Buffalo Kids: recensione del film di Pedro Solís e Juan Galocha
La recensione del western d’animazione di Pedro Solís e Juan Galocha. Il western a misura di bambino, non è mai stato così ingenuo, buonista e dimenticabile. In sala dal 31 ottobre
Nell’annata probabilmente meno fortunata per il cinema d’animazione, fatta eccezione per il glorioso e sensazionale ritorno in sala di Coraline e la porta magica di Henry Selik, dimostrazione ineccepibile e senza tempo di un’animazione capace di dialogare tanto con il pubblico dell’infanzia, quanto con quello adulto, arriva in sala Buffalo Kids, diretto dai due autori spagnoli Pedro Solís e Juan Galocha. Si torna indietro di diversi anni e mutamenti, poiché l’idea qui non è più quella di voler – e saper – raccontare una storia universale ad un pubblico il più ampio possibile, al contrario, legarsi testardamente ad un unico target, che coincide in questo caso con il riferimento PG-12, allontanandosi fin da subito da qualsiasi altra sensibilità e indicazione stilistico/narrativa.
Il selvaggio west a misura di bambino
Come il miglior cinema western insegna, tutto ha a che fare con la famiglia. Ecco perché Mary e Tom finiscono nel selvaggio west, ma prima a New York. Lì dove uno zio, mai visto, né sentito in precedenza, sembrerebbe volersi far carico dei due bambini. Eppure tra i pericoli soltanto apparenti, o altrimenti concreti della Grande Mela che fu, Mary e Tom proprio non riescono a trovarlo. È scomparso? Esiste davvero questo zio, o è soltanto una bieca illusione? Non ci sono verità, soltanto ipotesi, molte delle quali svaniscono nel nulla – certamente le più interessanti, mature e cupe -, in favore di un buonismo infantile e assoluto, che coincide con l’incontro evidentemente didascalico, tra i due orfani e lo sfortunato eppure coraggioso Nick.
Non conta infatti che quest’ultimo debba vivere la vita su di una fastidiosa sedia a rotelle, poiché la grande avventura deve ancora avere inizio. Da qui, una paradossale e grottesca serie di eventi – laddove il grottesco resta involontario, alternandosi al tragico -, generata dalla improvvisa e va detto, perfino inspiegabile volontà dei due orfani di raggiungere il selvaggio west, in compagnia dello stesso Nick, che al contrario degli orfani non è soltanto limitato, in termini di movimento e partecipazione emotiva, ma di fatto anche estraneo alla faccenda. Una scorribanda dagli intenti inspiegabili dunque, rispetto alla quale lo zio scomparso, appare fin troppo a lungo come una scarsamente interessante ragione di fondo. O altrimenti una motivazione sottile, per un racconto che tutto vuol dimostrare, fuorché l’importanza della famiglia ritrovata e dell’amore universale.
Ecco perché nulla più sorprende, guardando al selvaggio west dell’infanzia – e per l’infanzia – proposto dal duo Solís/Galocha. Non vi è mai crudeltà, mai spietatezza, nemmeno apparente e inevitabilmente funzionale per un pathos che dovremmo avvertire e che in qualche modo svanisce, scorrendoci però e in più di un momento davanti agli occhi, come ad indicarci: è il momento di provare panico! Inutile sottolineare quanto di fatto non avvenga mai. Tanto rispetto alla sensibilità adulta, quanto a quella dell’infanzia. Eppure torniamo a Rango e ad una lezione di grande cinema d’animazione da pubblico generalista, che se osservata doverosamente, sarebbe stata capace senza alcun dubbio, di muovere gli ingranaggi farraginosi e sorprendentemente antichi, propri della narrazione western di Solís e Galocha in prossimità di un successo. Poiché nulla sembra mancare mai a Buffalo Kids e al tempo stesso tutto.
Buffalo Kids: Valutazione e conclusione
La CGI infatti restituisce un’esperienza efficace e per ciò che intende ottenere, perfino spettacolare e immersiva. Se qualcosa funziona senza riserva alcuna, è bene sottolinearlo, lo si rintraccia proprio nell’impianto visivo, tralasciando come detto quello narrativo. Così come la chiarezza d’intenti. Poiché Buffalo Kids altro non desidera essere, se non uno spudorato e ingenuo esempio di cinema commerciale d’animazione sul tema delle minoranze – in questo caso etniche, basti pensare alla gioiosa e pacifica rappresentazione dei nativi americani – e della diversità, ancora una volta Nick, ancora una volta la disabilità fieramente mostrata, ma mai opportunamente approfondita in termini di indagine sull’emozione e così consapevolezza di sé e degli altri.
Ciò che manca, al di là della lodevole capacità di non operare sottotraccia ciascuna di queste tematiche, tanto rispetto alla palette cromatica – il lungometraggio di Solís e Galocha intende dimenticare l’esistenza della notte e dell’oscurità -, quanto di scrittura, è proprio quell’anima cinematografica di grande sincerità e armonia riuscita, che al termine dei titoli di coda anziché abbracciare e confortare lo spettatore, sembra probabilmente latitare. Anzi, è proprio così.
Buffalo Kids è in sala dal 31 ottobre 2024, distribuzione a cura di Warner Bros. Italia.