Simone Biles Rising – Verso le Olimpiadi: recensione della docuserie su Netflix

Caduta e rinascita della più grande ginnasta di tutti i tempi. Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi, regia di Kate Walsh, è una potente e attualissima docuserie disponibile su Netflix dal 17 luglio 2024.

In tempo per l’accensione della fiamma olimpica – Parigi 2024, fine del mese – arriva su Netflix, il 17 luglio 2024, Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi, la docuserie diretta da Kate Walsh che ci porta dentro la vita, lo sport, i trionfi e le cadute di una delle più grandi atlete contemporanee. Simone Biles è universalmente considerata la più grande ginnasta di tutti i tempi. Di lei si conoscono la gloria sportiva e un clamoroso dietrofront che ne ha modificato la percezione pubblica; la vita dietro le quinte, l’interiorità, un po’ meno. La docuserie cerca di riequilibrare i termini del rapporto tra il dentro e il fuori, tra sport e quotidianità, tra il peso delle aspettative e una vita interiore ben strutturata. Si comincia da quello che per la maggior parte dei commentatori è un rilevante fallimento sportivo, per parlare di grandezza, vittoria e perfezione. Senza dimenticare la salute mentale, tema di strettissima attualità ma da leggere nella maniera corretta; come spiega Simone Biles, per molto tempo la regola d’oro, nel costruire dl’atleta perfetto, è stata l’abuso di potere. La Parte 1 della docuserie è prevista per il 17 luglio 2024. La Parte 2 arriverà più avanti, nell’autunno 2024.

Simone Biles Rising – Verso le Olimpiadi: la giovane donna e l’atleta leggendaria

Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi cinematographe.it recensione

Va avanti e indietro nel tempo. Una scansione cronologica, lineare, degli eventi, non è nelle carte. Eppure, qualcosa che somiglia a un tempo presente, per Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi, c’è lo stesso. Kate Walsh sceglie di far partire ogni discorso – pubblico o privato – intorno alla protagonista partendo dal momento più importante, decisivo e controverso della sua vita sportiva. È l’estate del 2021 e Tokyo accoglie, con un anno di ritardo, gli atleti e le atlete olimpiche in quella che passerà alla storia come la più assurda edizione della storia moderna. Il mondo sta faticosamente uscendo dal lockdown autoimposto soltanto qualche mese prima, la pandemia infuria, i vaccini cominciano ad aprire la strada verso il ritorno alla normalità, ma serve ancora tempo. Si gareggia senza pubblico in tribuna. Sono tante le cose che mancano. La serenità, principalmente.

Simone Biles arriva a Tokyo circonfusa da un alone di leggenda. Giovanissima, ha costruito il suo mito sbancando Rio 2016. Si sveglia ogni mattina nel villaggio olimpico nel più completo isolamento (spirituale e fisico), senza altra distrazione che l’ossessiva ripetizione degli esercizi, attanagliata dalla paura del tampone positivo che la taglierebbe fuori da tutto (ne deve fare uno al giorno) e stravolta dalla pressione. È la stella della comitiva americana e la Storia pretende che risponda presente all’appello. E invece non lo fa. Si tira fuori, perché la testa non risponde e non trova serenità. Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi comincia da qui a ribaltare interpretazioni di comodo e pregiudizi sulla vita della più grande ginnasta di tutti i tempi. Il pubblico adorante non le perdona il ritiro, non accetta la sua fragilità, la ripudia e l’accusa di codardia; i media la fanno letteralmente a pezzi.

Si chiamano “twisties”, le piccole grandi crisi mentali che ne condizionano il percorso. Tolgono serenità e mettono a repentaglio non solo la buona riuscita di un esercizio, ma anche la vita (perché questo è il rischio, con certi errori). Dal trauma di Tokyo 2021 Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi parte, per aggredire una certa pericolosa interpretazione del concetto di perfezione – dannosa specialmente se applicata alla pratica sportiva – e mostrarci poi una verità umana più complessa e autentica. Prima di Tokyo, per Simone Biles c’è una sequenza di successi impressionante ma anche un vissuto familiare turbolento, le molestie del medico federale, Larry Nassar, e addestramenti disumani.

Dopo Tokyo, la depressione e l’insicurezza, ma anche la luce del matrimonio con Jonathan Owens, giocatore professionista dell’NFL. Passata la tempesta, ecco la resurrezione sportiva e la rincorsa tenace ai Giochi di Parigi 2024. Kate Walsh getta luce su successi e fragilità dell’atleta combinando materiali di repertorio e interviste tradizionali, mettendo al centro del discorso l’invisibile, l’impalpabile: la salute mentale e la sua rilevanza nel processo di costruzione dell’individuo. Costringe lo spettatore ad allargare lo sguardo, inserendo il percorso della protagonista nel solco dell’esperienza (sportiva) femminile afroamericana, come emerge dalle testimonianze delle colleghe Dominique Dawes e Betty Okino; spoiler, è lastricata di attitudini discriminatorie e ostilità generalizzata. Tutto per ricondurre ad equilibrio il racconto di Simone, atleta e donna. Equilibrio tra corpo e mente.

Equilibrio tra pubblico e privato, tra salute mentale e grandezza sportiva

Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi cinematographe.it

Per quanto la regia di Kate Walsh abbia il tempo di frugare nel contesto – sportivo, psicologico, istituzionale, familiare – che a turno la circonda, condiziona, sostiene e opprime, il focus di Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi non si sposta, neanche di un millimetro, dal campo visivo e dal raggio d’azione della protagonista. Il rischio, procedendo altrimenti, era di disperdere la linea narrativa in mille rivoli – per niente secondari, tutti ugualmente importanti – impossibili da servire con lo stesso scrupolo, la dovuta precisione e la giusta profondità. C’è la salute mentale e la vita in famiglia, i trionfi e le sconfitte, gli abusi e la depressione, il coraggio di una scelta e la pressione mediatica, i rapporti di potere e la difficoltà delle atlete afroamericane nel costruire una narrativa di successo, equiparabile a quella delle colleghe bianche.

Fortuna che c’è Simone Biles a dare coerenza a una ragnatela di suggestioni troppo articolate per essere affrontate senza un’àncora che le organizzi con coerenza e lucidità. L’àncora è la grandezza di un’atleta leggendaria – quante volte capita, di essere definiti i migliori a carriera in corso? – al punto da contenere con una certa disinvoltura le moltitudini sopra elencate. Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi intreccia la carriera della ginnasta e la vita della giovane donna per mostrarci che non c’è grandezza sportiva senza pace interiore. Un corpo non risponde agli impulsi senza una mente equilibrata a governarlo.

Per troppo tempo, il mondo dello sport ha fabbricato i suoi eroi sistematicamente ignorandone umanità e sentimenti, nella convizione che la strada verso la gloria passasse per l’ossessione, l’abuso verbale e fisico, la mancanza di empatia e una durezza al limite del sadismo. Lo sport richiede impegno, serietà e dedizione, anche tanti sacrifici; non manca al documentario il tempo di mostrarci la fatica, il perfezionismo e l’incrollabile tenacia della fenice Biles che risorge dalle sue ceneri per accumulare record su record. Ma esiste un limite sottile che separa la serietà di un percorso dall’abuso di potere, il buon maestro dal “vampiro”. L’ossessione di Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi, il traguardo da inseguire, è un ragionevole equilibrio.

Simone Biles – Verso le Olimpiadi: valutazione e conclusione

Un ragionevole equilibrio tra salute mentale e armonia fisica, tra pubblico e privato. Kate Walsh si fa strada un paradosso dopo l’altro: celebra i successi sportivi della protagonista, indagandone la vita privata. Ne racconta la normalità (psicologica, affettiva, familiare), sottolineando l’irrealtà del suo percorso sportivo. Certo, c’è la contraddizione latente, perché la liberazione di Simone Biles, l’affermazione della sua voce e del suo pensiero, sono filtrate dai limiti, dai condizionamenti, dagli artifici e le convenzioni della narrazione cinematografica. Simone Biles Rising: verso le Olimpiadi non riesce a esplorare la contraddizione più importante: la relazione complicata che si instaura tra verità e storytelling. Simone Biles racconta, come? attraverso la fabbricazione di una mitologia e di una narrazione personale. Mette in scena, letteralmente, la sua verità; non basta a rendere i suoi pensieri meno onesti, ma li complica in una maniera che la docuserie non ha saputo cogliere. La serietà con cui restituisce la vita e i pensieri della protagonista è comunque rimarchevole. Da non perdere.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.1

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