City of poets: recensione del corto premiato al Sole Luna Doc 2024

Si è conclusa l’edizione 2024 del Sole Luna Doc Film Festival, la rassegna internazionale di cinema documentario che si è svolta alla Gam e a Palazzo Branciforte di Palermo dal 1 al 7 luglio 2024, con cinquanta titoli in programma di cui 18 film in concorso e 14 anteprime che hanno fatto registrare ogni sera sold out. Tra gli altri riconoscimenti, la giuria internazionale – composta da Fabio Benzi, Annalisa Camilli, Nora Demarchi, Sergio Guataquira Sarmiento e Nadège Labé ha assegnato il premio al Miglior cortometraggio a City of poets, di Sara Rajael (Olanda 2024), un film con una dimensione intima efficace, in cui “gli archivi personali incontrano la storia del Paese in modo utopico e metaforico”.

City of poets è ambientato in una città semi-utopica dove le strade hanno i nomi dei poeti

Attraverso un collage di scatti e filmati Sara Rajael porta sullo schermo una storia di una città semi-utopica, metaforica, dove tutte le vie sono intitolate ai poeti. Più importante è la strada, più importante è il nome del poeta. Ma, quando inizia la guerra, vengono costruiti nuovi quartieri per ospitare i rifugiati, e gli sconvolgimenti radicali portano confusione tra i residenti. Le strade iniziano a prendere il nome dei martiri o dei fiori, e tutti quanti si ritrovano persi tra i ricordi dei poeti dimenticati. Sarà che l’orrore della guerra fa dimenticare la poesia? Il concept di City of poets, seguendo quanto ha dichiarato la regista, è partito da un albero di gelso piantato da sua nonna nel giardino di casa. Raro, in quanto produceva bacche sia rosse che bianche, ed aveva la stessa età della regista. Quell’albero le aveva regalato felicità, il senso di saggezza e dell’identità. Sembra che sua nonna avesse un identico legame con esso, perché gli parlava, cantava e ballava davanti. E quando l’albero se n’è andato, “la sua assenza – ha chiosato Sara Rajaelmi ha riportato alla mente la casa di mia nonna e di come fosse diventata il primo rifugio per la mia famiglia (di profughi di guerra). Poi la mia mente si è spostata sul vicolo dove si trovava la casa; e ho pensato alla città, dove tutte le strade sono state intitolate a poeti. A quattro anni perciò conoscevo i nomi di molti poeti!“.

Ammantato di una dolcezza malinconica, City of poets è un “fotoracconto” che rievoca i ricordi della regista

Il corto non è che una catena di immagini, che rievoca proprio la catena di ricordi su cui Rajael ha incentrato la sua storia. Ogni frame dà vita al seguente, cioè spiega l’immagine successiva. La regista costruisce il passaggio strutturale della città attraverso le memorie frammentarie che vengono raccontate dalla voce fuori campo, affrontando l’aspetto più essenziale della storia orale come qualcosa che non è fisso e fatto di fonti e voci diverse, senza una gerarchia specifica, ripetuta e modificata anche leggermente. Nel film la psicogeografia della città definisce lo stato mentale ed emotivo dei suoi abitanti, un piccolo gruppo di persone che vive in un’illusione utopica fondata sulla poesia. E siccome questo luogo non ha un nome, la confusione e i cambiamenti che accadono potrebbero innescare storie e far tornare indietro – ai ricordi personali – anche chi guarda.

City of poets: valutazione e conclusione

Per il tema (un mondo trasfigurato dalla guerra) e per la forma (immagini fisse ammantate di una dolcezza malinconica) ricorda il “fotoracconto” La Jetée, di Chris Marker. Gli elementi narrativi ed espressivi di City of Poets convergono verso una dimensione intima, efficace quanto la rappresentazione della graduale perdita di libertà, di vita – perciò di colore – mentre la realtà va verso un’altra direzione. Il documentario di Sara Rajael è una storia intima filtrata da un racconto per immagini che può apparire monocorde, ma è interessante perché sposta l’obiettivo sugli effetti dell’ambiente geografico sul comportamento affettivo delle persone. 

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.2