Flaminia, recensione del film con e di Michela Giraud
Flaminia è una commedia cruda e dolorosa, ma anche divertentissima e ironica: un vero inno alla vita.
Flaminia: il primo film di Michela Giraud è una sorpresa inaspettata che si muove tra satira e introspezione, portando sul grande schermo una storia di famiglia e di autoconsapevolezza, lontana dalle aspettative che ci si potevano avere dalla nota stand-up comedian romana. Qui Giraud, dietro e davanti alla macchina da presa, affronta un terreno insidioso, mescolando la commedia pungente che l’ha resa famosa a una narrazione intima e personale.
Flaminia De Angelis, la protagonista, è una trentenne romana che vive intrappolata in un mondo fatto di apparenze, dove ogni gesto e ogni decisione sono dettati dal dovere di mantenere una facciata impeccabile. La sua vita è perfettamente inquadrata: una carriera prestigiosa, una famiglia che sogna la scalata sociale, un matrimonio imminente con un giovane dell’alta borghesia. Eppure, sotto questa superficie perfetta, Flaminia si sente soffocata, ingabbiata in una realtà che non è la sua.
Una commedia agrodolce tra satira e introspezione familiare
Il meccanismo perfetto della sua esistenza viene però scardinato dall’arrivo di Ludovica, sorellastra che irrompe nella sua vita come un ciclone. Ludovica è l’antitesi di tutto ciò che Flaminia rappresenta: caotica, senza filtri, e affetta dalla sindrome di Asperger, rappresenta il disordine e la verità in un mondo di finzioni. Con il suo arrivo, l’equilibrio precario di Flaminia inizia a vacillare, costringendola a guardare in faccia le sue insicurezze, le sue paure, e soprattutto la vita che ha sempre cercato di tenere sotto controllo. Ludovica è interpretata da una straordinaria Rita Abela, che dà vita a un personaggio complesso e affascinante, capace di far emergere, con la sua innocente brutalità, la parte più autentica di Flaminia. La loro dinamica diventa il cuore pulsante del film, un dialogo costante tra due mondi opposti, ma inevitabilmente connessi. Da una parte la perfezione soffocante, dall’altra la libertà incontrollata.
La famiglia di Flaminia, e in particolare la madre, sono tratteggiate con un’ironia graffiante. La madre, interpretata da Lucrezia Lante della Rovere, è l’emblema di una classe sociale ossessionata dall’apparenza e dal successo. Lei non vede in sua figlia una persona, ma un mezzo per raggiungere l’obiettivo finale: un matrimonio vantaggioso che possa garantire alla famiglia quella posizione di prestigio a cui ha sempre aspirato. Le amiche di Flaminia, con i loro vestiti impeccabili e i sorrisi vuoti, sono figure stereotipate di un mondo superficiale, figure grottesche che sembrano uscite da una favola dark, in cui le maschere sociali contano più delle emozioni vere.
Ma Flaminia non è solo una commedia satirica su Roma Nord e le sue dinamiche sociali. Il film, infatti, scava più a fondo nelle emozioni della protagonista, rivelando gradualmente le sue fragilità e i suoi dubbi. Il confronto con Ludovica diventa un percorso di riscoperta di sé, un viaggio che porta Flaminia a mettere in discussione tutto ciò che aveva sempre dato per scontato. E qui la narrazione cambia registro, passando dalla satira brillante a un tono più riflessivo e a tratti malinconico.
Se c’è un punto in cui il film si scontra con le sue stesse ambizioni, è proprio nella gestione di questo cambio di tono. Il passaggio dall’umorismo tagliente a una drammaticità più profonda non sempre è fluido, lasciando talvolta lo spettatore spiazzato. La commedia scivola nel dramma in maniera a volte un po’ brusca, e la transizione non è sempre gestita con la delicatezza necessaria per far coesistere i due registri. Tuttavia, nonostante questi sbalzi, Flaminia riesce a mantenere una sua coerenza emotiva, grazie alla forza dei personaggi e alla sincerità della storia.
Il padre di Flaminia, interpretato con una dolcezza disarmante da Antonello Fassari, è una figura che emerge come contraltare alla freddezza della madre. Un uomo semplice, che guarda con affetto e preoccupazione le sue figlie, ma che alla fine trova il coraggio di intervenire quando tutto sembra perduto. Il suo personaggio rappresenta la romanità più autentica, lontana dagli eccessi di Roma Nord, una presenza silenziosa che però si fa sentire nei momenti cruciali.
Flaminia: conclusione e valutazione
Il film esplora con sensibilità anche il tema della disabilità, evitando facili sentimentalismi o stereotipi. Ludovica non è un personaggio da compatire, ma una forza della natura, una figura complessa e tridimensionale che, con le sue imperfezioni e il suo modo di vivere la vita fuori dagli schemi, costringe chi le sta intorno a fare i conti con se stesso. In questo, Flaminia si distingue per la sua capacità di raccontare la diversità senza renderla un oggetto di pietà, ma piuttosto un catalizzatore di cambiamento.
Alla fine, Flaminia è una storia di autoconsapevolezza, di crescita, di scelte difficili. Michela Giraud, pur non abbandonando completamente il suo stile comico, dimostra di saper affrontare temi più profondi, regalando al pubblico una storia che riesce a far sorridere, ma anche a far riflettere. Un film imperfetto, forse, ma con un’anima sincera, che riesce a toccare corde emotive che non ci saremmo aspettati da una regista al suo esordio.