Stefano Giovani: intervista al costumista, “Faccio il monaco con l’abito”
L’intervista al celebre costumista toscano, realizzata in occasione della settima edizione del Pop Corn Festival del Corto, laddove era impegnato nelle vesti di giurato.
L’estate 2024 ci ha portato in quel di Porto Santo Stefano per la settima edizione del Pop Corn Festival del Corto, kermesse internazionale dedicata alle produzioni audiovisive sulla breve distanza che ogni anno viene impreziosita da una serie ospiti e da una giuria molto competente formata da figure di spicco del panorama cinematografico nostrano. Tra queste troviamo un affezionato e grande amico della manifestazione diretta da Francesca Castriconi, organizzata dall’Associazione Argentario Art Day APS con il contributo e il patrocinio del Comune di Monte Argentario e della Regione Toscana, ossia il costumista Stefano Giovani, autore degli abiti di scena di film, serie tv, videoclip e spot pubblicitari di successo. L’elegante e colorato backstage che affianca il palco e lo schermo della suggestiva arena a cielo aperto allestita in Piazzale dei Rioni, con sullo sfondo la sua immancabile sfilata di imbarcazioni e yacht battenti bandiera tricolore e provenienti dalle diverse latitudini, ha fatto da cornice a un’intervista nella quale abbiamo potuto ripercorrere la sua carriera e approfondire quella che è la sua visione di un mestiere che lo ha portato a collaborare con importantissimi registi della scena nazionale e internazionale.
La nostra intervista al costumista Stefano Giovani, autore degli abiti di scena di importantissime produzioni nazionali e internazionali
Cosa caratterizza il suo essere costumista e le sue creazioni?
“Quando realizzo i costumi per un film e penso ai personaggi che ali indosseranno cerco sempre di usare i colori in una maniera appropriata, a volte andando un po’ controcorrente come nel caso delle commedie laddove mi ritrovo spesso a forzare la mano ove mi è consentito. Nei film drammatici invece devi giocoforza limitarti in tal senso per non distrarre troppo lo sguardo dello spettatore. Ovviamente è un discorso che varia sulla base del genere, della tipologia di progetto e soprattutto che va di pari passo con l’idea del regista. Però dove mi viene data carta bianca, l’uso dei colori fa sì che rivedendo tutti i miei lavori questa caratteristica emerga abbastanza chiaramente. In generale cerco di creare dei personaggi che non sono fini a se stessi, ma che danno vita a una coralità. Ho la necessità di avere l’esigenza di pensare al personaggio ma anche al suo contrapposto, alle figurazioni e al contesto. Voglio che quando si è al cospetto di scene di massa non vi sia nulla fuori posto e che tutto si parli. Quindi posso usare una predominante forte di colore sul protagonista per poi scegliere le varianti sottotono per le figure che lo circondano. E così via. Spesso ci riesco, altre un po’ meno perché a volte su un set può capitare di improvvisare e tutto quello che magari hai preparato prima non viene mantenuto durante le riprese. Ma ripensando al corpus delle opere alle quali ho preso parte sino ad oggi quella della dominanza dei colori può rappresentare una cifra stilistica e un elemento identificativo del mio lavoro. È qualcosa che da tanto tempo che mi viene spontaneo fare e che proviene dai miei studi nel campo delle Arti. Adesso se parla molto di più quando si chiama in causa la cosiddetta palette”.
Stefano Giovani: “È fondamentale che gli interpreti si sentano a proprio agio nei costumi che indossano”
Da cosa nasce il suo processo creativo e come si sviluppa?
“La parte importante resta la lettura accurata della sceneggiatura, se poi questa è scritta bene allora i personaggi sono a loro volta già nitidi. Poi è ovvio che leggendo io mi faccio il mio di film nel senso letterale del termine. A me capita sempre leggendo la sceneggiatura di farmi il mio film [Ridendo]. Naturalmente quello che è il mio film deve corrispondere a quello reale che si farà. Quindi le impressioni che ho leggendo le pagine dello script e pensando ai personaggi devono poi essere confermate o smentite dal regista. Non è detto che la mia chiave di lettura corrisponda a quella dello sceneggiatore o del regista in merito alla caratterizzazione di un dato personaggio. Di conseguenza devo rimodellare quelle che potevano essere le mie idee iniziali scaturite dal primo contatto con il copione. La lettura in generale è il punto di partenza anche per capire che tipo di film andremo a fare, che immagine vogliamo dare allo spettatore che lo vedrà. Il ché passa necessariamente per un confronto con il regista, perché il progetto e la firma su quell’opera è in primis la sua e deve rispecchiare quella che è la sua visione e poetica. Dunque è importante che tra me e l’autore di turno ci sia un’intesa e un’idea comune. Dopodiché arrivano i corpi, arrivano gli attori e arriva il cast. La prova del nove è la prova costumi. È fondamentale che gli interpreti si sentano a proprio agio nei costumi che indossano. Gli abiti in tal senso, così come il trucco e parrucco, servono loro per entrare nel personaggio. La riuscita di un personaggio e di un’interpretazione passano anche per quello”.
Stefano Giovani: “È fondamentale che tra costumista, regista e cast ci sia una certa sintonia per fare in modo che tutto funzioni“
A proposito di cast e di attori, quanto questi influiscono o no sul suo processo creativo?
“Gli attori tendono all’inizio a sposare le esigenze del personaggio, ma al contempo via via cercano a seguito di altre interferenze di portarlo a quelle che sono le proprie corde ed esigenze. Io invece devo fare il monaco con l’abito e quindi tendo a portare il tutto a quelle che sono le mie di idee in merito al personaggio che sono stato chiamato a vestire. Quando ho un cast che sposa in todo le mie idee è ovvio che posso continuare a proporle in maniera libera e condivisa sul set. Poi ci sono le volte che non tutto fila come da programmi perché gli attori e le attrice durante le riprese subiscono degli stress continui e degli sbalzi d’umore. Di conseguenza ciò che andava bene e piaceva una settimana prima, la settimana dopo finisce con il non essere più valido. Delle volte può accadere anche perché sono io a ripensarsi o il regista. Dunque devo sempre essere pronto alla sorpresa ed essere in grado di cambiare idea e piani all’ultimo secondo. È quindi importante che tra costumista, regista e cast ci sia una certa sintonia per fare in modo che tutto funzioni. Poi odio che l’attore vada in scena innervosito perché non si sente il costume cucito addosso a pennello. Io dico sempre che noi tutti siamo costumisti di noi stessi. Quando uso delle argomentazioni non porto mai dei discorsi esclusivi, perché in fondo parlo a un attore di come ci si potrebbe vestire e lui mi capisce, poiché a sua volta nella vita di tutti i giorni è lui che decide cosa indossare. Quindi noi tutti sappiamo che vestiti indossare per comunicare una cosa piuttosto che l’altra perché è un’attività che facciamo quotidianamente. Motivo per cui le motivazioni sono sempre valide da entrambe le parti, basta solo capire cosa va meglio di altro per esprimere qualcosa. Purtroppo questo scambio non è sempre facile”.
Quanto il budget influisce o no sul suo lavoro e quante volte ha dovuto fare di necessità virtù?
“Purtroppo i film si fanno con i soldi ed è inutile girarci intorno, di conseguenza il budget influisce sempre anche nel mio settore. Tuttavia esistono dei casi fortunati che nonostante un budget assai contenuto a disposizione può portare a un piccolo miracolo produttivo. Questo può accadere solo quando le maestranze, compresa la mia, sposano e amano il progetto al punto tale da crederci e mettersi al servizio. Ecco allora che il budget modesto non rappresenta un problema bensì uno stimolo a fare di necessità virtù. In quel caso si deve lavorare in maniera ancora più attenta per trovare delle soluzioni che consentano di mettere in scena delle cose che apparentemente celino la presenza di un budget modesto. Però è anche vero che con un budget generoso ci si può permettere di avere più alternative e anche la possibilità per il regista di rivedere in corso d’opera delle creazioni, cosa che altrimenti non si potrebbe fare”.
Stefano Giovani: “Il costumista deve confrontarsi con la moda, ma non la deve seguire ciecamente“
Quando non deve lavorare a un period-drama ma a un film ambientato nel presente, quanto la moda del momento può o no contribuire e/o interferire con e alla creazione dei suoi costumi di scena?
“Il costumista deve confrontarsi con la moda, ma non la deve seguire ciecamente, perché come ho detto prima io devo fare il monaco con l’abito e quindi seguire le tendenze del momento non aiuta ad azzeccare il personaggio. Il rischio grande è quello di fare un costume di scena come se fosse stato preso direttamente da una vetrina e messo addosso a un attore. Dipende poi dal film, ce ne sono alcuni che vedono il presente e la moda dell’epoca stringere giocoforza un legame molto stretto. Faccio sempre l’esempio di Il diavolo veste Prada per rendere l’idea. In quel caso la costumista Patricia Field, che tra l’altro per quella pellicola ottenne la candidatura all’Oscar, doveva rendere omaggio alla moda del periodo e a quella più In e glamour, anche perché quel film era ambientato nel mondo della moda e si reggeva anche drammaturgicamente su quegli elementi e non poteva prescinderne”.
In generale preferisce il riuso di abiti pre-esistenti o creare da zero con materiali nuovi?
“Anche in questo caso dipende dal tipo di film e dai personaggi sui quali sono chiamato a lavorare. Spesso capita che un costume di scena debba essere necessariamente già usato e strausato per avere quel sapore di vissuto. Un sapore, questo, che altrimenti sarebbe impossibile da restituire con dei tessuti nuovi e degli abiti fatti da zero. L’alternativa sarebbe passare attraverso processi di invecchiamento per provare a dare quella sensazione, ma non è la stessa cosa. Mi capita di scovare nei mercatini dei pezzi vintage bellissimi, che costano apparentemente poco, ma che lavorandoci sopra, facendoli modificare dalle sarte oppure ritingerli dando loro una nuova vita, un nuovo colore e un altro aspetto, si ottengono dei costumi pazzeschi che sembrano costare moltissimo e invece no. La cosa in sé mi diverte tantissimo poiché è un passaggio creativo che mi appassiona e mi stimola. Andare ad attingere da una grande sartoria e comporre i propri costumi lì è sicuramente molto bello e soddisfacente, ma allo stesso tempo può anche essere meno stimolante perché hai vita facile. Tendenzialmente tendo a fare un buon uso del riuso, ma questo fa parte della mia formazione perché quando ho iniziato a fare il mestiere di costumista ancora si girava con la pellicola e l’immagine aveva quella patina che ben si sposava con i tessuti pre-esistenti. Adesso la nitidezza dell’immagine data dal digitale è molto più elevata e dunque dobbiamo fare ancora più attenzione e sforzo per rendere i costumi vissuti”.
Stefano Giovani: “In un film moderno noi costumisti dobbiamo essere sempre pronti e reattivi rispetto alla possibilità che qualcuno possa cambiare idea da un momento all’altro“
Passato, presente o futuro. Quale tra queste ambientazioni la mette più alla prova?
“Ogni progetto per quanto mi riguarda è una prova d’esame, a prescindere dal periodo storico nel quale va in scena. C’è da dire che il film contemporaneo ambientato nel presente dal punto di vista dei costumi di scena non è affatto semplice come si potrebbe pensare, anzi è molto più difficile rispetto a un period-drama perché bene o male la ricostruzione di un’epoca già detta un binario. Epoca che noi costumisti prima di metterci a lavoro studiamo attentamente per arrivare più preparati possibili al periodo che siamo chiamati a mettere in scena. Quindi ci sono una serie di paletti che indicano la strada da percorrere oltre i quali non puoi andare per non incappare in errori. Di conseguenza certi modi di vestire i personaggi sono obbligati, così come le richieste che possono venire da un regista che non può chiederti dettagli o abiti che magari in quel dato periodo non venivano usati o addirittura non erano ancora stati inventati. Nei film moderni invece tutto può accadere, perché tutto è sempre a disposizione. Le possibilità, i modelli, i tessuti e i colori in tal senso sono indefiniti o quasi e chi stabilisce che una camicia bianca possa essere meglio di una celeste. Quanti tipi di pantaloni esistono oggigiorno. Non dico infiniti, ma quasi. Ciò significa che in un film moderno noi costumisti dobbiamo essere sempre pronti e reattivi rispetto alla possibilità che qualcuno, a cominciare dal regista, possa cambiare idea da un momento all’altro”.
Stefano Giovani: “Per i costumi di Sulla mia pelle, essendo una storia realmente accaduta, mi dovevo attenere a una ricostruzione più fedele possibile agli accadimenti”
Nella sua carriera ha potuto lavorare anche su film che raccontano storie realmente accadute come ad esempio Sulla mia pelle e Bologna 2 agosto: I giorni della collera. Quanto la verità storica e il fatto di avere rievocato personaggi ed eventi reali ha pesato sul suo lavoro?
“Ogni volta che faccio un film mi plasmo rispetto alla sceneggiatura e di conseguenza alla storia che racconta. Per me un bravo costumista, così come un bravo scenografo, deve essere al servizio del film e quindi il nostro estro e la nostra creatività vanno esercitate in funzione del progetto stesso. Il ché significa che non dobbiamo necessariamente fare dei costumi che ci appagano o che mettono in risalto quelle che sono le nostre preferenze in termini di stile, materiali o colori, ma assecondare le esigenze della vicenda che viene raccontata e del periodo nel quale è ambientata. Nel caso di pellicole come Sulla mia pelle o Bologna 2 agosto: I giorni della collera il mio Io e il mio essere artistica dovevano sposarsi e assecondare in tutto e per tutto la verità storica così da poterla rievocare e farla riemergere per ciò che è stata. Da un certo punto di vista potrebbe apparire limitante, ma in realtà è una fonte di arricchimento. Nel caso specifico di Sulla mia pelle alla base c’era anche un fattore emotivo molto molto forte, perché ricreare un personaggio come quello di Stefano Cucchi e la sua disgraziata vicenda non è stato per nulla semplice per la paura di invadere una sfera privata. In tal senso ho avuto un paio di colloqui molto intensi con la sorella per capire come rappresentarlo al meglio. Poi essendo una storia realmente accaduta mi dovevo attenere a una ricostruzione più fedele possibile agli accadimenti. Cucchi è stato arrestato ed è morto dopo una settimana ed è rimasto vestito per tutto il tempo con gli stessi abiti. Ciò ha richiesto un elaborato processo di invecchiamento degli abiti per restituire sullo schermo quella condizione di logoramento. Si è trattato di una ricostruzione drammatica e assai dolorosa che mi ha messo emotivamente tanto alla prova, perché è passata anche per un studio attento e molto accurato dei documenti e dei materiali fotografici a disposizione”.
Stefano Giovani: “Tra i film ai quali ho lavorato Tre uomini e una gamba è andato al di sopra delle mie aspettative. Mentre lo giravamo non credevamo potesse raggiungere un tale successo“
Quale tra i film ai quali ha lavorato è andato al di sopra delle sue aspettative?
“Un film che mentre lo facevo non avrei mai creduto raggiungesse un clamoroso successo come quello ottenuto è stato il secondo che ho firmato da costumista, vale a dire Tre uomini e una gamba, una commedia che più commedia di così si muore. Era il 1997 e c’era un bel po’ di scetticismo nell’ambiente intorno al progetto che segnava l’esordio sul grande schermo di Aldo, Giovanni e Giacomo, nonostante venissero da apprezzati spettacoli e sketch in teatro e in televisione. Ricordo che uscì in poche copie, ciononostante ottenne un riscontro immediato facendo ricredere tutti coloro che la vedevano come un’operazione furba e frivola, come se una commedia, seppur leggera come quella, non potesse e non meritasse di fare un percorso in sala di un certo tipo. Tra gli addetti ai lavori dell’epoca nessuno infatti avrebbe scommesso nemmeno un centesimo sulla possibilità che quello che stavamo girando sarebbe poi diventato il film dell’anno”.
E quello che l’ha invece messo più alla prova?
“Sicuramente quello che ha richiesto un impegno notevole anche sul piano logistico, perché ci ha portato a macinare km per realizzare riprese in tutta la Sardegna, da Nord a Sud, è La terra delle donne, l’opera prima di Marisa Vallone. Era una Sardegna aspra e amara, non quella delle spiagge cristalline.La troupe in quel caso si è ritrovata ad adattarsi allo stile del film stesso. Si trattava infatti di un film itinerante, per di più d’epoca che copriva un arco temporale che dai primi del Novecento arrivava sino agli anni Sessanta. Nonostante la grandissima fatica di quei giorni, l’unione di tutte le maestranze coinvolte e del cast ha permesso di portare a termine una lavorazione molto complessa. Ma quando la fatica è condivisa allora si sente di meno. Ho un bellissimo ricordo di quelle riprese che mi hanno portato a dare forza e grinta a un po’ tutte le mie caratteristiche e ai miei principi”.
Stefano Giovani: “Il costume di scena non deve spiccare rispetto alla storia ma contribuire a delineare e creare un personaggio, accompagnandolo nel suo arco narrativo“
C’è una formula precisa e costante che un costumista può seguire per giungere al risultato?
“Il costume di scena non dovrebbe spiccare perché il contrario significherebbe portare il personaggio agli estremi e farlo comandare sulla storia. Il costume di scena deve contribuire a delineare e creare un personaggio, accompagnandolo nel suo arco narrativo. Tuttavia esistono dei casi in cui il personaggio diventa giusto per la storia proprio in virtù dell’esagerazione ed esasperazione degli abiti che indossa, poiché è la sceneggiatura stessa e la visione del regista a richiederlo. Si tratta il più delle volte di progetti legati a determinati generi quali il fantasy, l’horror o la commedia più estrema, laddove è tutto molto spinto, a cominciare dalla messinscena e dall’impatto visivo. Altre volte l’opposto in totale difetto rappresentato dall’apatia, la nullità e la neutralità, può dare vita a dei costumi perfetti. Ma in realtà non esiste una regola scritta che seguita alla lettera porta ad ottenere il migliore risultato possibile, perché le storie e i personaggi sono diversi gli uni dagli altri e le variabili a cui si va incontro sono infinite. Il ché non consente a chi fa il mio mestiere di applicare la stessa formula matematica a tutti i progetti ai quali prende parte”.
C’è qualcosa in particolare con il quale non ha ancora avuto modo e le piacerebbe confrontarsi?
“Non ho mai fatto un film ambientato nel Settecento per esempio, un’epoca che per un costumista rappresenta un vero e proprio parco giochi perché creare degli abiti legati a quel periodo storico risulta essere molto complesso, affascinante e al contempo stimolante da un punto di vista del disegno e del confezionamento. Salvo qualche piccolissima esperienza forse da assistente mi piacerebbe moltissimo confrontarmi con un lungometraggio o una serie di ambientazione settecentesca”.
Stefano Giovani: “Il bello è che ogni film è diverso da quello che hai fatto e da quello che farai“
Quale pensa sia la sfida futura per chi fa il suo mestiere?
“Nonostante il trascorre dei decenni e l’avvento delle nuove tecnologie, il cinema nel bene e nel male si fa sempre alla stessa maniera, così come le fasi da seguire e le problematiche da risolvere restano più o meno le stesse. Il bello è che ogni film è diverso da quello che hai fatto e da quello che farai, motivo per cui tutto quanto viene rimodulato e riadattato all’opera alla quale stai lavorando in quel dato momento. Basta essere sempre preparati, curiosi, pieni di stimoli ed ecco che automaticamente uno si aggiorna. Ovviamente con il passare delle stagioni cambiano i materiali, i tessuti, le mode e le tendenze, quindi rendere ad esempio la gioventù attuale in un film moderno nella maniera più giusta, figurativamente parlando, richiede un aggiornamento continuo e lo stare al passo con i tempi. Non puoi in tal senso non sapere come veste un diciottenne adesso. Quindi ti prepari, studi, fai delle domande e fermi la gente per strada, le fotografi anche, per poi renderti conto che la realtà stessa supera in maniera inaspettata e clamorosa l’immaginazione”.