FLOW – Un mondo da salvare: recensione del film d’animazione da Roma FF19
Alice nella Città, prima. L'uscita nelle sale italiane il 7 novembre 2024, poi. Flow - Un mondo da salvare, regia del lettone Gints Zilbalodis, è uno dei film d'animazione più emozionanti e intelligenti dell'anno.
Di tante definizioni, più o meno pretenziose, di cui servirsi per sintetizzare virtù e punti di forza di un film, cinema puro è tra le più adeguate, pertinenti, eleganti. Va usata con moderazione, per evitare l’abuso che svilisce il concetto e banalizza la potenza e la magia – retorico ma vero – del cinema. Flow – Un mondo da salvare, in sala in Italia il 7 novembre 2024 per Teodora Film dopo il passaggio ad Alice nella Città 2024 (sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma), è un luminoso esempio di cinema puro e merita di essere trattato come tale. Esplosivo nella sua vitalità poetica, trasmette una verità emotivamente e intellettualmente forte usando ogni possibilità offerta dalla tecnologia e dallo storytelling cinematografico, senza perdere per strada la vocazione allo spettacolo o la capacità di comunicare con semplicità e coerenza. La regia è del lettone Gints Zilbalodis, alla seconda animazione dopo Away (2019); il film della svolta è però questo qui. Ha stregato un po’ tutti – dal Festival di Cannes a quello del film animato di Annecy – e comincia a mettere nel mirino anche l’Oscar. Tutta colpa, merito, di un gatto.
Flow – Un mondo da salvare: storia di un gatto che deve imparare a fidarsi degli altri (e viceversa)
Per portare il pubblico in sala, a un film come Flow – Un mondo da salvare basterebbe dire la verità e nient’altro che la verità, senza depistaggi, aggiustamenti, senza nascondersi fino a quando è troppo tardi per tornare indietro (non è un musical, tranquilli). La verità – sufficiente a catturare tutta l’attenzione che serve – è che questa è la storia di un gatto. Un gatto senza nome, un gatto che li riassume tutti, un gatto che parla a nome nostro anche se, per la verità, non parla. Fa il gatto, miagola. Gints Zilbalodis sceglie la strada del cinema ibrido. Flow – Un mondo da salvare è contemporaneamente ascrivibile alla doppia casella di cinema sonoro (tecnicamente, di questo si tratta) e muto. Non c’è una sola parola pronunciata nel corso della storia, ma è tutto chiaro lo stesso.
Aveva due alternative, il regista lettone. Puntare sul più classico degli approcci, adottando il punto di vista della bestia antropomorfa che parla, agisce e pensa come un essere umano. O posizionarsi a metà strada, mantenendo inalterati i tratti e le movenze animalesche dei personaggi, umanizzandoli quel tanto che basta per renderne comprensibile l’interiorità. Sceglie la seconda strada, confidando nella potenza del cinema, nella forza autoevidente del montaggio, dell’azione, della tecnica e dell’emozione, per arrivare al cuore dello spettatore con una verità semplice e necessaria, oltre gli artifici delle parole. Il film rinuncia al linguaggio convenzionale per costringersi a essere creativo, rubando al cinema muto la folle inventiva che fa valorizzare i piccoli e grandi fatti della vita per tirarne fuori l’insperato potenziale drammatico. La storia è una sequenza di fatti apparentemente insignificanti, carichi di idee e sentimento.
In un certo senso, è un bisogno di pulizia e chiarezza a muovere (emotivamente) il film. Protagonista un gatto, ma non è da solo. La terra è uno strano posto senza nome, lussureggiante e pericoloso, funestata da una terribile inondazione. L’uomo c’è, ma non si vede; dappertutto oggetti e artefatti di un tempo che fu e forse (?) non sarà: lattine, bottiglie, barche, costruzioni di vario genere. Il gatto è abituato a stare solo, ma l’inondazione lo costringe a rivedere il suo stile di vita. Incrocia il passo con un cane, un lemure, un capibara e un uccello. Faticano a capirsi, a prendere le misure l’uno con l’altro, fino a che il tempo, l’abitudine e la durezza della vita insegnano la lezione più importante. La insegnano agli animali, perché loro la trasmettano a noi: bisogna aiutarsi, perché da soli non si va da nessuna parte.
Tutti sulla stessa (b)arca
Il cinema d’animazione ha un pubblico di riferimento definito. Il cinema d’animazione non ha un target preciso e può rivolgersi, astrattamente, a chiunque sia interessato. Quale delle due affermazioni è corretta? In realtà, c’è del vero in entrambe e il film che funziona è quello che riesce ad armonizzare le necessità di generazioni diverse dando a ciascuna l’illusione di essere quella giusta, senza scegliere. Flow – Un mondo da salvare è un esempio rigoroso di animazione pensata in maniera trasversale. Nel look, nell’estetica, nelle movenze, nella qualità dell’animazione e nell’esteriorità dell’azione, strizza l’occhio alle necessità e alla sconfinata disponibilità all’immaginazione dei più piccoli. Nei temi e nello spirito, parla soprattutto ai più grandi.
Il paradosso fortunato della regia di Gints Zilbalodis è di far funzionare il film lavorando su approcci che, nel cinema contemporaneo (non solo animato), risultano generalmente in colossali difetti d’impostazione. Il film non ha pretese di ambiguità; nessuna sottigliezza, è tutto alla luce del sole, l’invito alla solidarietà e il bisogno dell’aiuto reciproco, l’esortazione a adattarsi al mondo che cambia senza smarrire ciò che di più prezioso c’è in noi. Così fa il gatto e, con lui, gli strani compagni di viaggio imbarcati dal caso su una barca (arca?) alla deriva in un mondo bellissimo ma non scevro di pericoli. Apprende, apprendono, a uscire da se stessi e a liberarsi dai pregiudizi, rinunciando alla comfort zone della solitudine tranquillizzante, per immergersi nella vita. Il senso della storia non è mai percepito come meccanico, didascalico, vuoto. C’è, a monte, una comprensione della psicologia umana che porta, a valle, a un racconto coerente e a un’esposizione limpida. Pura, viene da dire, ancora una volta e non a torto. Il film va dritto al sodo perché, non è così frequente, sa cosa vuole.
Flow – Un mondo da salvare: conclusione e valutazione
Si intuisce anche dall’altro grande pregio, che in genere sarebbe un difetto ma Gints Zilbalodis sa valorizzarlo con intelligenza, ribaltandone i limiti per farne inattesi punti di forza: il film oscilla, giocoso e infantile, dolente e maturo, senza mai scegliere se essere l’uno o l’altro. Un po’ come l’elegante, articolata e non pretenziosa animazione, che suggerisce l’incanto di una natura che è madre e matrigna, riparo dalla tempesta e covo di pericoli. La stessa ambigua qualità caratteriale dei personaggi, a metà strada tra stupore infantile e bisogni più maturi e complessi, racconta bene i pregi di Flow – Un mondo da salvare: un film che “ruba” ai grandi e ai bambini e sa dare a ciascuno quello di cui ha bisogno e quello che serve. Conosce bene il confine sottile che separa la semplicità dalla banalizzazione di un discorso. Sta a metà strada tra due mondi, per comunicare meglio con entrambi. Un’ambiguità netta, deliberata, intelligente.