Horizon – An American Saga – Capitolo 1: recensione del film di Kevin Costner

A distanza di ventuno anni dall’apparente e crepuscolare chiusura del racconto di frontiera avvenuta con Open Range, Kevin Costner torna nelle terre selvagge inseguendo l’epico sogno di una vita e carriera. Horizon – An American Saga – Capitolo 1 è in sala dal 4 luglio.

Se è vero che la moltitudine di fasi proprie del Marvel Cinematic Universe avrebbe dovuto prepararci gradualmente ad una sempre più convenzionale e normalizzata serializzazione del cinema, è altrettanto vero che niente sarebbe stato in grado di farlo rispetto ad Horizon – An American Saga. Progetto colossale, nonché sogno di un’intera e vita e carriera, quella di Kevin Costner, che prima di dare alla luce quella che oggi possiamo chiaramente definire come una delle più grandi, strutturate ed ambiziose follie della storia di Hollywood, ha dovuto attendere almeno cinquant’anni e più di vita e cinema, ipotecando i propri beni, ricorrendo all’autofinanziamento e inseguendo forsennatamente tutte quelle produzioni che avrebbe potuto aiutarlo ad ultimarla. Ed oltretutto la parola fine non è ancora stata pronunciata.

Uno sforzo umano, autoriale e produttivo senza precedenti – 100 milioni di dollari -, che per certi versi ricorda, ma non è il caso di sottolinearlo a gran voce, lo sfortunato e leggendario I cancelli del cieco di Michael Cimino, altro western dai toni epici, se non addirittura lirici dagli esiti fallimentari. Horizon – An America Saga – Capitolo 1 è finalmente giunto a noi, dopo una presentazione in grande stile all’ultima edizione del Festival di Cannes. Nelle sale a partire da giovedì 4 luglio, distribuzione a cura di Warner Bros. Entertainment Italia.

Horizon – An American Saga – Capitolo 1: recensione del film di Kevin Costner

Horizon – An American Saga: ballava coi lupi, ora invece con l’amore e il destino

La scena d’apertura di questo primo e più che atteso capitolo di Horizon – An American Saga è già di per sé paradigmatica rispetto a ciò che in seguito verrà. C’è qualcuno che traccia dei confini sulla terra. Se ad occhio nudo risultano invisibili, dal punto di vista di chi osserva attraverso la teoria e lo studio della materia, quei confini sono invece più che reali e concreti. Dall’alto, in lontananza, qualcun altro segue con attenzione quei tracciati, definendoli “un gioco, semplicemente un gioco”.

A seguire poco dopo, una maestosa, violenta e cupissima aggressione ai danni di un insediamento di civili, perpetrata da una tribù piuttosto spietata e belligerante di nativi americani nient’affatto disposta a condividere quella che agli occhi di ciascuno di loro, altro non è, se non terra di tutti e di nessuno. Costner, da abile narratore e grande autore di cinema, non si serve di questo ribaltamento per scopi di natura ingenuamente patriottica, al contrario, si prepara via via che il film prosegue ad un ennesimo ribaltamento, osservato ed elaborato questa volta non tanto dallo spettatore, quanto da una giovane vittima fortunatamente sopravvissuta al primo atto di violenza e forse definitivamente segnata dal secondo, quello più rapido e paradossalmente più brutale.  

Quanto racconta dell’oggi, quanto racconta di noi questa ambivalenza di protezione e guerra, che incessantemente produce necessarie prese di posizione a favore e immediatamente dopo, avverse? D’altronde il western è da sempre un genere di riferimento per chi sotterraneamente, ma nemmeno troppo, ha pensato al cinema come feroce ed istantaneo strumento politico, talvolta reazionario e talvolta progressista.

Protagonista assoluto di Horizon – An American Saga infatti non è più il Costner che un tempo ballava coi lupi, nient’affatto spaventato dalla guerra e dai conflitti di pensiero inevitabilmente radicati in quelle terre selvagge d’America, destinate di lì a poco a non esserlo mai più, quanto il mito del confine, che da (in)visibile si fa improvvisamente dichiarato, tracciato – torniamo alla scena d’apertura -, precisamente stabilito e per questa ragione, protetto ad ogni costo, anche con la vita.

Non vi è più tentativo alcuno di coesistenza, soltanto violenza e intolleranza. Due calzini ha da tempo lasciato queste terre, ma resta Costner, che ora balla con l’amore e il destino. Svestendo a sorpresa i panni del cowboy protagonista, quest’ultimo si fa da parte, permettendo l’evolversi e intrecciarsi di più storyline, capaci di coprire un arco di tempo decisamente importante e denso – quindici anni di espansione e insediamento del West americano, prima e dopo la Guerra Civile -, secondo un ordine narrativo mai realmente cronologico e lineare, passando per Montana, Wyoming e Kansas.

Raramente abbiamo osservato un cinema western di questa portata. Più cinematografica o seriale? Una cosa è certa, è presto per stabilirlo, forse entrambe o forse nessuna.

Horizon – An American Saga – Capitolo 1: Valutazione e conclusione

Trentaquattro gli anni trascorsi dal meraviglioso ed indimenticabile Balla coi lupi, ventuno invece dal ben più cupo, crepuscolare e malinconico Open Range, che segna per certi versi la chiusura del mito della frontiera secondo il Costner di quel periodo, un po’ come diversi anni prima aveva fatto Clint Eastwood con Gli Spietati. Così, per entrambi, il western è cominciato, finito e tempo dopo riaperto. Per Costner poi, il concetto di frontiera ha subito un’ulteriore trasformazione semiologica e tematica, non riletta ed osservata dalla modernità televisiva di Yellowstone, giungendo infine ad Horizon – An American Saga, alla sua resa dunque più pura, sconfinata ed epica possibile.

Senza tralasciare la nota maniacalità di Costner rispetto alla cura dei dettagli propri dell’accuratezza storica cui risponde l’intera saga di Horizon, è ancor più incredibile la gestione della coralità, considerandone il cast stellare (Sienna Miller, Sam Worthington, Jena Malone, Luke Wilson, Danny Huston, Ella Hunt, Abbey Lee, Michael Rooker e Giovanni Ribisi), che oltretutto è davvero ampio. A conferma delle capacità registiche di un autore che pur essendosi raramente posto dietro la macchina da presa; 4 volte nel corso di 40 anni di carriera cinematografica; ha mantenuto saldo non soltanto il proprio punto di vista sul tema, ma perfino sul cinema, divenendo firma di una cinematografia via via più elegiaca, maestosa, incisiva ed unica nel suo genere.

Ad oggi, cantori di tale portata del west e della terra di frontiera, ne contiamo relativamente pochi, pur guardando ad un panorama cinematografico internazionale e non soltanto statunitense. Primo dei quali, non può che essere proprio Kevin Costner, colui che più di ogni altro è rimasto esattamente questo, il west, incarnato da sempre in ogni ruolo e anima interpretativa, tra individui laconici, linguaggio scarno e sguardi ferocemente significativi.

È vero, per stabilire il successo di quest’enorme progetto è ancora molto presto. Ciò che fin da ora si può dire però, è che questo primo capitolo di Horizon – An American Saga è quanto di più maestoso, epico, denso, fortemente atmosferico e visivamente spettacolare si potesse immaginare, attendere e vedere sul grande schermo. Costner si – e ci – prende tre ore di durata per una grande preparazione dai tempi estremamente distesi, eppure apparentemente rapidi e perfettamente orchestrati. È soltanto un grande inizio. Lo abbiamo desiderato, lo abbiamo avuto. Non resta che attenderne il seguito.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4.5
Recitazione - 4.5
Sonoro - 4.5
Emozione - 4.5

4.5