Viola Davis e quel trauma personale che ha influenzato la sua formazione come attrice
Viola Davis ha anche affrontato temi contemporanei come il colorismo e il sessismo
Viola Davis, la celebre attrice premio Oscar, Emmy e Tony, ha aperto il suo cuore nel nuovo libro di memorie Finding Me, svelando dettagli intimi sulla sua infanzia segnata da traumi e la sua evoluzione personale come artista. In particolare, Davis ha condiviso un momento significativo con Will Smith sul set di Suicide Squad nel 2016, che l’ha portata a riflettere profondamente sul suo passato doloroso.
Cosa racconta Viola Davis nel suo libro?
Nel libro, Viola Davis rivela come Smith abbia posto una domanda semplice ma profonda: “Chi sei veramente?” Questo semplice interrogativo ha scatenato in Davis una serie di riflessioni sulla sua identità, portandola a confrontarsi con i traumi infantili che l’hanno plasmata sin da giovane. “Ero ancora quella piccola, terrorizzata bambina di colore di terza elementare”, ha scritto Davis, rivelando la persistenza delle cicatrici emotive anche nella sua carriera di successo.
Nata e cresciuta a Central Falls, Rhode Island, Viola Davis ha descritto la sua infanzia come un periodo segnato da razzismo, abusi generazionali e violenza domestica. Attraverso la scrittura, Davis esplora come questi eventi abbiano influenzato la sua percezione di sé e la sua capacità di affrontare il mondo, incluso il suo percorso nell’industria cinematografica.
Oltre a rivelare il lato oscuro della sua giovinezza, Viola Davis ha anche affrontato temi contemporanei come il colorismo e il sessismo che ha incontrato nel suo percorso professionale. La sua carriera è stata un tentativo costante di superare gli ostacoli imposti dalle norme razziali e di genere dell’industria cinematografica.
Nonostante il successo e il riconoscimento internazionale, Davis ha ammesso di aver lottato con la sindrome dell’impostore e con l’accettazione di sé. Interpretare ruoli iconici come Michelle Obama nella serie The First Lady è stato, secondo Viola Davis, un’esperienza “assolutamente terrificante”, amplificata dalla pressione di rappresentare una figura così pubblicamente nota e ammirata.
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