Kevin Spacey – Dietro la maschera: recensione della docu-serie Discovery
Un durissimo ritratto dell’attore premio Oscar sulla base di nuove testimonianze di uomini presunte vittime di abusi e molestie sessuali
Un tempo era tra gli attori più richiesti e osannati di Hollywood, oggi quando si pensa a lui vengono prima in mente le accuse di molestie sessuali che hanno cambiato per sempre la sua vita e dato una battuta d’arresto alla sua brillante carriera: Kevin Spacey – Dietro la maschera è una docu-serie in due puntate che mette sotto i riflettori nuove testimonianze di attori e dipendenti dell’industria cinematografica inglese e statunitense che avrebbero subito molestie e abusi sessuali da parte dell’attore premio Oscar. La serie, prodotto e diretta da Katherine Haywood, è disponibile su Discovery+, e vede anche la partecipazione di Randall Fowler, il fratello maggiore di Spacey, che ha raccontato della loro difficile infanzia.
Il lato oscuro di Hollywood
Protagonisti della serie sono 10 uomini non coinvolti nei processi a carico di Spacey (assolto sia a New York nel 2022, sia a Londra nel luglio 2023), solo uno di loro aveva già parlato, testimonianze che abbracciano 5 decenni, alcune risalenti al 1981: Daniel, figurante nella serie House of Cards, Andy che negli anni ’80 lavorava al New York Public Theatre, e poi aspiranti attori come Scott e Jesse, fino a giovani attori dell’Old Vic di Londra dove Spacey è stato direttore artistico dal 2003 al 2015. Era il 2017 quando Spacey venne accusato di molestie sessuali da parte dell’attore Anthony Rapp per un fatto risalente al 1986, quando aveva 26 anni e Rapp solo 14, e da allora tante sono le presunte vittime che si sono fatte avanti per denunciare i comportamenti scorretti e abusanti del celebre attore. Kevin Spacey – Dietro la maschera raccoglie le dichiarazioni di chi ancora non aveva avuto modo o il coraggio di parlare, di raccontare la propria traumatica esperienza. Ne viene fuori il ritratto di un uomo sprezzante del disagio e delle difficoltà altrui, perverso e incurante del male che stava causando a chi si trovava davanti sia quando era solo uno studente di recitazione, sia quando era il potente e osannato attore di Hollywood. Sono racconti sofferti, increduli: come quello di Daniel, Scott e Jesse che dopo l’incontro con Spacey credono in una svolta della loro carriera ma riescono solo a vedere il lato oscuro di Hollywood, quando ancora il caso Harvey Weinstein non aveva scompaginato quel mondo fintamente dorato, e portato alla luce abusi, molestie, soprusi da parte di produttori, attori, registi, inaugurando l’era del Mee Too.
Le interviste ai testimoni e giornalisti che hanno indagato sulla vicenda si alternano alle immagini di repertorio e a stralci di interviste fatte a Kevin Spacey nel corso della sua carriera che sottolineano, a volte forse un po’ troppo forzatamente, alcuni aspetti denunciati dalle presunte vittime, come il nascondere per anni la sua omosessualità, come se questo potesse essere indice di colpevolezza, o la sua predisposizione a interpretare personaggi malvagi o ambigui, come il celebre Keyser Söze del film cult I soliti sospetti: “L’ambiguità del personaggio ha spinto il pubblico a vederlo come un attore di cui non ci si poteva fidare”, dice il giornalista Adam Vary, una dichiarazione che appare semplicistica e forse un po’ troppo “al servizio” della tesi sposata dalla docu-serie, perché a questo punto cosa dovremmo pensare di Joaquin Phoenix o di Anthony Hopkins, solo per fare qualche esempio?
Una docu-serie sbilanciata
Tra le testimonianze che colpiscono tantissimo, con una carica drammatica notevole, ci sono quelle di alcuni ragazzi inglesi, come Danny, che faceva la maschera all’Old Vic, o Ruari, tra gli attori di quel teatro, che appaiono sincere, i cui fatti raccontati sembrano aver segnato davvero la loro vita. Lungi dal giudicare, ma le esperienze raccontate da Danny e Ruari non sono paragonabili a quelle, ad esempio, di Jesse, che aveva recitato nel film con Kevin Spacey, The Big Kahuana, e che dichiara placidamente che per fare carriera era disposto a soddisfare, pur controvoglia, le richieste a sfondo sessuale del celebre attore: una scelta legittima, ma parlare di traumi in questo caso è fuorviante, soprattutto per rispetto a chi avrebbe subito dei veri e seri danni, come i ragazzi inglesi sopracitati.
Kevin Spacey – Dietro la maschera aggiunge nuovi tasselli all’intricata vicenda Spacey e rivela, cosa ormai nota dopo il caso Weinstein, le pericolose dinamiche e gli squilibri di potere all’interno dell’industria dell’intrattenimento, ma lo fa in maniera incompleta, dando voce solo alla parte accusatoria e dimenticandosi di fornire anche testimonianze della controparte: la produzione della serie chiarisce che “Kevin Spacey non ha avuto il tempo e le informazioni sufficienti per rispondere alle testimonianze”, ma viene difficile pensare che non sia stato disponibile nessun amico, o anche solo uno dei suoi tanti legali, a prendere le difese dell’attore. La presenza limitata del fratello, Randall Fowler, serve solo a raccontare la terribile infanzia vissuta con il padre violento, che collezionava cimeli nazisti (non vi ricorda il colonnello Frank Fitts di American Beauty?) e che aveva abusato di lui, ma non di Kevin Spacey, ma la sua non è una vera difesa del fratello, ma il ritratto di una famiglia disfunzionale che potrebbe aver portato a seri danni nella psiche dell’attore. Chiariamo però che in Randall non c’è l’intenzione di giustificare per questo le presunte azioni del fratello, ma forse la sua testimonianza sarebbe dovuta essere più approfondita.
Kevin Spacey – Dietro la maschera: valutazione e conclusione
Una docu-serie sbilanciata ma comunque importante per riflettere su una vicenda dolorosa dai diversi punti di vista (anche se quello dell’attore è stato trascurato), e sulle conseguenze delle dinamiche tossiche di potere in ogni ambiente, ma una visione completa della storia avrebbe sicuramente dato ancora più valore a chi ha avuto la forza di parlare.