Pierce: recensione del film taiwanese presentato a Roma FF19
Pierce, basato su un fatto di cronaca avvenuto a Taiwan, è stato presentato nella sezione Freestyle della 19ª Festa del Cinema di Roma.
Pierce, esordio alla regia di Nelicia Low, campionessa di scherma nella squadra nazionale di Singapore, è ispirato a un evento di cronaca realmente accaduto a Taiwan. Con un buon cast e una struttura narrativa che richiama l’arte della scherma, Pierce è stato presentato alla 19ª edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Freestyle. Un film che aveva degli ottimi presupposti, ma che si perde nel voler dire troppo, affidandosi a una messa in scena eccessivamente minimalista e a una scrittura epidermica e sbrigativa.
Pierce poteva essere un film coinvolgente e toccante
Il fatto di cronaca avvenuto a Taiwan che è alla base di Pierce vedeva 2 fratelli, uniti dalla passione per la scherma, ma divisi da un qualcosa sepolto nel loro passato. La romantica idea della correttezza sportiva si lega così alla più irrispettosa dinamica familiare di chi raggira coloro che lo amano. Nel film della regista esordiente Nelicia Low l’immedesimazione nel protagonista è ben riuscita fin da subito. La sua disperata volontà di credere a una persona importante che è sparita e poi ricomparsa nella propria vita trascina lo spettatore in un vortice di domande: si inizia a dubitare della realtà e si segue il giovane Ziije nel suo processo di crescita e presa di coscienza. C’è però più di un problema in Pierce e il primo è proprio che, dalle prime azioni, già anomale, dei personaggi, si passa a un’assurdità di fondo nelle ultime scene. Quell’irrefrenabile desiderio di salvezza quindi non commuove più, neanche nella relazione interpersonale tra due giovani che vogliono ritrovare la loro complicità e la loro intesa e che aveva convinto all’inizio. Questo perché c’è un limite a tutto, e da qui il secondo grande problema del film.
La regia passa da primi piani a campi lunghi, ma lo fa senza una vera logicità, in un continuo cambio di prospettiva che sembra inserito nella narrazione per creare un asset anti-convenzionale, senza però un chiaro linguaggio né un significato che poteva essere più legato alla trama. Anche gli eventi atmosferici, come il vento o la pioggia, che contribuiscono a una visione onirica del film, tolgono la verosimiglianza a un prodotto che cerca solo e unicamente, per la sua intera durata, di arrivare alla verità, all’esatto svolgimento dei fatti. Un punto di vista che non ha quindi nulla di irreale o fantastico, e che rende quindi quello stile ogni tanto trasognato e visionario inadeguato e fuori luogo. Per quanto la storia sia estremamente interessante, disseminata di indizi, di ricordi soffusi e della rappresentazione di un affetto fraterno sentito, manca però di pathos nei momenti più salienti. Le decisioni più importanti nella vita dei protagonisti vengono prese in pochi secondi, senza dubbi, pensieri o domande.
L’empatia va prima creata e poi mantenuta
Pierce è denso di rivelazioni, di segreti che vengono confessati, di una rete di inganni e menzogne che viene faticosamente districata. Ma tutto ciò avviene senza intensità emotiva. L’esordio di Nelicia Low manca dell’aspetto più sensibile, non per ciò che racconta, ma per come sceglie di farlo. Anche la recitazione, per quanto le interpretazioni degli attori, in particolare del protagonista Hsiu-Fu Li, funzionano, non riesce trasmette i reali sentimenti dei personaggi: sorpresa, fiducia, sgomento, delusione. Insieme a tutte le scoperte che vengono fatte, Pierce sarebbe dovuto essere un’incessante crocevia di impressioni, turbamenti, inquietudini e consapevolezze, ma questa comunicazione manca. Allo stesso modo anche la sceneggiatura pecca di un contenuto capace sicuramente di stimolare l’attenzione, ma non di rendere entusiasmante e destabilizzante le numerose scene che svelano facendo chiarezza su quell’oscuro passato che perseguita ognuna delle figure presenti.
Pierce: valutazione e conclusione
Pierce narra una storia che meritava di essere raccontata. La trama ha dalla sua una matrice avvincente e una linea detection non connessa all’investigazione, che si focalizza quindi sull’indagine psicologica e sull’affrontare i propri demoni interiori, ma questo non basta. Anzi il film non risulta appassionante e si dilunga nell’incipit e nelle spiegazione fin troppo dettagliata delle abilità e delle tecniche che concernono lo sport della scherma. Una correlazione tra difesa e attacco che dovrebbe rispettivamente riferirsi al protagonista e al suo antagonista. La scrittura di Pierce è approssimativa e non arriva in profondità; si ferma sulla superficie di un thriller psicologico che aveva tutti i presupposti per essere un ottimo film, concentrandosi ad esempio sul tentativo di capire le motivazioni che si nascondevano dietro quegli atti efferati che racconta. Cercando cioè di entrare nei meandri di una mente e una realtà distorte, in una sorta di diabolico gioco di opposti che vedeva scontrarsi protagonisti e punti di vista. Ma in Pierce non c’è il cuore dei personaggi né il vero fulcro del racconto.
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