Apes Revolution – Il pianeta delle Scimmie: recensione del film con Andy Serkis
Sono passati dieci anni dalla quasi totale estinzione del genere umano, dieci anni dagli eventi di L’alba del pianeta delle scimmie. Il farmaco creato per combattere l’Alzheimer, e che aveva dato intelligenza sorprendente alle scimmie, si è rivelato letale per gli uomini. I pochi esseri umani rimasti sono ora geneticamente immuni al virus. Le scimmie, invece, hanno trovato una casa appena fuori San Francisco. Nella loro foresta, hanno organizzato una vera e propria colonia, vivendo in pace nella convinzione che gli uomini non esistano più.
Apes Revolution – Il pianeta delle Scimmie si apre e chiude con Cesare (Andy Serkis), leader delle scimmie e mostra la vera alba del pianeta delle scimmie. Il titolo italiano è quindi abbastanza inappropriato. “L’alba del pianeta delle scimmie” era stato usato per tradurre l’originale Rise of the Planet of the Apes (il film diretto da Rupert Wyatt nel 2011), non immaginando che il sequel si sarebbe intitolato proprio Dawn (alba) of the Planet of the Apes. In italiano si è quindi pensato bene di tradurlo con l’improbabile Apes Revolution.
A San Francisco una piccola comunità di sopravvissuti ha terminato i rifornimenti di gasolio per i propri generatori diesel. L’unica speranza per ripristinare l’elettricità è la diga che si trova nella foresta delle scimmie. Memore del fatto che non tutti gli uomini sono malvagi, Cesare accetta di aiutare il gruppo di umani instaurando così una fragile tregua. La scelta del leader non viene condivisa dalla comunità, in particolare da Koba (Toby Kebbell), scimmia bonobo ex cavia da laboratorio che prova solo odio nei confronti degli umani. La messa in discussione dell’autorità, unita alla meschinità dell’uomo sarà la scintilla che farà scoppiare la tregua e scatenare così la guerra per chi emergerà come specie dominante del pianeta Terra.
Le scimmie sono le vere protagoniste del film e il regista Matt Reeves ha fatto un lavoro incredibile nell’evidenziarlo. Originariamente lo studio di produzione voleva incentrare il film più sulla prospettiva umana, raccontando come gli umani avevano affrontato questa apocalisse causata dal virus delle scimmie. Reeves, invece, si era presentato proponendo un’altra visione. Il film precedente aveva creato sia il personaggio di Cesare che la sua cultura in modo straordinario, e Reeves voleva continuare a esplorare quella strada. Lo studio apprezzò così tanto la sua visione che decisero non solo di assumerlo, ma anche di lasciargli carta bianca con l’esecuzione del progetto.
Oltre ad essere un action movie che riesce a mantenere viva la tensione e l’attenzione dello spettatore, Apes Revolution mostra lo stravolgimento dell’equilibrio e la progressiva corruzione di una società quasi “pura” in modo credibile, offrendo inoltre una profonda riflessione sugli aspetti della natura umana e sul perdurare di un conflitto tra razze. L’istinto di sopravvivenza e la mancanza di fiducia genera la rabbia e l’odio da cui nascono le guerre.
A circondare questa riflessione si ha una realizzazione tecnica davvero impeccabile. Più dell’85% delle riprese sono state effettuate tra le foreste di Vancouver e New Orleans, e questo ha portato il film ha raggiungere un livello di realismo mai raggiunto prima da nessun’altra pellicola appartenente allo stesso genere.
In Apes Revolution la tecnologia si è messa completamente al servizio della storia, non danneggiando in nessun modo la credibilità del film.
Con uno sguardo ipnotico, Andy Serkis risulta ancora una volta il Maestro del motion capture, avendo reso Cesare un personaggio più umano, empatico e reale di quanto uno non si aspetti con una performance live action. La storia è raccontata dal suo punto di vista, ed è proprio con Cesare che si crea la maggiore empatia: il senso di protezione per la sua famiglia, e il suo legame con la razza umana fanno di lui un personaggio combattuto ma allo stesso un leader più grande e saggio di molti altri umani. E se Andy Serkis è il re del motion capture, Toby Kebbell è di sicuro il suo successore, rendendo infatti Koba uno dei cattivi migliori degli ultimi anni. La sua rabbia e il suo odio sono motivati e comprensibili, e in ogni movimento di Koba, si riesce a percepire l’essere umano dietro tutta quella computer grafica.
Tra le interpretazioni umane degne di nota ci sono Jason Clarke e Gary Oldman, due facce della stessa medaglia. Clarke interpreta Malcom, lo scienziato che dà una possibilità all’alleanza con le scimmie, mente Oldman è Dreyfus, un uomo che per far sopravvivere la razza umana è disposto a tutto.
Tra effetti speciali straordinari e una profonda riflessione sulla natura umana, Andy Serkis rimane comunque l’indiscusso protagonista nonché la ragione del totale investimento emotivo dello spettatore. La sua prima performance in motion capture in esterni ha regalato qui la miglior interpretazione di un personaggio non umano mai vista al cinema.