Finché notte non ci separi: recensione del film dal Taormina Film Festival 2024
“Finché morte non ci separi”, queste sono le parole che gli sposi ripetono come mantra. Una frase che diventa un modo di dire per sancire unioni, al di là di quella matrimoniale, è un motto che dimostra quanto un legame sia indissolubile, incorruttibile, solido insomma. Fin dal titolo del film di Riccardo Antonaroli, Finché notte non ci separi, si capisce che qualcosa non torna, o almeno che il film di chiusura del Taormina Film Fest 2024 giochi proprio con il matrimonio, la coppia e il rapporto che unisce quest’ultima. Al centro del remake della commedia romantica israeliana Honeymoon ci sono Eleonora (Pilar Fogliati) e Valerio (Filippo Scicchitano), sono convolati a (giuste) nozze. Quella notte del titolo cambia tutto, modifica il verso di quelle ore post ricevimento. Basta poco, una lettera che esce da una tasca e il litigio esplode. Antonaroli realizza un racconto che dura una sola notte in cui succede di tutto e lo spettatore viene trascinato in un gorgo di dubbi, divertimenti, rancori, paure e angosce.
Il matrimonio viene messo a ferro e a fuoco, la coppia smantellata, ciò che emerge è la realtà delle cose che non è “da film”
Finché notte non ci separi inizia nel punto in cui solitamente i film terminano, quando gli sposi sono sfiniti, stanchi, brutti, sudati e sfatti. Il lieto fine. L’unione meravigliosa di due anime affini, o almeno così sembrerebbe. La lunga notte di Eleonora e Valerio è invece faticosa, vorticosa, abitata da non detti, da parole buttate giù fin troppe volte, da interrogativi che vengono vomitati addosso a chi hai sposato. Le storie ci dicono, sempre, “vissero tutti felici e contenti”, ma se poi così non fosse? O almeno non fino in fondo e non totalmente? Sarebbe possibile, è la vita, non si tratta di favole e fiabe per rassicurare i bambini. Non riescono neppure a fare l’amore, qualcosa emerge tra le pieghe dei vestiti e tra le loro pieghe, e questo li catapulterà in dubbi che possono assalire le coppie in qualsiasi momento: uno, tre, cinque anni dopo essersi sposati. O, perché no, anche dopo tre minuti. Eleonora e Valerio incontrano tutto il magma più oscuro e profondo di loro stessi e di una Roma bella e anche un po’ dannata, pensiamo al tassista romano ma tifoso juventino, uno strepitoso Francesco Pannofino, che porta i due neosposi in via della Reginella, il quartiere Testaccio che si mostra in tutto il suo splendore, due sposi che vagano su un monopattino.
Valerio: “A che brindiamo?”
Eleonora: “Buh, non lo so… All’amore eterno? No, no”
I due non sono i tipici sposini, quelli che si mettono sulle torte a più piani. Eleonora, stralunata e piena di vita, e Valerio, irascibile e un po’ guascone, litigano, si stuzzicano, il punto di non ritorno è la busta della ex, un regalo dato di nascosto a Valerio; per chiunque, anche per la sposa più aperta e meno gelosa, sarebbe, per usare un eufemismo, un problema. Si mette in moto così un meccanismo spaventoso: lei vuole sapere tutto, lui vuole impedirglielo.
il tassista: “Non siete più due persone ma una cosa sola”
Così il tassista descrive il matrimonio e onestamente per come lo dice e per il tono che usa sembra una cosa terribile. Finché notte non ci separi mette a ferro e fuoco il matrimonio, la coppia, tutte le dinamiche e le costruzioni culturali ad essi relativi. Cosa si aspettavano/aspettano, cosa vogliono, chi saranno nei prossimi anni ma soprattutto chi hanno accanto. Domande assurde, questioni macroscopiche che sono state messe tra parentesi dai due come microscopiche, che sarebbero dovute essere intavolate prima invece loro ne parlano ora, a matrimonio fatto.
Finché notte non ci separi: tra sorrisi, liti e un giro per Roma, si fa un’indagine sui rapporti e sull’individuo
Camminano tutta la notte, si urlano addosso di tutto, sembra una sorta di moderno Scene da un matrimonio, o una sorta di La guerra dei Roses, si dicono addio e si riprendono, si rinfacciano ex fidanzati e i reciproci difetti per un momento percepiti come minuscoli e ora invece grandi, giganteschi, insopportabili.
Eleonora: “Io mi devo rendere conto di chi c’ho accanto, anzi di chi mi sono sposata”
Il film di Antonaroli gioca con queste frasi, da una parte la titanica Eleonora che va avanti senza retrocedere mai, deve sapere, dall’altra Valerio come una fazione oplitica tenta di frenare la “nemica”. La prima notte del loro “per tutta la vita” la passano interrogandosi sui caratteri l’uno dell’altra, sul conoscersi a vicenda, ma anche cercando di capire se stessi. Mentre girano per una Roma quasi deserta i due si ritroveranno soli, con sé stessi, incroceranno la strada di sconosciuti o di persone che conoscono e per loro sono stati o sono importanti.
Lungo questa notte interminabile per i protagonisti, ogni cosa viene messa sul piatto e il regista non si tira indietro da indagare, riflettere su tutto, mettendo sul vetrino del microscopio debolezze, gioie e dolori, ansie, incertezze e fragilità di un vincolo su cui si è fondata e per certi versi si fonda la società.
Finché notte non ci separi: valutazione e conclusione
Finché notte non ci separi è un racconto sulla coppia, sul matrimonio, su chi siamo e su quanto sia difficile capirsi e capire l’altro. Antonaroli porta al centro i suoi protagonisti, meravigliosi Pilar Fogliati e Filippo Scicchitano che interpretano in maniera naturale due ragazzi come tanti, pieni di luci e ombre, le loro storie, il loro passato e il loro presente. Con ironia, a tratti surreale, e profondità si scandagliano i problemi di coppia partendo dalla fine del classico film romantico e da lì ha inizio un viaggio geografico interiore per capire e capirsi.