Paradise is Burning: recensione del film di Mika Gustafson

La recensione dell’opera prima di Mika Gustafson, premiata a Venezia 80 per la migliore regia di Orizzonti e nelle sale nostrane dal 29 agosto 2024.

È trascorso un anno esatto dalla sua prima apparizione pubblica all’80esima Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica, laddove si è aggiudicato il Premio Orizzonti per la Miglior Regia. Per Paradise is Burning e la sua autrice, la svedese Mika Gustafson, non poteva esserci debutto migliore. L’esordio nel lungometraggio della regista di Linköping, che nel frattempo ha vinto anche il prestigioso Sutherland Award al 67° London Film Festival, esce nelle sale italiane il 29 agosto 2024 con Fandango proprio mentre in quel del Lido è in corso l’81esima edizione della kermesse veneziana. Semplice coincidenza, segno del destino o mirata strategia distributiva, poco importa, perché la cosa importante è che il film sia finalmente approdato sugli schermi nostrani e non sia rimasto, come spesso tristemente accade nel mercato tricolore, a prendere polvere in soffitta.

Paradise is Burning è un film che mescola senza soluzione di continuità il dramma sociale e familiare con il capitolo di un romanzo di formazione

Paradise is Burning cinematographe.it

La pellicola della Gustafson, scritta a quattro mani con Alexander Ohrstrand, ci porta al seguito di tre sorelle di età compresa tra i 7 e i 15 anni, che vivono da sole perché la madre si assenta spesso e per lunghi periodi. Quando i servizi sociali chiedono di incontrare tutta la famiglia, le ragazze capiscono che devono trovar qualcuno che finga di essere la loro madre per evitare di finire in affidamento ed essere separate l’una dalle altre. La sinossi rivela la duplice natura genetica di un film che mescola senza soluzione di continuità il dramma sociale e familiare con il capitolo di un romanzo di formazione. La mente per analogie torna per un momento a Un gelido inverno per poi distaccarsene quando la scrittura di Debra Granik e la sua trasposizione vengono avvolte dalla fosca atmosfera di un vero e proprio thriller. Prima della suddetta svolta, anche in quel caso si assisteva alla lotta quotidiana di un’adolescente chiamata a tenere sulle proprie spalle l’intera gestione della famiglia e a occuparsi dei due fratelli più piccoli, accudendoli e, letteralmente, procacciandogli il cibo, dopo la malattia della madre e l’arresto del padre. Paradise is Burning al contrario del film del 2010 mantiene le sue radici narrative e drammaturgiche saldamente affondate nelle dinamiche e negli stilemi del drama e del coming-of-age. Da una parte fa dunque leva su una storia improntata al forte realismo o su di un’indagine sui ceti più indigenti, raccontando un contesto miserabile e infausto utilizzando un linguaggio livido e sporco, con una macchina a mano che sta costantemente attaccata ai personaggi senza però escludere mai il contesto in cui sia le protagoniste che la cinepresa stessa sono chiamate a muoversi come degli animali selvaggi in cattività. Dall’altra invece porta sullo schermo le pagine del romanzo di formazione di cui sopra,  con tutte le tematiche ad esso strettamente correlato che riguardano anche la sfera domestica. Il tutto tenuto insieme in armonioso equilibrio e in costante interscambio, senza che l’una fagociti mai l’altra.

Il racconto di Paradise is Burning è un concentrato di emozioni cangianti che le performance delle giovani protagoniste dal diverso livello di intensità riescono ad offrire

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Come accade a moltissime opere prime, anche quella firmata dalla cineasta scandinava soffre la pressione esercitata dal dovere fare e dire tutto e bene. Ecco allora che Paradise is Burning si carica addosso un peso che non sempre riesce a sostenere. Alle tante cose positive come le interpretazioni del giovanissimo trio protagonista capitanato da Bianca Delbravo e il concentrato di emozioni cangianti che le performance dal diverso livello di intensità riescono ad offrire, si vanno ad aggiungere delle sbavature soprattutto nella parte centrale. Quest’ultime si palesano sotto forma di giri a vuoto che portano il racconto a ripetersi e a reiterare situazioni fotocopia che accumulano solo minutaggio. La timeline ne risente così come la scorrevolezza della narrazione che prima e dopo la zona rossa incriminata si muove più agilmente e con più incisività. Una maggiore asciuttezza avrebbe sicuramente giovato. Per il resto, la Gustafson dimostra, così come aveva fatto sulla breve distanza con i suoi pluripremiati cortometraggi, di avere tutte le carte in regola per lasciare il segno da qui ai prossimi anni. Basta solamente lavorare sulle criticità riscontrare così da tentare quel salto di qualità che le auguriamo con tutto il cuore di fare.         

Paradise is Burning: valutazione e conclusione                

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La pellicola di Mika Gustafson ha tutti i pregi e i difetti che normalmente caratterizzano le opere prime. Il fare bene a tutti i costi e il metterci tutto ciò che si vuole e si può finisce con il pesare sulle spalle di un’esordiente che comunque dimostra di avere una discreta maturità registica. I passaggi a vuoto e le ripetizioni nella parte centrale non consentono al racconto di mantenere la scorrevolezza del primo e del terzo atto. Bravissime le tre interpreti che rappresentano la vera forza di un film viscerale che mescola in maniera armoniosa dramma sociale e romanzo di formazione. Paradise is Burning è un concentrato di emozioni cangianti il cui flusso è interrotto solo dagli stop di cui sopra.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.6