Fratello Sole, Sorella Luna. Recensione del film di Franco Zeffirelli
Venerdì 4 ottobre 2024 torna in sala, in versione restaurata in 4K, il film del 1972, Fratello Sole, Sorella Luna di Franco Zeffirelli.
Fratello Sole, Sorella Luna racconta la vicenda del santo patrono d’Italia, San Francesco d’Assisi. Si tratta di una moderna agiografia, con la quale il regista Zeffirelli avrebbe voluto modernizzare la figura del santo, proponendola come icona spirituale in grado di profetizzare l’avvento di certe tendenze culturali della gioventù sessantottina. A tal fine il regista toscano seleziona dall’ampia biografia di San Francesco alcuni momenti fondamentali e vi costruisce attorno un racconto dagli echi fiabeschi.
Fratello Sole, Sorella Luna. Fra fiaba e ricostruzione storica
Si ricordi che, secondo una certa tradizione critica che si rifà alla ricerca in campo psicanalitico di Bettelheim, le fiabe hanno la funzione di rielaborare motivi mitico-religiosi al fine di fornire modelli di sviluppo per i bambini. Zeffirelli nella sua operazione agiografica sembra seguire proprio questa strada, sostituendo alla figura del bambino, quella di una generica gioventù, trattata con la stessa condiscendenza con cui spesso vengon trattati i bambini.
Francesco appare inizialmente come una figura infantile, un giovane borghese viziato, simbolo di un’intera classe sociale in ascesa. Ma anche dell’affermarsi di valori mercantili e secolari rispetto a quelli cavallereschi e spirituali, idealizzati nella visione romantica di un Alto Medioevo ormai finito da tempo. Siamo nel 1202, anno della guerra fra Perugia e Assisi e più in generale dell’Italia divisa fra borghi in lotta, fra guelfi e ghibellini, fra papato e impero Hohenstaufen. Si tratta del periodo storico in cui la borghesia italiana si afferma come motore economico del paese. La cavalleria appare solo come un mezzo per accrescere i propri guadagni attraverso le razzie di guerra e la vita spirituale della Chiesa è già definitivamente invischiata col potere temporale.
Zeffirelli ci mostra un Francesco ben integrato in questo quadro sociale e preferisce restituirci quel momento storico come una metafora della fine della spensieratezza della giovinezza. Fil protagonista deve entrare nel mondo adulto, attraverso la partecipazione a una guerra, che amplierà le ricchezze paterne. Inizia l’età borghese e del commercio e arriva la consapevolezza della morte. Con una certa maestria Zeffirelli racconta la guerra attraverso un’elegante metafora visiva. Dopo l’ultimo tramonto prima della partenza di Francesco in armi, il regista ci mostra una scena dal sapore onirico in cui un cavallo bianco, presagio di morte nella simbologia onirica, corre fra i fumi della distruzione in una foresta tetra. L’intera messa in scena di questo prologo da il tono all’opera. Dialoghi ingenui e, a volte farseschi, simbologia, costumi sfarzosi e un’attenta ricostruzione storica, che però si impreziosisce di elementi tratti da una certa visione pittorica romantica del Medioevo. Si ritrovano addirittura echi felliniani nella fantasia baracca di alcuni costumi e nella ricostruzione di Roma. Mentre c’è un tentativo, di matrice pasoliniana, di integrare racconto simbolico, pittura duecentesca e volti e corpi neorealisti, in una messa in scena moderna e dal respiro quasi holliwoodiano.
Insomma l’opera in sé è sicuramente accattivante per alcune scelte estetiche, d’altronde la visione che promuove risulta, nel migliore dei casi ingenua, quando non proprio banalmente vuota. Dopo il prologo infatti inizia la storia della conversione del santo che rifiuta la guerra e abbandona le ricchezze materiali. Si dedica a riparare la chiesa di San Damiano e crea una comunità di frati che come lui fan voto di povertà e accudiscono gli ultimi. Sempre seguendo la linea della fiaba mitica viene inserito anche il personaggio di Santa Chiara, cugina di Francesco, che in quanto bella è buona e rappresenta la chiamata dell’eroe nel prologo – è lei infatti a instillare l’amore per gli ultimi nel protagonista. Infine avversato dalle autorità cittadine, Francesco e i suoi si recano a Roma e ottengono la protezione e il riconoscimento da papa Innocenzo III.
Fratello Sole, Sorella Luna: valutazione e conclusione
Siamo davanti, insomma, a una piccola storia edificante in cui la ribellione giovanile nei confronti di quella vita borghese, segnata dal dominio della morte/economia, non passa per un tentativo di destrutturare il potere che impone quel dominio, come per alcuni versi fecero invece certi movimenti eretici. L’obiettivo finale di Francesco è solo quello di ottenere il riconoscimento e il diritto di esistere, da parte del potere ecclesiastico, in primo luogo e civile/economico, in secondo luogo. Ovvero la teologia dell’emozione spirituale e della conformità con un divino sublime e nascosto, tipico della tradizione francescana, rivela tutte le sue affinità con certe forme di pietismo tipiche dell’età barocca. E con il desiderio di conformarsi a un ordine socioeconomico che, solitamente, fa seguito a tutte le fasi ribellistiche della gioventù borghese moderna.
Zeffirelli costruisce, dunque, Fratello Sole, Sorella Luna attorno alla traiettoria metaforica più banale possibile. Quella che vede nella comunità francescana una protocomunità di hippie. I giovani volti scelti, i capelloni, l’accogliere fra le proprie fila anche una donna (Chiara) e soprattutto la caratterizzazione dei dialoghi di Francesco, figli dello spiritualismo pacifista di Hesse, sono tutte marche del tentativo intellettuale di Zeffirelli di ricondurre una rivoluzione di costume epocale, moderna e originata in ambito protestante, all’interno delle canoniche e reazionarie coordinate culturali tutte italiane di un cattolicesimo pauperista, imbellettato per mezzo di una ideale tensione giovanilistica poco credibile. Una tendenza di pensiero per cui il potere si può criticare solo quando esso ti concede di farlo e la pietas è tollerata solo nella forma del pietismo più innocuo.