Francesca Zanni e Il Presente: “La mia passione sono le storie”

Il cortometraggio dell'autrice è stato presentato nella sezione Onde Corte - Panorama Italia Fuori Concorso della 22ª edizione di Alice nella Città

L’urgenza di raccontare una storia, la regia cinematografica come tassello mancante, il teatro che diventa cinema; in occasione della presentazione del primo cortometraggio da lei diretto, abbiamo intervistato Francesca Zanni, attrice, regista teatrale, conduttrice radiofonica, storyteller, un vero proprio talento che, con l’esordio dietro la macchina da presa che molti definirebbero “tardivo”, ha voluto dimostrare tutta l’esperienza e tutta la sensibilità artistica accumulate nel corso della propria carriera. Nata a Roma nel 1968, partita come attrice televisiva a 19 anni e arrivata al teatro, al musical e alla radio entro i 30, Francesca Zanni ha diretto il suo primo testo teatrale, Tango, nel 2000, 8 anni più tardi si è addentrata nel cinema come sceneggiatrice, per poi scrivere le sue prime canzoni, dirigere i suoi primi videoclip e, all’età di 52 anni, esordire anche come documentarista e autrice di podcast.
Madre di due figli, l’artista ha ora deciso di dar vita al primo progetto cinematografico interamente realizzato da lei e incentrato sulla maternità. Prodotto da Briciolafilm in associazione con The Box Films e Trebisonda Produzioni, il cortometraggio Il Presente è stato selezionato per la 22ª edizione di Alice nella Città, nella sezione Onde Corte – Panorama Italia Fuori Concorso, e presentato il 18 ottobre.
Massimiliano Caiazzo, Barbara Chichiarelli, Iaia Forte e Alberto Malanchino sono i protagonisti del corto che vanta, inoltre, le musiche originali di Pino Pecorelli e Valerio Piccolo, il quale collabora da anni con l’autrice per la regia dei videoclip delle sue canzoni.

Francesca Zanni cinematographe.it

Ad anticipare l’intervista, ecco la dichiarazione rilasciata da Francesca Zanni in merito alla recentissima legge che vieta ai cittadini italiani la GPA (Gestazione Per Altri) – grazie alla quale una donna ha la possibilità di portare avanti una gravidanza per conto di un’altra coppia – non più solamente in Italia, com’era in vigore dal 2004, ma anche all’estero.
“Le parole sono importanti e bisogna usarle bene (diceva Raymond Carver) e questa parola – universale – ha il sapore di un giudizio divino e di maledizioni bibliche. La ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, esulta per “la battaglia di civiltà che ci pone all’avanguardia fra le nazioni sul fronte dei diritti”, ma io come cittadina italiana, come donna, come essere umano, non mi sento affatto all’avanguardia e non mi sento rappresentata da uno Stato che limita e sanziona una libertà di scelta. Il cinema racconta il presente, molto spesso lo anticipa, a volte è un mezzo per leggere meglio una realtà che è già sotto i nostri occhi. Con il cortometraggio ‘Il Presente’ ho scelto di raccontare il presente che stiamo vivendo, senza giudizio e senza falsi moralismi, raccontando una maternità surrogata ma anche molto altro: la famiglia, l’egoismo, l’amore e soprattutto gli esseri umani. Perché gli esseri umani sono più avanti delle leggi.

Il Presente di Francesca Zanni

Il Presente cinematographe.it

Partiamo da te: com’è nata la tua passione per il cinema? Come si è poi sviluppato il tuo percorso fino a Il Presente?
“Parto col dire che questo mio debutto alla regia qualcuno lo definirebbe un po’ tardivo ma io penso che, avendo fatto molte cose all’interno del mondo dello spettacolo – dal musical alla stand up, dal teatro alla radio, dai videoclip alle sceneggiature – questo fosse solamente il tassello mancante. Le storie sono, da sempre, la mia grandissima passione e già alle elementari scrivevo temi che potevano sembrare sceneggiature; non avevo idea di come si scrivessero, ma andavo spesso al cinema e vedevo moltissimi film. Penso che ogni storia abbia un suo mezzo per essere raccontata e questa, in particolare, sembrava essere perfetta per il cinema. Mi sono quindi cimentata con il cortometraggio e mi auguro di poterne fare anche un lungo in futuro, perché è un’opera ricca di tematiche e contenuti che possono essere sviscerati. Essendo una materia molto densa, infatti, assieme al mio co-sceneggiatore Armando Maria Trotta abbiamo limato ogni battuta, ogni passaggio, perché altrimenti avremmo rischiato o di tralasciare alcune cose o di trattarle in maniera superficiale”.

Come hai deciso di sviluppare proprio questa storia? Che urgenza avevi da comunicare?
“Io in realtà sto girando attorno a questo argomento della maternità da parecchi anni: gli ultimi due spettacoli teatrali che ho fatto sono ‘Tutti i miei cari’, sulla figura della vincitrice del Pulitzer nel 1967, Anne Sexton, la quale non riusciva a conciliare il suo essere artista con il suo essere madre, e ‘Cinque donne del Sud’, spettacolo che da fine ‘800 arriva sino ai giorni nostri, passando di madre in figlia. A stimolarmi molto nella sceneggiatura sono poi state le notizie di tutte queste gravidanze tecnologicamente assistite e di donne che le portano avanti anche a 60 anni e oltre. Ho iniziato a chiedermi se ciò che è scientificamente possibile sia anche sempre eticamente giusto e perciò, senza dare alcun un giudizio, ho deciso di realizzare questo progetto e di raccontare questa storia, alleggerendola un po’ e realizzando quella che io definirei non una commedia ma un dramedy; inizialmente l’avevo pensata come commedia grottesca ma poi ho pensato che i toni dovessero essere abbassati perché sono argomenti che toccano la sensibilità di molti”.

Il Presente Caiazzo Zanni cinematographe.it

Nel film, ad un certo punto, viene detto “Un figlio si fa sempre per egoismo”. Pensi che sia davvero così?
“Io penso che, anche se non ce lo raccontiamo, la prima spinta sia proprio egoistica, quella voglia di trasmettere e vedere i propri geni in qualcun altro, qualcuno che viene al mondo attraverso di noi. Secondo me l’istinto materno non esiste, non arriva in automatico ma si costruisce con il tempo e, certe volte, è anche molto faticoso, soprattutto adesso che alle donne viene chiesto di fare figli, perché ce n’è sempre meno e, contemporaneamente, di realizzarsi, di essere emancipate, di costruirsi una propria carriera. A volte bisogna essere coraggiosi e fare figli come e quando lo si vuole”.

Nel film viene data per scontata una famiglia che è molto lontana dal concetto di tradizionale. Quant’era cruciale questo aspetto? Qual è il tuo pensiero in merito al concetto stesso di ‘tradizionale’?
“Più che tradizionale, io la definirei ‘famiglia naturale’ perché quella tradizionale ormai non esiste più. Mi sono chiesta se questo tipo di famiglia sia l’unica vera garante della felicità dei figli perché io, per esempio, sono cresciuta in una tutt’altro che tradizionale, con genitori separati e risposati, fratelli e fratellastri, e quindi questo concetto non lo sento mio, non ce l’ho. Quand’ero piccola guardavo agli altri con molta invidia per questa ragione ma poi mi sono ricreduta e ho capito che spesso sono proprio le famiglie tradizionali quelle in cui si fanno i danni peggiori. Tra l’altro, se ci si pensa bene, in quella che era la famiglia tradizionale degli inizi del ‘900 i figli venivano cresciuti dai nonni, dagli zii e dagli amici, oltre che dai genitori, poi l’industrializzazione ha voluto isolare il nucleo familiare in città, lontano dal resto della famiglia, ma quello che sta succedendo adesso, con queste famiglie allargate, io lo vedo come un ritorno alla tradizione”.

È molto interessante la veste teatrale del corto, che sicuramente deriva, in parte, dal tuo percorso. Quali sono stati i riferimenti? A cosa e a chi ti sei ispirata?
“Quando ho scritto la sceneggiatura, ho un po’ biecamente pensato anche alla produzione, convinta che con una sola location, con un’unità di tempo e di luogo, sarebbe stato più facile. Poi ho letto alcuni libri tecnici di regia e sceneggiatura e ho scoperto che i film girati in un solo luogo sono i più difficili da girare.
Come riferimento ci sono ‘Carnage’ di Polanski, che è tratto dallo spettacolo teatrale ‘Il dio della carneficina’, e ‘Le Prénom’, di cui è stato fatto anche il remake italiano ‘Il nome del figlio’ e poi ovviamente il mio lavoro di regista teatrale mi ha aiutato molto, soprattutto nella direzione degli attori”.

Hai avuto la fortuna di lavorare con un ottimo cast. Come ti sei trovata con loro?
“Innanzitutto devo ringraziare moltissimo Briciolafilm e, nello specifico, il produttore Nicola Prosatore perché ha esaudito ogni mio desiderio nonostante non fosse affatto facile riuscire ad incastrare tutti. Dopo la lettura della sceneggiatura, ognuno di loro mi è sembrato molto interessato a raccontare questa storia e, nonostante i loro moltissimi impegni, c’è stata una completa e immediata adesione da parte di tutti. Mi sono trovata benissimo a lavorare con loro, hanno una formazione molto solida; Massimiliano, per esempio, è un ragazzo scrupolosissimo e ogni volta che lo chiamo sta studiando qualcosa, Alberto, che ha un viso molto televisivo, l’ho visto a teatro e ho scoperto che è un mostro di bravura, così come Barbara; Iaia invece, che conosciamo già tutti, si è messa in gioco prendendosi anche molto in giro in questa parte della diva dimenticata che vuole tornare“.

Tra il presente dei cortometraggi e il futuro della carriera

Iaia Forte cinematographe.it

Cosa pensi del cortometraggio come forma di narrazione? Credi che meriti la stessa dignità e le stesse attenzioni che si dedicano ai lungometraggi e alle serie?
“Assolutamente sì. Ogni storia ha il suo medium, ha il suo mezzo per essere raccontata e, secondo me, con il cortometraggio si possono riuscire a raccontare storie brevi che in lungo risulterebbero troppo colorite, come succede nel confronto tra racconto e romanzo. È un peccato che la circuitazione dei cortometraggi sia solamente festivaliera; adesso, per esempio, la Rai ha lanciato l’iniziativa ‘In corto d’opera’ ma è ancora quasi impossibile vedere un corto al cinema”.

Cos’hai in serbo per il futuro? Hai già altri progetti tra le mani?
“In serbo per il futuro ho un soggetto per un lungometraggio, diverso da ‘Il Presente’ ma comunque legato alla maternità, che ho appena finito di scrivere e ho iniziato a portare in giro, e un altro soggetto, questo di commedia, che è stato opzionato da una produzione e che, però, non ha ancora trovato una sua casa; continuo poi a lavorare con il teatro e ho lo spettacolo di cui parlavo prima, ‘Cinque donne del Sud’, che nel 2025 girerà un po’, e a fare le regie dei videoclip di Valerio Piccolo”.

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