L’arte della gioia – Parte 2: recensione finale della serie TV di Valeria Golino
La recensione de L'arte della gioia: un inno alla libertà di una giovane donna che mente, ruba e sbaglia.
Arriva al cinema il 13 giugno 2024, la seconda poderosa parte di L’arte della gioia, primo adattamento (prodotto da Sky Studios e da Viola Prestieri per HT Film) del libro di Goliarda Sapienza, scritto a più mani da Valeria Golino – che è anche regista – , Luca Infascelli, Francesca Marciano, Valia Santella e Stefano Sardo, costituito da sei episodi – il primo in première mondiale al 77° Festival di Cannes -, diviso in due parti, la prima uscita il 30 Maggio 2024 e questa seconda. Dopo i primi tre episodi, intensi e potentissimi, Golino abita un altro periodo della vita di Modesta, una bravissima Tecla Insolia, che dopo essere stata accolta nella villa della Principessa Gaia Brandiforti (Valeria Bruni Tedeschi, irresistibile), ormai si prepara per costruire il suo futuro, lontano da capre e alberi, povertà e fango. Gaia Brandiforti ha scelto Modesta, anzi Modì come è stata ribattezzata, per fare grandi cose, le riconosce intelligenza e scaltrezza, le dà in mano tutto. Come riuscirà a prendersi ogni cosa Modesta? Come sarà capace di affascinare anche lo spettatore con il suo carisma terrigno e sensuale, con la sua intelligenza vivace e “scaltra”.
L’arte della gioia: un intenso viaggio di formazione
Lo ripete come un mantra Modesta, “è vero, ho rubato parte della gioia da tutti e da tutto” perché continua a fare ciò, sempre e comunque. Modesta ha fame, di vita, di cose, di corpi e di gioia, soprattutto. Quella bimba che correva tra gli alberi, è ancora una persona con quell’indole lì, non è stata incasellata, ingabbiata, anzi, forse è ancora più avida, “vogliosa” nel senso più profondo – e in tutti i sensi insieme – del termine. Modesta è una bimba tosta e curiosa, nata in Sicilia in una famiglia molto povera, subisce abusi dal padre, un mostro che le toglie tutto e si prende gioco della sua ingenuità, e poi tosta e curiosa ancora viene accolta in un convento e va a servizio in una famiglia aristocratica di cui si guadagnerà la fiducia, arrivando ad amministrarne il patrimonio. Una giovane donna che si occupa di numeri, di lavoro, assieme agli uomini, una “selvaggia” praticamente. Modesta è toccata dal destino, riesce lì dove nessuna sarebbe riuscita, e, proprio per questo, non vuole e non intende perdere tutto questo.
Quello di L’arte della gioia è un viaggio che non lascia in pace mai, non può indugiare Modesta, deve andare avanti, altrimenti potrebbe cadere, crollare e essere rimessa ai margini, o peggio essere rimandata lì da dove è venuta. Ha una ferma volontà di vivere, anzi di afferrare ciò che non le è stato concesso, ciò che desidera, ciò che le spetta di diritto (o almeno secondo un suo “diritto”). Si tratta di un romanzo di formazione di una donna che ha vissuto con coraggio, forza, determinazione e caparbietà ogni momento della vita, anche quelli più dolorosi, è autentica, passionale, si innamora e fa innamorare di sé uomini e donne – qualcosa di impensabile per quel periodo -, impara, legge, costruisce il suo bagaglio culturale, vive fuori dagli schemi e quando è all’interno di quegli schemi spezza catene, confini e esonda con il mare, o distrugge tutto come un terremoto. Non si arrende di fronte alle difficoltà, ha una libertà di pensiero quasi impensabile per le altre a lei coeve ed è mossa da una grande ambizione. È una sfidante delle vita, delle convenzioni, delle imposizioni (culturali, sociali, politiche).
Un inno alla libertà di una giovane donna che mente, ruba e sbaglia
Modesta rappresenta un modello femminile che mancava e forse per certi versi manca ancora, una protagonista femminile nella quale chiunque potrebbe identificarsi perché non legata a nessun connotato di genere aprioristico.
Lei dimostra in ogni istante chi è, dimostra il suo essere persona piena di vizi e di buchi neri, ha compiuto tantissimi errori, gesti impulsivi spinta dalla rabbia e dal rancore – ha dato fuoco a sua madre e a sua sorella, ha gettato nel vuoto Madre Leonora. Combatte, uccide, si prende gioco degli altri, truffa emotivamente e fisicamente, brama carne, sesso, cultura. Modesta si sbarazza di chiunque la ostacoli, di chi le si è parato davanti, cerca il piacere, prova attrazione sessuale nei confronti della madre superiora che è per lei più una sorella maggiore che una figura materna, usa il suo corpo come mezzo per concupire ed anche ottenere ciò che vuole. Scoperta farebbe qualunque cosa per non perdere privilegi e ruoli che a fatica si è cucita addosso, che è riuscita ad avere tra le mani. Non le possono togliere nulla.
Lei non è stata una privilegiata, è riuscita a lavarsi e levarsi di dosso il suo essere “disgraziata che puzza di capra”, “spettacolo indecente”, coprendo il suo corpo desiderato e desideroso con abiti eleganti e con profumi. Eppure il passato la abita ancora, i flashback la scuotono, quelle ferite ci sono ma non le impediscono di vivere, di amare, di desiderare come a dire che la violenza subita non può silenziare la voglia di vivere tutto.
L’amore è il motore, l’amore per la vita che lei ama in tutte le sue forme, per la libertà, per uomini e donne, li ama anche per poco, per brevi istanti, la durata di un amplesso, di un bacio nascosto, di una danza con una ragazza che zoppica.
È una libertà mordace che si sbarazza di tutti i codici morali, di tutto ciò che è considerato lecito, normale oppure d’obbligo e rigenerare il mondo dal principio secondo le sue idee, il suo sentire, la sua realtà. Per essere considerata, per ottenere il nome deve sposare Ippolito, figlio di Gaia e unico vero erede dei Brandiforti, segregato perché portatore di un disagio, ma al tempo stesso viene travolta dalla passione per Carmine (Guido Caprino) che gestisce le terre della villa. Deve essere considerata la buona Modì che si prende cura di Ippolita nonostante tutto, addirittura ne diventa la moglie ma dall’altra parte ha pensieri criminosi e deve ribellarsi a chiunque e a qualunque cosa.
Modì si prende corpi, si ciba dell’altro e non si vuole privare di nulla, ne sono un esempio il rapporto amoroso con Beatrice, la più giovane della famiglia Brandiforti, e anche quello con Carmine. Due poli opposti del piacere, l’una dolce, timorosa, gelosa, l’altro passionale e terrigno proprio come la terra da cui la giovane viene. Anche nella sfera sessuale non vuole paletti e imposizioni.
L’arte della gioia: il racconto di una donna “disordinata” e scabrosa
L’arte della gioia è figlia della scrittrice e dell’opera a cui si ispira, disordinata, scabrosa, dimentica di tutte le regole, proprio come Modesta, disordinata e scabrosa, ribelle per forza di cose. Lei è il punto focale della narrazione, ad ogni passo si accende di dolore e di piacere al tempo stesso, è disposta a godere del bene e del male. Modesta, Modì, lei e tutte le sue trasformazioni si presentano potentissime e piene di sfumature, su di lei passano il tempo, la Storia, le vicende umane.
La protagonista sta cambiando come il mondo intorno a lei ed è emblema di ciò un dialogo tra Gaia, donna ormai matura, malata, malferma – nonostante la sua forza, la sua indole e il suo carisma – rappresentazione di un mondo che non c’è più, e Modesta, giovane, in forza, pronta a nuove “battaglie”. Gaia, sempre comunque poderosa e crudele, nelle sue parole e nei suoi gesti, sa essere buona e comprensiva ma anche crudele e spietata, non perde occasione di sottolineare quanto, proprio mentre lei sta sfiorendo, l’altra brilli di una luce fulgida, non può assolutamente accettarlo. La serie soprattutto in questi ultimi episodi deve narrare anche i grandi eventi che attraversano la vita della protagonista, mentre Modesta si sente sempre più padrona nella villa, conscia di avere il mondo nelle proprie mani, la villa Brandiforti è sempre più rinchiusa in se stessa a causa della spagnola – non si possono non trovare punti di contatto con l’oggi, ovvero la pandemia; i personaggi devono portare mascherine, disinfettare, stare a distanza -, malattia che ucciderà moltissimi abitanti della dimora.
Golino dentro questo magma pulsante, complesso e bellissimo, si muove dentro le maglie della storia di Modesta, quella della donna in genere e della grande Storia di un’Italia che sta maturando. Ama la sua antieroina, lo si percepisce in ogni inquadratura, ne ama la trasgressione, le ferite, la libertà e il suo essere figura eccentrica che turba e ammalia.
L’arte della gioia: valutazione e conclusione
La seconda parte di L’arte della gioia si trova a dover narrare una storia se possibile ancora più complessa e intricata. L’opera di Goliarda Sapienza è un’opera poderosa che è tante cose insieme, è una storia rivoluzionaria e anche un po’ perversa – le critiche per Sapienza sono state tantissime all’epoca e Golino ha molto combattuto per realizzare questa serie – di seduzioni e di amori, di tradimenti e segreti, di fughe e di ricerca di libertà. Troppo rivoluzionaria Modesta, troppo poco condiscendente, troppo libera, capace di cogliere le note distoniche di chi la circonda e di ciò che le ruota intorno, proprio per questo Modì viene amata, proprio per questo seduce perché è una che non retrocede mai anche a costo di essere sbagliata, cattiva, brutale. L’arte della gioia stupisce ancora colpendo per la libertà e l’indipendenza della sua protagonista, una donna che, a dispetto del nome, non può essere fermata da nulla e da nessuno. Come Goliarda Sapienza e Modesta, Golino è riuscita coraggiosamente a portare sullo schermo la titanica crescita di una bambina ardente che si fa strada nella vita a tutti i costi e a qualunque prezzo. Combatte sola, guidata dal suo istinto, una battaglia che molte altre in un modo o nell’altro, in un senso o in un altro hanno intrapreso. Lo spettatore viene travolto dall’inno alla libertà, all’autocoscienza e all’autodeterminazione di Modì, un canto di dissenso e di disobbedienza che fragoroso prorompe dentro e fuori di noi, dentro e fuori le ville e le casupole, sotto terra e nell’aria dell’Italia di ieri e anche in quella di oggi.