Cross: recensione della serie TV Prime Video
Basata sul personaggio creato da James Patterson, Cross arriva su Prime Video il 14 novembre 2024 con gli otto episodi della prima stagione. Thriller con l'ambizione di allargare lo sguardo, tra serial killer e un detective fuori del comune.
Una volta un thriller così, cupo, violento e a tu per tu con l’abisso, era di casa al cinema. Fino ai tardi anni ’90 il sottogenere detective-insegue-pericoloso-serial-killer calamita incassi, mobilita l’attenzione della cultura pop e occupa in maniera importante il panorama. Poi le cose cambiano. Non è l’unico genere coinvolto nel trasloco dal grande al piccolo schermo – vale anche, in misura minore ma ugualmente importante, per la commedia romantica – ma è indiscutibile che il thriller vecchia scuola, la detective story, ormai sia una prerogativa dello streaming. Cross, serie in otto episodi sviluppata da Ben Watkins, è disponibile su Prime Video il 14 novembre 2024; è la prima stagione, arriverà anche la seconda. Basata sul personaggio creato dal romanziere americano James Patterson, protagonista Aldis Hodge insieme a Isaiah Mustafa, Juanita Jennings, Alona Tal, Samantha Walkes, Caleb Elijah, Melody Hurd, Jennifer Wigmore, Eloise Mumford e Ryan Eggold. I tempi dilatati della serialità garantiscono un’attenzione al dettaglio (narrativo, figurativo, psicologico) che lega bene, forse meglio del cinema, con la densità strutturale e tematica del romanzo. D’altronde, Alex Cross non è un uno tra i tanti; psicologo forense e detective. La complessità della sua mente, del suo lavoro, della sua vita, meritavano il giusto spazio e tempo a sufficienza.
Cross: lavoro e privato, passato e presente di un poliziotto davvero speciale
Volendo riassumere la situazione in poche ma ponderate parole, anche perché decenni di storie sulla falsariga di Cross ci hanno insegnato a tracciarne l’identikit: Alex Cross (Aldis Hodge) è il tipico poliziotto seriale americano, il detective tormentato. Ha ragione di esserlo, perché la sua vita non è stata semplice. Cross costruisce i principali snodi narrativi della prima stagione sull’interferenza esercitata dal passato e dal privato del protagonista sul suo lavoro. Mai, neanche per un momento, è possibile separarne l’intimità dalla professione. Da qui parte la serie per costruire un procedurale poliziesco sui generis, interessato all’azione, all’indagine, all’esteriorità del mistero – una serie di omicidi a sfondo rituale, l’ombra del serial killer – ma anche all’analisi dei moventi psicologici e, perché no, a una riflessione a più ampio raggio su storture e conflittualità latenti nella società americana contemporanea.
Il dolore che Alex Cross, agente e psicologo forense della polizia di Washington D.C., si trascina dietro come una colpa da espiare, è una cicatrice ancora fresca. Ha due figli (Caleb Elijah e Melody Hurd) e dovrebbe crescerli da solo, non fosse che per l’aiuto provvidenziale della nonna/madre Regina (Juanita Jennings). Ha un interesse amoroso, Elle (Samatha Walkes), con cui ha paura a lasciarsi andare. Ha un partner sul lavoro che è molto più di questo, quasi un fratello, John (Isaiah Mustafa), ma non sempre vanno d’accordo. Ha il suo lavoro. Sa entrare nella mente dei criminali in un modo così sconcertante che tutti lo considerano il miglior detective d’America. Insegue un serial killer soprannominato Fanboy, che uccide ispirandosi all’opera di famosi assassini della storia americana del XX secolo.
La vittima da salvare si chiama Shannon (Eloise Mumford) e il principale indiziato è un milionario dal fumoso passato e dall’enigmatica personalità, Ramsey (Ryan Eggold). Questa è la vita del protagonista e Cross ha l’ambizione, almeno sulla carta, di esplorarla da ogni angolazione: padre affettuoso, uomo ferito, empatico ma non sempre capace di tenere a freno la sua rabbia, poliziotto afroamericano emarginato dai neri e dai bianchi, psicologicamente a pezzi senza la voglia e il coraggio di farsi aiutare. Il suo passato entra prepotentemente nelle indagini: non si tratta più di fare giustizia. Ora deve lottare per sé e per chi gli sta intorno
Thriller, ma non solo thriller
Cross, oggi, è materia per lo streaming. Ieri l’avremmo visto al cinema e il cambiamento dipende anche dal fatto che un pubblico di riferimento (maschi, ma non è una maggioranza schiacciante, tra i 35 e i 65 anni) per questo tipo di storie, in sala, non c’è più o quasi. Lo streaming, la piattaforma seriale, offrono tempi più lunghi, maggiore flessibilità nella fruizione e, in teoria, la possibilità di allargare lo sguardo, abbinando alla narrazione thriller un approfondimento psicologico – e non solo – in grado di pareggiare lo spessore e la ricchezza di dettagli della fonte romanzesca. Nella visione di Ben Watkins, infatti, Cross è il tentativo di superare il thriller puro in favore di una caratterizzazione psicologica molto precisa del suo protagonista e di un’analisi, veloce ma non superficiale, del contesto sociale.
Il passato di Alex Cross, la sua salute mentale traballante, i guai in famiglia e la forza tenace dei suoi sentimenti muovono letteralmente la storia verso l’epilogo al cardiopalma. Non esiste, si è detto, una cesura netta tra pubblico e privato. Non solo perché tutto quello che capita al protagonista in ambito professionale ha un diretto legame con il retroterra familiare (la famiglia è una cosa molto importante, nell’architettura della storia), ma anche nel senso che la vita del personaggio – interpretato con indiscusso carisma fisico e una fragilità emotiva importante dal bravo Aldis Hodge – è l’incarnazione di tensioni sociali e razziali tenacemente radicate nella pelle dell’America di oggi. Non c’è dubbio che la seconda presidenza Trump contribuirà a esasperarle, confermando l’attualità e la lucidità del discorso messo in piedi dalla serie.
Cross è un’esplorazione tesa e vibrante delle zone buie dell’anima, ma è anche una riflessione su salute mentale, legami familiari e le contraddizioni legate all’esperienza afroamericana, a cominciare dall’endemica, persistente, police brutality. Alex Cross è un poliziotto e un afroamericano, contemporanemente vittima potenziale dell’ingiustizia e rappresentante di un’istituzione percepita come opprimente e repressiva; risolvere questa contraddizione è uno step fondamentale nell’evoluzione psicologica del personaggio. Il mantra, per Cross, è allargare lo sguardo oltre il perimetro di genere; ci riesce, finendo per minarne un po’ l’efficacia. Oltre la convicente e non spoilerabile sottotrama, il duello serratissimo tra Ryan Eggold e Elosise Mumford, il connubio realismo/caccia al serial killer non va del tutto a giovamento del thriller puro, più sbilanciato e caotico del necessario.
Cross: valutazione e conclusione
Thriller, psicologia e sociale. O, se preferite, sangue, oscurità, sentimenti e brutale realismo. La formula di Cross è serialità di genere cercando di superarne le convenzioni, per arrivare a qualcosa di più denso, spettacolare e attuale. Funziona, paradossalmente, meglio la novità della consuetudine. Il detective con un’anima – e un privato tormentato – interpretato da Aldis Hodge riesce a elevare la sua emotività e la sua straordinaria intelligenza oltre lo stereotipo, abusato e frustrante, del poliziotto con problemi. Il thriller puro, la caccia serrata, il gioco del gatto e del topo tra detective e serial killer, appaiono imprecisi e impattano meno del dovuto, nonostante la forte carica del finale. L’idea di fondo, la visione di Ben Watkins, è comunque apprezzabile: complicare (positivamente) il thriller, senza rinnegarne le convenzioni. Il fatto che sia in arrivo una seconda stagione ha decisamente senso; c’è bisogno di un po’ di tempo ancora, per calibrare storia e personaggi.