5 film di Takeshi Kitano da vedere per amare il regista giapponese
La summa del cinema di uno dei massimi registi giapponesi.
Uno dei massimi registi giapponesi contemporanei, Takeshi Kitano è un comico, poeta, romanziere, creatore di show televisivi (suo il celebre Takeshi’s Castle) pittore ed ovviamente regista e attore cinematografico. Scopriamo quali sono i film imprescindibili per cogliere al meglio il sapore del cinema di uno dei maestri del cinema giapponese, ed orientale, dell’epoca contemporanea.
Takeshi Kitano, maestro del cinema giapponese: tra comicità e gangster
Il buon Takeshi Kitano nasce come comico e show man televisivo negli anni ’80. Popolarissimo in patria, creatore del programma Takeshi’s Castle (ricordate “Mai dire Banzai” format televisivo della Gialappa’s band in cui si rideva delle peripezie di squinternati concorrenti nipponici alle prese con giochi d’avventura cartooneschi e acrobatici? Ecco, quello). Pittore e poeta, oltre che attore, il nostro esordisce dietro la macchina da presa quasi per caso, in sostituzione di Kinji Fukasaku, durante le riprese di Violent Cop di cui era attore protagonista. Il suo stile secco, lento, rabbioso fanno di questo poliziesco noir un’opera di rilevanza festivaliera tanto da esportarlo anche, meritevolmente in Occidente. Da qui in poi, il nostro diviene un vero e proprio autore cinematografico, capace di imprimere una sua poetica ora dai toni buffi e ora dai toni nichilisti e pessimisti, realizzando pellicole intime e minimali quasi senza dialoghi come Il silenzio sul mare (1991), o nel caso dell’ammaliante ed episodico Dolls (2002), entrambe film in cui Kitano non appare come interprete, e film buffi improntati come un susseguirsi di sketch comico-demenziali come Getting Any? (1994) e Glory to the Filmmaker (2007). Attraverso il cinema gangster però realizza le opere che definiscono la svolta artistica, nei casi di Sonatine (1993) e Hana-bi (1997), oltre che con Brother (2000), unico dei suoi film girato in America. La fusione tra commedia, malinconia e figure mafiose (il personaggio di Kitano è uno Yakuza che accompagna un bambino in un viaggio alla ricerca della madre) trova sfogo nel meraviglioso L’estate di Kikujiro (1999). Si cimenta anche con il cinema jidai geki (ovvero il cinema storico in costume, filone florido in Giappone, spesso legato a storie di samurai), con Zatoichi (2003) e recentemente con Kubi (2023), due film che demitizzano il mondo dei samurai e infarciti di ironia buffa raccontano di mondi bagnati di sangue e imprevedibilità morale e legale. Andiamo a scoprire quali sono quelli che possiamo considerare come i 5 film migliori da non perdere assolutamente nella filmografia di un autore epocale per il cinema giapponese come Takeshi Kitano, selezionati in ordine cronologico.
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1. Sonatine (1993)
Alla sua quarta regia (la seconda in cui è protagonista come interprete), Takeshi Kitano gioca con gli stilemi dello Yakuza movie per tessere un racconto diverso, genuinamente sarcastico e con un fondo giocoso, malinconico e intriso di amaro, ma anche dagli echi surreali, astratti.
Si tratta di un passaggio definitivo alla consapevolezza di essere un autore da parte del regista, alla (ri)presa di coscienza del suo amore per il polar francese à la Jean-Pierre Melville e le imbeccate di violenza à la Sam Peckinpah, già espresse nei suoi primi due noir (Violent Cop e Boiling Point), condite con il suo trascorso da comico e da artista visivo (tra cui la pittura). Una vera e propria summa del suo cinema, pertanto uno dei migliori film di Takeshi Kitano.
2. Hana-bi (1997)
Ex poliziotto, ora affiancato alla Yakuza, Nishi (Kitano) è tormentato dal rimorso di un collega ucciso e di un altro finito paralizzato, in più ha una moglie malata di cancro.
E un sacco di debiti. Fa una rapina, vestito da poliziotto e si mette in fuga con la moglie, verso il mare.
Film crepuscolare, attutito da piccoli momenti poetici, più vicino al polar francese che non allo Yakuza movie tradizionale, ma in realtà più vicino al dramma intimista che non al vero e proprio film di genere, attraverso il quale ci passa di sbieco e col quale Takeshi Kitano vuole filtrare tutta la sua dimensione di autore, anche dal punto di vista pittorico (con diversi suoi quadri che fungono da intermezzo o da dècor ad alcune sequenze).
Piuttosto originale, destrutturata nell’azione, per messa in scena, per punto di sguardo, la sequenza della rapina, mentre il resto del racconto è un incedere sobrio ed elegante che avvolge con garbo e soffice malinconia, fino ad un epilogo di elegante rassegnazione al fato.
3. L’estate di Kikujiro (1999)
il viaggio di un bambino di nome Masao e di un gangster dai modi spicci ma infantile di nome Kikujiro (interpretato da Takeshi Kitano) alla ricerca della madre del primo è il fulcro di una storia melanconica e divertente, dal piglio buffo e giocoso ma anche toccante, accarezzato da piccoli momenti di surrealismo poetico e accompagnato da una delle più belle colonne sonore della storia del cinema, composta da Joe Hisaishi. Senza dubbio uno dei film più belli del regista giapponese.
4. Brother (2000)
Uno Yakuza giapponese, Yamamoto (Takeshi Kitano), è costretto a lasciare il Giappone, dopo una mortale resa dei conti tra clan. Va a Los Angeles, dal fratellastro Ken, membro di una combriccola di spacciatori. Assieme formeranno una spietata gang.
Brother è probabilmente la perfetta sintesi del cinema di un autore che ama il genere ma lo fa ridefinendolo con la sua poetica, un regista che intrattiene e disintrattiene con i suoi tempi, serafico ed esplosivo, beffardo e amaro, minimale e goliardico. Ma è anche probabilmente il film più fruibile per quella fetta di pubblico che approccia per la prima volta al suo cinema.
5. Zatoichi (2003)
Un misterioso massaggiatore cieco (Kitano) arriva in un villaggio oppresso dai banditi che chiedono il pizzo alla povera gente.
Ma il mite e solitario straniero, armato di bastone-katana, sistemerà le cose.
Avventuroso che si rifà alla tradizione del jidai geki, genere storico corrispettivo del “cappa e spada” (noto anche come Chambara) del Sol levante, ambientato in un Giappone tardo medievale, con rigore scenico e una fotografia dai toni lividi e freddi.
Kitano dirige e interpreta (con indimenticabile chioma bionda), sceneggia e monta (come sua consuetudine di “total control” sulle sue opere) uno dei suoi migliori film, forse il più gustoso, dal respiro anti epico e i toni quasi farseschi, con una buona cura dei personaggi, una curiosa miscela di tradizionale e moderno (con il sangue in digitale di “coreografica” riuscita) ed un finale che culmina in un eclatante e divertentissimo momento musicale, con tanto di tip tap collettivo e sonorità strabordanti e trascinanti, in uno dei momenti più gustosamente “folli” (e geniali) di tutto il suo cinema.