Quasi a casa: recensione del film da Venezia 81

Il film di Carolina Pavone, con protagoniste Lou Doilllon e Maria Chiara Arrighini, presentato all'81ª edizione del Festival di Venezia, nella sezione parallela delle Giornate degli autori

Il Festival di Venezia è luogo di conferma, luogo di affermazione, luogo di scoperta; tra i tanti titoli presentati all’interno dell’81ª edizione, oltre ai grandi nomi e ai titoli più attesi, troviamo anche questa volta tante nuove proposte e giovani autori pronti a farsi strada all’interno del panorama nazionale ed internazionale. È questo il caso di Carolina Pavone che esordisce alla regia con Quasi a casa, un produzione Sacher Film, Vivo film e Rai Cinema, realizzata con il sostegno di MIC – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo e presentata all’interno della sezione Notti Veneziane delle Giornate degli Autori, evento parallelo alla Mostra, nato in collaborazione con Isola Edipo. Prodotto, tra gli altri, da Nanni Moretti, affiancato da Marta Donzelli e Gregorio Paonessa, il film vede protagoniste Lou Doillon – attrice, modella e cantante figlia di Jane Birkin (La piscina, Blow-Up) e del regista Jacques Doillon, nonché sorellastra di Charlotte Gainsbourg – e la debuttante Maria Chiara Arrighini.

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Quasi a casa: idolatria e autoaffermazione

Quasi a casa Carolina Pavone cinematographe.it

Caterina (Maria Chiara Arrighini) è un ragazza di vent’anni che, assieme al fratello Pietro (Michele Eburnea), coltiva il sogno di affermarsi come musicista e che, seppur il talento e l’ambizione non sembrino mancarle, a causa delle sue stesse paure ed incertezze insiste nel precludersi un ascendente futuro. Scoperta la località vacanziera del proprio idolo, Mia (Lou Doillon), cantante francese di grande successo, la ragazza decide di abbandonare tutto e tutti, compreso il fratello, e di andare all’inseguimento di quell’incontro che ella si augura possa darle le risposte che cerca, un confronto che la aiuti a comprendere le giuste scelte da prendere, sia come artista che come donna, e che la conduca ad un’autoaffermazione personale e al tracciamento del giusto percorso.

Dopo i primi incontri fintamente fortuiti, tra le due inizia ad instaurarsi un rapporto sempre più saldo, e al contempo controverso, indefinibile, un rapporto che altalena continuamente tra una grande affezione e un freddo distacco, costantemente orientato da un’atteggiamento scostante di Mia, prima scontrosa poi amorevole, prima incoraggiante poi avvilente, il tutto sullo sfondo delle interazioni con gli altri personaggi, posti a reggere l’urto delle controversie tra le due protagoniste, dallo stesso Pietro al marito di Mia, Michele (Stefano Abbati), passando per i giovani membri della band con cui l’artista francese è intenta ad incidere un disco e dal produttore discografico interpretato da Francesco Bianconi che, per primo, sembra realmente credere nel progetto di Mia.

La necessaria complessità di un rapporto

Quasi a casa cinematographe.it

“Caterina e Mia non sono amiche, non sono amanti, non sono madre e figlia e non lavorano insieme: era proprio la natura “indefinita” del loro rapporto che mi ha catturata e che ho deciso di esplorare”.
Sono queste le parole della giovanissima regista Carolina Pavone, che spiega come l’intera pellicola sia retta sull’ambiguità di questo rapporto; vicinanza e lontananza tra i due personaggi si alternano nell’incertezza, accompagnando così Caterina in un percorso di crescita che la porta ad essere sempre più consapevole delle proprie capacità, della propria indole e degli squilibri della realtà che la circonda e che la porta lentamente a demitizzare ciò che inizialmente considerava inarrivabile. Mia attrae e Mia compromette, portando un disorientamento che affascina e che controversamente orienta il percorso della protagonista.

Quasi a casa: valutazione e conclusione

Maria Chiara Arrighini cinematographe.it

Carolina Pavone debutta dirigendo l’esordio di Maria Chiara Arrighini, nel racconto di una giovane donna alle prese con gli inizi, con l’avvio della propria carriera, con la ricerca della giusta strada per arrivare a quella “casa” che è il proprio posto, il proprio contesto. I dubbi e le insicurezze trasudano dalla sceneggiatura che, attraverso il volto dell’attrice, si riversano sullo schermo, facendole sentire anche nostre, comprensibili, condivisibili. Si denota la volontà di superare i propri limiti e le proprie inquietudini per mettersi in gioco, di arrivare alla consapevolezza che la direzione sia effettivamente giusta – dall’autrice sino al suo personaggio. Pertanto l’attenzione allo stile che, seppur sbavato, sembra promettere un’importante carriera per la regista – la mano è sempre attenta a catturare le emozioni di Caterina, ponendole al centro del fuoco, mentre la musica accompagna, esaltando la definizione di artisticità – passa in secondo piano davanti al coraggio di raccontarsi e alla scaltrezza di farlo passando dall’indefinibile confronto. Per vedersi dentro bisogna guardare fuori, bisogna confrontarsi con quelle paure che esistono e che non vanno rifiutate ma abbracciate e portate a “casa” con sé.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

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