L’invenzione di noi due: recensione del film con Lino Guanciale
Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo di Matteo Bussola, diretto da Corrado Ceron è in tutti i cinema dal 18 luglio 2024
L’invenzione di noi due, un film che dovrebbe essere “reinventato” per narrativa, concetto, cadenza e necessità artistica. Per quanto si senta la nota letteraria che ormai affonda nei poemi cinematografici italiani, questo lavoro assume una funzione temporanea nell’estate italiana in sala e nelle arene. Critica a prima vista: non c’è cronologia e sequenzialità. Scelta che rende il film alquanto interessante confermando la tecnica da camera da presa; scenografia e sceneggiatura sganciata dalla composizione dell’ennesimo drammatico di un cinema low.
La trama è severamente intricata; il racconto, di fatto si rivela attraverso una visione irregolare nei tempi di scena. C’è un prima, un dopo e un mezzo che partecipano a un “gioco delle sedie” continuo, estenuante. Resta in piedi, fuori, la raffinazione di una storia in tutte le sue potenzialità.
L’invenzione di noi due: l’invenzione di un amore
Milo e Nadia sono una coppia sulla quarantina; due radical chic della nostra epoca che vivono, nel centro di Verona, barbarizzando e offuscando la trasversalità drammatica di una relazione capovolta, sconvolta, spogliata, slacciata. Riprovando. Milo e Nadia si sono conosciuti, ignorando di chi fossero, tra i banchi di scuola; si rincontreranno una volta laureati. Lui un architetto di periferia, lei una “scrittrice” senza ambizione e amore per un mestiere che interpreta metaforicamente senza mai definirlo nella concretezza di righe scritte.
Giuste prospettive senza narrative logiche
In L’invenzione di noi due a lente chiara, frame per frame, intuiamo il primo risultato di un quoziente cinematografico basico. Si tratta di un rapporto dalle tonalità tossiche e abitudinarie che si lascia trasportare come se si trattasse di un affaire da appassionati d’oroscopo. Se l’ariete sta bene con il sagittario allora le dinamiche di coppia funzioneranno. È così che Milo diventerà la voce narrante e Nadia la vera protagonista. Lui innamorato. Lei pure. Di se stessa.
Interessante è la prospettiva equiparata ai pochi set di scena. Effettivamente, lo spazio principale in cui procedono quasi due ore di video, è un appartamento arredato secondo scelte stilistiche che variano dal modernariato al contemporaneo: elementi che illudono alla metafora della coppia, resi, in primo piano, da una libreria impolverata dalla difficoltà di ricerca di un futuro che possa divenire un nuovo inizio secondo le regole dell’amore; una motivazione per pianificare un’utopica convivenza tra due persone che centrano poco l’uno con l’altra, secondo le regole di un manoscritto e del suo adattamento cinematografico. Milo si accontenta; deve accontentarsi per mantenere il suo stile di vita. Nadia lascia, abbandona, si riserva il lusso della disoccupazione a seguito di nuove ispirazioni e idee progettuali rivolti al nulla.
Silenzi, lacrime, messaggi anonimi fingendosi l’uno il messaggero dell’altra, pur sapendo entrambi dal primo invio, che da una parte c’è lui e dall’altra lei. Ma non basta. Gli ultimi venti minuti qualcosa di interessante dal punto di vista recitativo forse avviene. Il litigio è il vaso di Pandora che finalmente ci solleva dalla noia di dover assistere ad una storia già prosciugata e forse mai esistita, per renderci partecipi di un’umanizzazione che finora sembrava inesistente. Il tentativo è ormai perso, le persone si sono svelate, le maschere dei liceali tra i banchi di scuola non servono per essere buoni compagni, nella vita reale tutto sembra screpolarsi rispetto a quelli che sono i canoni dell’amore vero.
L’invenzione di noi due: conclusione e valutazione
Corrado Ceron con il cortometraggio Corinna aveva convinto per capacità estetica e per un linguaggio dettagliato e puntuale. Con questo lungometraggio il lavoro direttivo si allinea perfettamente al romanzo di Matteo Bussola, ma forse fin troppo, interiorizzando una visione di qualcun altro attraverso un’immagine che non la contiene. La progettualità non imbandisce l’idea. L’invenzione di noi non trasmette e non coinvolge. L’impressione, la riflessione e la morale, la determinazione di una storia che in realtà è quella di molti, non contengono le distanze anzi le amplifica. È teatro ma poco cinema. Eppure l ‘impalcatura stilistica del film non è fragile. La tecnica del racconto che si riavvolge su se stesso, ritorna, riparte, dalla fine sino all’inizio, dimostrano l’abilità di una macchina da presa che funziona. Ma si avverte un contrasto con chi dà movimento e dialogo che si riduce all’ennesimo film della televisione italiana.
Lino Guanciale e Silvia D’Amico sono due attori di fiction ma sul grande schermo, tutto ha una dimensione più estesa. L’intuizione di Ceron è apprezzabile nella coerenza estetica che rivestono le scene al chiuso, che metaforicamente espongono il dramma di una relazione tesa, silente, forse mai sbocciata. L’analisi è quella del tempo. Un tempo che passa attraverso una vita che non vive. È questo il senso narrativo de L’invenzione di noi due.
Presentato in anteprima al Festival del Cinema di Taormina il 16 luglio, L’invenzione di noi due, diretto da Corrado Ceron, distribuito da Be Water Film in collaborazione con Medusa Film, è in tutte le sale italiane dal 18 luglio 2024.