L’invenzione di Morel: recensione del film da Venezia 81
Un'opera dotata di grande attualità. Magnetica ed enigmatica e con un cast d'eccezione: Giulio Brogi, Anna Karina, John Steiner e Roberto Herlitzka.
Un forte rumore scuote con violenza l’aria: è l’inquietante frastuono del vento che spira incessantemente su un’isola deserta come corporea rivelazione di un tormento mentale che viene da posti sconosciuti. In questo modo prende avvio, col suono tempestoso di un naufragio, L’invenzione di Morel di Emidio Greco, uno dei più importanti esordi del cinema italiano, basato sull’omonimo romanzo denso e visionario di Adolfo Bioy Casares e ambientato in un mondo allucinatorio costituito da pura forma. Un’opera cardine nella filmografia del raffinato cineasta italiano, presentata nel 1974 alla Quinzaine des Réalisateurs del Festival di Cannes, con un cast d’eccezione (Giulio Brogi, Anna Karina, John Steiner e Roberto Herlitzka) e le musiche di Nicola Piovani. Ha come protagonista un fuggitivo con il volto classico ed espressivo di Giulio Brogi. In occasione del suo cinquantesimo anniversario, il 27 agosto 2024 è in programma la proiezione speciale de L’invenzione di Morel come evento di pre-apertura alle Giornate degli Autori, nel corso dell’81° edizione della Mostra del Cinema di Venezia.
Ne L’invenzione di Morel un naufrago si accorge di essere l’unica persona reale su un’isola. Le donne e gli uomini che vede sono solo proiezioni (del passato) di una registrazione, emerse da una diabolica invenzione
Notiamo la ripresa complessa di Emidio Greco, i movimenti articolati e assai liberi della camera, nonché la confusione di campi e piani (ad esempio quando il soggetto del racconto cambia e può diventare un elemento sonoro o un luogo come la villa chiamata “museo”). Poi lo schermo nero, i suoni naturali del vento, della risacca, della pioggia, quelli artificiali dei motori, il senso di smarrimento del protagonista, l’eleganza spettrale e astratta di Anna Karina, l’invasione felice della musica di Piovani. Tutti elementi che contribuiscono a rendere i luoghi de L’invenzione di Morel più metafisici che reali, in cui il tempo è sospeso e i personaggi sembrano popolare un quadro di De Chirico. Silenziosi, caratterizzati da una classicità al di fuori del tempo, che diventano scenari della vita contemporanea in cui l’atmosfera sospesa produce un sentimento continuo di spaesamento. Il naufrago, provato, interpretato da Giulio Brogi, dapprima preda dell’immensa spazialità del mare, viene inglobato successivamente fra le gole di pietra, le caverne e gli anfratti che lambiscono la costa rocciosa del luogo in cui si trova. Di nuovo prigioniero. Come il paesaggio anche anche lui viene colpito dal vento (sottomesso a livello emotivo e rassegnato al dolore), debolmente si incammina nelle lande desertiche dell’isola che sembrano pronte a cancellare, distruggere, annichilire ogni traccia umana. Trova infine ad accoglierlo un nuovo luogo, angustiante e sinistro: un edificio dalle forme geometriche lo attira infatti verso di sé, e nuovamente prova ad annientarlo.
Si può interrompere o de-registrare questa ripetizione senz’anima, che è una finzione?
Un’opera dotata di grande attualità. Stupefacente, magnetica ed enigmatica, con un protagonista – un ricercato che rimane in bilico tra il terrore di essere identificato e la frustrazione di non riuscire a vivere nell’isola deserta, né di poterla lasciare perché la sua imbarcazione è andata distrutta. L’invenzione di Morel è anche un film misterioso, con una sceneggiatura sospetta, criptica. Cosa vorrà dire il genio Morel (John Steiner) quando parla «dell’influenza del futuro sul passato»? Fa sperabilmente riferimento a qualche possibilità di interrompere, di de-registrare, di annullare la registrazione, quello cioè che cercherà di fare il naufrago nel suo tardivo ed estremo gesto? Quando si renderà conto che le figure umane improvvisamente apparse sull’isola sono solo delle proiezioni del passato emerse dalla macchina inventata da Morel che non capta soltanto ma registra anche e soprattutto proietta nel fanatico o diabolico tentativo di catturare l’anima? Ma è possibile interrompere questa ripetizione (senz’anima)? Il protagonista appare quindi circondato da immagini irreali che all’inizio scambia per vere: ed è evidente lo sconforto per non aver conosciuto un’anima ma semplicemente personaggi intrappolati nel meccanismo della ripetizione, della menzogna. Si rende conto di essere fuggito da un carcere per capitare in un luogo ancora più angusto, in uno spazio annichilente. La stessa la divina e ambigua Faustine (Anna Karina) non è che un’immagine. Il protagonista rimane però affascinato da lei. Attiva il meccanismo di registrazione di Morel, «per poter stare al suo fianco per l’eternità», poi però nella scena finale prova a interrompere questo mondo illusorio di spensierata gaiezza, questa insignificante registrazione.
L’invenzione di Morel: valutazione e conclusione
La vicenda del personaggio interpretato dall’attore de Il portaborse e di Il segreto del bosco vecchio non ci sembra molto diversa da quella degli individui contemporanei che, connettendosi agli altri nel mondo digitale, potrebbero scambiare il falso per il vero o il vero per il falso. Cosi oggi, abbagliati dall’universo digitale e perdendo coscienza di sé e dei limiti del proprio corpo. Il fuggitivo nel film s-c-e-g-l-i-e di sacrificare letteralmente la propria vita, dandosi alla finzione, alla ripetizione, consegnandosi alle immagini registrate (che seguendo Morel non sono qualcosa di meno di una persona vivente), ma a che prezzo?