole, note, tutto ciò che, se lei fosse rimasta nell’entroterra, difficilmente sarebbe riuscita a intercettare, masticare, introiettare. Prende il suo spazio tra le braccia di Madre Leonora, e lo fa con la sua solita impertinenza, tipica di quello “spettacolo indecente” che lei stessa veste (vestiva), di quella “disgraziata che puzza di capra”

Proprio mentre il suo corpo viene fasciato, arginato, il tumulto dentro le carni continuava a bruciare e infatti un’adulta Modesta dice: “loro avevano Dio, io volevo la vita. e alla vita loro opponevano parole come male, inferno, obbedienza, peccato”.

La storia di una bambina che nonostante le brutalità della vita continua a bruciare

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“Ti hanno legato come un cane rognoso? Sei così cattiva figlia mia? […] Ti hanno lasciato come un pomodoro al sole.”

Modesta porta una ferita difficile da cancellare, un dolore primigenio di cui lo spettatore viene a conoscenza attraverso una serie di flashback che straziano. Modesta bambina crede di essere al sicuro, quello che arriva e la scioglie dalle catene è suo padre, ma non dovrebbe fidarsi di lui. Se la madre la vede cattiva, un diavolo, il padre la vede come un bocciolo e non perde occasione di adorarla, Golino è bravissima a far capire fin da subito, lo sguardo pericolosamente malizioso di quell’uomo che guarda con bramosia sua figlia. La regista fa intendere dalla vicinanza, dal tocco quale sarà la fine di una violenza sessuale indicibile e inspiegabile. 

Vediamo poco di quella scena però la percepiamo totalmente, anche quando ci viene mostrato, nel buio più totale, il volto spaventato e sofferente di Modesta e il corpo di quel padre al suo arrivo, un eroe baciato dal sole, bello e allegro, che canta e libera la figlia e ora una massa informe mostruosa e terrorifica di cui non riesce più a capirne i contorni. Modesta però arde e brucia. Modesta deve ribellarsi, deve vendicarsi.

L’arte della gioia è una storia potentissima di crescita e maturazione, di un corpo e anima che pulsano e ribollono, Modesta e come l’opera stessa mutevole, irregolare e anche per questo inarginabile, indomabile e difficilmente addomesticabile. Modesta viene spesso punita, anche se in modi e in luoghi diversi viene costretta a bagni di umiltà, viene messa in catene, viene messa in celle (fisiche o psicologiche, morali o sociali) nonostante le venga detto in più di un’occasione che fuori c’è la guerra, il male, dentro, in convento, si è protetti.

L’arte della gioia – Parte 1: il viaggio di una bambina/ragazza/donna libera che è un atto politico

L'arte della gioia - Parte 1_cinematographe.it

La conoscenza è pericolosa per una donna, lo dice spesso Madre Leonora a Modesta, ma quest’ultima è desiderosa di sapere, di diventare dotta proprio come lo è la Madre. Proprio Modesta, nata povera e nel/di sangue cattiva, arde dentro e fuori, distrugge tutto anche solo con il suo sguardo ed è in realtà tutto ciò che fanno le bambine/ragazze/donne che vogliono andare oltre, uscire dai limiti imposti.

“Non farò la governante, non mi voglio sposare, non sarò mai la serva di nessuno”

Modesta voleva ribaltare l’ordine da ragazzina, quando come una piccola lupacchiotta scura e ombrosa, correva e si sporcava di terra, lo fa ancora in convento e poi di nuovo quando arriva nella casa della nobildonna.

Il sapere e il desiderio (di sapere ma non solo) sono parte di lei, della sua indole, e ogni suo passo è un vero atto politico, dal cielo alla terra per arrivare al corpo – la bramosia di Modesta è di perlustrare se stessa ma non solo. A Sant’Agata “bruciarono le carni, strapparono i seni”, racconta questo Madre Leonora a Modesta quand’è solo una bambina, come per farle intendere da subito quale è la condizione delle donne, per evitare la violenza devono stare un passo indietro, quindi la vita femminile si costruisce su un bivio o nascondersi o bruciare. Modesta vuole ribellarsi e liberarsi, non vuole silenziare nulla, desiderio, ambizione. Guardare il cielo, vivere, esistere al di là del ruolo imposto.

“Che cosa ho detto, perché l’ho fatto”

Lei è un’antieroina che continua a sbagliare, non è un santino, non rappresenta ciò che la società vuole, è una creatura animale che desidera, seduce, gode, brucia, sospira. Può anche aggredire, essere violenta, sfruttare, manipolare. Le diranno infatti che ciò che è “sbagliato” in lei è insito nella sua testa, arriva perfino ad odiare e per questo si sente libera finalmente. Nonostante il suo passato doloroso, sceglie di non rinchiudersi ma di gettarsi nel mondo, sceglie di studiare.

L’arte della gioia – Parte 1: valutazione e conclusione

L’arte della gioia è un racconto potentissimo di emancipazione e ribellione, di trasformazione e di scoperta di ogni tipo che passa attraverso il corpo e la mente, è l’epopea di una ragazza selvaggia, decisa a sondare e scavare liberamente dentro il piacere, lasciando parlare così i propri desideri più oscuri e intimi. In questa prima parte Golino è capace di mostrare, grazie alla splendida interpretazione di tutte le attrici e gli attori, quanto Modesta sia specchio in cui potersi riflettere e capire. Narra anche la società, oppressiva a patriarcale – in questo termine si può leggere fascista, mafiosa, amorale nel senso più ampio del termine -, spesso spietata con le figlie più ribelli che desiderano superare i (propri) limiti, figure che vogliono rompere convenzioni, tabù, regole.

L’arte della gioia, nonostante le differenza dovute anche al fatto che non si tratta più di un’opera letteraria ma di una serie tv, fugge da ogni possibile categorizzazione perché eccentrica nel senso etimologico, è ancora oggi testo vorticoso, appassionato, potente perché spiazza portando al centro libertà sessuale, amore fisico, capacità di rompere argini.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.8

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