Taxi Monamour: recensione del film da Venezia 81
La recensione dell’opera quarta di Ciro De Caro con Rosa Palasciano e Yeva Sai, presentata alle Giornate degli Autori di Venezia 81 e nelle sale dal 4 settembre 2024.
Nemmeno il tempo di raccogliere e metabolizzare le emozioni vissute nel corso dell’anteprima mondiale all’81 edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica nella sezione autonoma delle Giornate degli Autori, laddove è stato l’unico film battente bandiera tricolore in concorso, che la nuova fatica dietro la macchina da presa di Ciro De Caro dal titolo Taxi Monamour è già attesa da un altro importantissimo appuntamento. Meno di ventiquattro ore, tante sono le ore che separeranno il battesimo al Lido dall’uscita nelle sale il 4 settembre 2024 con Adler Entertainment. Scelta, questa, operata molto probabilmente dalla distribuzione di comune accordo con produzione per sfruttare al massimo la pubblicità e l’esposizione mediatica che un’apparizione nella kermesse veneziana può offrire. Staremo a vedere se tale strategia porterà i suoi frutti, nel frattempo il quarto lungometraggio del regista romano ha messo in vetrina sia i punti di forza che le debolezze strutturali dell’opera in questione.
Taxi Monamour si presenta come un’armoniosa orchestrazione di scrittura, messa in quadro e performance attoriali
Partiamo dalle note positive di un’esecuzione che alla pari delle precedenti di De Caro si presenta al fruitore di turno come un’armoniosa orchestrazione di scrittura, messa in quadro e performance attoriali. I tre strumenti a disposizione fanno in modo che il progetto prenda una forma e una sostanza definite e compatte, dove tutto scorre in maniera equilibrata e funzionale alla tipologia di storia messa in scena, anch’essa frutto di una sperimentazione personale all’insegna della piena indipendenza che ha avuto inizio con l’inaspettato successo di Spaghetti Story nel 2013, proseguita tre anni dopo con Acqua di Marzo e germogliata più di recente con Giulia – Una selvaggia voglia di libertà. Il cineasta firma un altro racconto al e sull’universo femminile che si focalizza su due solitudini, sullo sfondo dell’attuale guerra in Ucraina. Lo fa attraverso l’incontro tra donne all’apparenza diverse ma che in fondo si assomigliano molto. Anna è in conflitto con se stessa e la propria famiglia e affronta in solitudine la sua malattia; Cristi fugge da una guerra che la tiene lontana da casa. Tutti consigliano alla prima di seguire il suo compagno in un viaggio di lavoro e alla seconda di restare al sicuro in Italia. Starà a loro decidere se ascoltare oppure no tali suggerimenti, ma solo dopo avere fatto insieme un tuffo, seppur breve, nella libertà. La ricerca di uno stato d’animo e di una condizione fisica e soprattutto psicologica da parte delle figure che popolano i film di De Caro che è una costante nella sua filmografia, almeno quanto il trattare altre tematiche universali come la complessità dei legami affettivi e la famiglia.
Le performance delle due protagoniste di Taxi Monamour interpretate da Rosa Palasciano e Yeva Sai donano la giusta densità emotiva alla storia e ai personaggi
Gli assolo delle due protagoniste, qui interpretate con la giusta densità emotiva da Rosa Palasciano (anche nelle visti di co-sceneggiatrice) e Yeva Sai, si innestano e coesistono come da modus operandi del cineasta capitolino con una coralità di personaggi secondari che partecipano attivamente alle one-lines di quelli principali e alla narrazione nel suo complesso. Ciò permette a queste due solitudini di avvicinarsi fra loro e al contempo di non risultare mai dei corpi estranei all’universo umano e al contesto che vivono e le circonda. È questa capacità di creare sempre degli ensemble equilibrati tra le componenti chiamate in causa, senza che l’una fagociti mai le altre e viceversa, è sicuramente una delle caratteristiche del cinema di De Caro, che anche in Taxi Monamour trova un’ efficace esecuzione. La medesima efficacia che si può riscontrare anche nel sodalizio e l’interscambio tra il contenuto e il modo in cui questo viene veicolato tramite il linguaggio, la punteggiatura e la grammatica adottati dalla macchina da presa: in gran parte a mano, attaccata ai corpi in un pedinamento continuo, ma anche libera di muoversi nello spazio scenico per andare a cogliere i più impercettibili dettagli, sguardi e movimenti. Il ché fa tutto parte della sperimentazione di cui sopra, oltre a un ulteriore passo nella ricerca di un’identità stilistica ben precisa, che nel caso dell’autore in questione passa per la già citata libertà e per il rigore che sfiora l’approccio documentaristico. Modalità, questa, che consegna allo spettatore una sensazione di verità, realismo e naturalezza che sembra portarlo lì, in quel preciso momento, alla quale contribuiscono anche le interpretazioni delle due protagoniste.
Il tallone d’Achille di Taxi Monamour sta nella durata eccessiva che appesantisce la fruizione e la rende meno fluida
Dove invece Taxi Monamour ha il suo tallone d’Achille è nella durata eccessiva di una timeline che raggiunge le quasi due ore, quando invece narrativamente e drammaturgicamente non necessitava di una simile estensione. La reiterazione di alcune situazioni e la conseguente dilatazione oltre la reale esigenza di alcune scene. Ciò appesantisce la fruizione, la depotenzializza rendendola meno scorrevole sul piano del ritmo.
Taxi Monamour: valutazione e conclusione
Nel suo quarto lungometraggio, Ciro De Caro racconta l’incontro femminile di due solitudini, sullo sfondo dell’attuale guerra in Ucraina, attraverso le performance di due bravissime interpreti come Rosa Palasciano e Yeva Sai, che donano la giusta intensità ai rispettivi personaggi. Con Taxi Monamour il regista romano torna su alcune tematiche a lui care come i legami affettivi, la famiglia e la ricerca di libertà, proseguendo anche il suo percorso di sperimentazione su un linguaggio sempre più rigorosamente formale tanto da sfiorare il documentarismo e donare verità e naturalezza al racconto. Peccato per l’eccessiva durata che andando oltre le reali esigenze narrative e drammaturgiche della vicenda incide negativamente sul ritmo e sulla scorrevolezza della fruizione.