Maschile plurale: recensione del film di Alessandro Guida
Molto è già nel titolo: Maschile plurale. Arriva un momento in cui non si può più parlare al singolare, non esiste un “io” ma deve esistere anche un “noi”. Un’unità di persone, di sentimenti, di cose. Almeno così dovrebbe essere, ma Antonio (un meraviglioso Giancarlo Commare) è ancora molto bloccato in sé stesso, nel passato, in ciò che è stato e ha turbato tutti. Maschile plurale, diretto da Alessandro Guida, firmato da Giuseppe Paternò Raddusa e da Gaia Marianna Musacchio, arrivato su Prime Video il 20 giugno 2024, sequel di Maschile singolare – opera prima di Matteo Pilati e Alessandro Guida e sceneggiatori insieme a Giuseppe Paternò Raddusa -, fortunato film che ha conquistato il pubblico uscendo su piattaforma, parte da lui. Antonio è diventato un famoso pasticciere, celebrato dai social e autore di seguitissime video-ricette, ma nella sua vita non ci sono più i due uomini a cui ha voluto più bene, Denis e Luca (un meraviglioso Gianmarco Saurino, reduce dai successi di Doc e e di Per Elisa), c’è tutto ma alla fine non c’è nulla. Antonio si trascina nelle sue giornate svuotato tra il lavoro e la sfera personale. Tutto cambia quando Luca ricompare dal nulla, ha letto un articolo in cui si parlava di Antonio. Basta uno sguardo e Antonio è di nuovo lì, incastrato negli occhi di Luca e di tutto ciò che lui rappresenta. Uno rivuole l’altro ma non sempre le cose sono così facili.
Maschile plurale: sorrisi e lacrime, malinconia e dolore, si deve attraversare tutto per crescere
Gli anni passano. Le cose cambiano e poi ci sono le persone con i loro bagagli di dolore e di amore, di strazio e di emotività. Antonio e Luca, dopo la morte di Denis, hanno scelto le strade da percorrere, lontani l’uno dall’altro, ma forse sempre un po’ legati con il pensiero all’altra persona. Antonio è pasticciere, Luca ora è impegnato nella gestione di una casa-famiglia per giovani LGBTQ+ insieme al suo compagno Tancredi (Andrea Fuorto). Sembra quasi che le storie di Luca e Antonio si siano capovolte oppure avevano solo bisogno di incontrarsi di nuovo e riguardarsi in faccia per riprendere le fila da dove si erano lasciati. L’incontro casuale, o non casuale, è per Antonio un segno: non è mai finito il loro amore, se lo dice nella testa e lo dice anche all’amica di sempre, Cristina, una strepitosa Michela Giraud che riesce benissimo a prendersi il proprio spazio, gestendo momenti più intimi e quelli più comici, fino ad arrivare a dare allo spettatore momenti metacritici (parla di minestre riscaldate, di sequel che non sono mai come l’originale, strizzando l’occhio a tutte quelle battute che si fanno in questi casi). Antonio si convince, i sentimenti non sono mai finiti, e così organizza un piano per tornare con Luca, ex che non ha mai dimenticato (“dimenticare vuol dire levare dalla mente, scordare vuol dire levare dal cuore”).
Maschile plurale porta in campo tutto ciò che si prova quando si è legati al passato, coniuga con naturalezza malinconia e sorrisi, catturando la bellezza e la complessità delle relazioni. Con Antonio e Luca, si prova tenerezza e gioia, sofferenza e tristezza, voglia di condividere e di andare avanti e bisogno, a volte, di lasciare andare, o meglio fare pace.
Una tenera commedia queer
Se Maschile singolare era la storia d’amore di una persona che, dopo un viaggio anche difficile, imparava ad amarsi, in Maschile plurale il passo è ulteriore, il viaggio è ancora più complesso perché si ha a che fare con ferite più profonde. Antonio è ingabbiato in una vita che non lo rende felice, ha tutto eppure non ha niente, è rimasto bloccato a tre anni prima, alla morte di Denis, alla storia finita con Luca. Lui è lì, sembra che sia andato avanti ma invece no, non ha superato nulla, forse è meglio così, non affrontare. L’atarassia che ha colpito Antonio – per non pensare e non dialogare con lo strazio – lo ha reso anche un pasticciere poco originale, manca in lui quella fiamma che l’aveva fatto uscire dall’anonimato, basta avere nella mente qualcuno/qualcosa e produrre in nome di quella spinta. Non è facile, non lo è per niente quando ti senti svuotato.
Luca invece è passato attraverso il dolore, l’abbrutimento, è caduto, ma poi si è rialzato, anche se a fatica. Antonio trova il pretesto di aprire insieme all’ex una pasticceria ed è proprio questo il centro. Aprire un nuovo libro, guardare al futuro, ricominciare a pensare per due, qualsiasi cosa voglia dire questo due.
Il personaggio di Commare crede di dover riavere Luca per esistere, per riprendere le fila da dove la sua vita si era cristallizzata, ma è possibile riporre tutte le proprie speranze in un’altra persona? Anche su questo riflette Maschile plurale. Quanto si è disposti a fare per avere ciò che – chi – si vuole? Antonio bluffa, gioca con i sentimenti degli altri e forse anche con i propri perché non capace di leggere dentro sé stesso oltre che negli altri. Gioca con Luca perché lo rivuole con sé, con Cristina perché ha bisogno di lei in questo matto progetto di riprendersi il suo ex, con Dario (Giulio Corso), un flirt, presente anche prima nella sua vita, con cui tenta di far ingelosire Luca. Quanto può andare avanti così? Non tantissimo perché arriva il momento in cui bisogna guardarsi allo specchio.
Fondamentali in questo percorso sono gli amici che, se sono tali, sono sempre pronti ad appoggiare ma anche ad arrabbiarsi, a fermare l’altro quando sta sbagliando. Cristina è perfetta in questo, è l’amica che tutti vorremmo, lei vuole il bene di Antonio ma non lo riconosce e vorrebbe scuoterlo.
Maschile plurale: conclusioni e valutazioni
Maschile plurale è una commedia queer che accarezza e fa sorridere in modo tenero e genuino, è un prodotto che colpisce perché parla un linguaggio semplice e diretto. Guida e il suo gruppo di lavoro continua il suo viaggio dentro l’educazione sentimentale di Antonio e dei suoi amici, forse qui la storia è più legata agli schemi della commedia romantica tradizionale ed è meno libera della precedente ma è anche per certi versi più matura. Non si è più ragazzi, si è o si deve essere adulti che riescono ad essere più sinceri con sé stessi e con i propri sentimenti. Antonio, Luca, Cristina e tutti gli altri sono in quel momento dell’esistenza in cui si mettono i tasselli al loro posto, in cui si ci si sente estremamente persi e desiderosi di tornare lì dove si è stati bene perché è più facile così.
Forse il film è meno potente del precedente, ci sono anche dei momenti che potrebbero sembrare superflui eppure il viaggio dei suoi personaggi è tenero e autentico, accarezza anche le ferite di chi guarda e porta a riflettere su quanto spesso malinconia e dolore siano nemiche spietate.
Maschile plurale sbatte in faccia il bisogno di sognare ancora, di essere felici, di abbracciarsi e abbracciare, di piangere quando il dolore è troppo forte, e dice che avere ansia per un futuro che impone responsabilità, è normale, anzi fisiologico. Ci ricorda poi che abbiamo la necessità di essere plurali, di essere almeno in due e di affacciarci al mondo sorridendo, credendo qui nel domani.