Giurato Numero 2: recensione del film di Clint Eastwood
In perfetta continuità con il suo cinema ultimo, Eastwood prosegue l’indagine sul mancato o altrimenti pieno assolvimento delle colpe e così sullo sguardo e il significato profondo della moralità e la redenzione degli uomini. Ha il respiro del cinema classico, essenziale e memorabile. Con un grande Nicholas Hoult. In sala dal 14 novembre
Ancor prima di soffermarsi sui corpi, il cinema di Clint Eastwood, da sempre indaga gli sguardi. Ci ricordiamo il finale di Mystic River? Riconoscersi colpevoli (e complici) in mezzo alla folla, consapevoli del fatto che la vita proseguirà, nonostante le colpe, nonostante i sospetti? In caso contrario, a distanza di ventuno anni Eastwood, ancor più lucido, ancor più spietato, replica il medesimo discorso. Forse perché consapevole d’essere ormai al giro di boa, che non prevede in questo caso un’ultima cavalcata sul viale del tramonto, piuttosto un lungo processo all’interno di un’aula di tribunale, nella quale siedono, guardandosi in volto, colpevoli, innocenti e complici.
Giurato Numero 2, scritto da Jonathan Abrams, in perfetta continuità con l’instancabile indagine e riflessione sul significato profondo della moralità, iniziata nel ’90 con Cacciatore bianco, cuore nero e proseguita fino ad oggi con questo film, sceglie infatti di non lasciar più nulla in sospeso. Eastwood, stringe il cerchio attorno alla questione della colpa, dimostrandoci che laddove la giustizia non può farsene carico, lo sguardo invece può andare fino in fondo. È affidato al finale, ancora una volta. Ecco perché torna Mystic River. Questa volta però non c’è più la confusione della folla, piuttosto un incontro solitario, silenzioso e definitivo.
I volti fanno la differenza. I giurati e le loro verità. Il cambiamento è possibile?
Seppur limitato in fatto di scenari, Eastwood, facendo affidamento sullo script, firmato con merito da Jonathan Abrams, mantiene quella grande capacità, mai realmente perduta, nonostante gli anni e l’anzianità, di rompere le pareti e sconfinare, oltre ciò che ci è dato osservare, grazie alla forza del dialogo e dei volti. Tra primi e primissimi piani, agli interpreti, ancor più direttamente, al grande volto principale di Giurato Numero 2, quello di Nicholas Hoult, viene richiesto questa volta di non nascondere più niente, facendosi carico fino in fondo, del logorio fisico e morale, dunque sepolto nell’anima, derivato dal peso della colpa.
Ecco perché i giurati, sconosciuti tra loro e costretti a coesistere in un ambiente ristretto e silenzioso, giungono ben presto a scordare la ragione effettiva della loro presenza lì. Non è più centrale la presunta colpevolezza di James Sythe (Gabriel Basso), accusato d’aver ucciso la giovane fidanzata Kendall Carter (Francesca Eastwood) in una notte di temporale. Piuttosto lo diventa, l’osservazione diretta e reciproca tra i volti dei presenti, il cui passato in diversi casi, cela la colpa, la violenza e un male che si è riusciti a tenere a bada e a cancellare per sempre. Le parole, suggerisce Eastwood, soprattutto se taciute, possono impedire il riconoscimento della colpevolezza. Gli sguardi invece e così i volti, non possono farlo mai, mostrandola fino in fondo, proprio per ciò che è. Una macchia dura a morire, che nemmeno il silenzio può lavar via.
Giurato Numero 2: valutazione e conclusione
Torna inevitabilmente una delle tracce narrative più care ad Eastwood. Quella della redenzione, che da sempre – o quasi – muove e anima i protagonisti del suo cinema. A partire dal William Munny de Gli Spietati, fino al coriaceo, eppure dolce Walt Kowalski di Gran Torino. In questo caso però, la redenzione non appartiene a chi vorrebbe fuggire dai propri demoni, dunque al Giurato numero 2, interpretato da Hoult, bensì a chi sempre messo al primo posto la carriera, a scapito della correttezza morale e della verità. Poiché non è mai troppo tardi per riconoscerla, soprattutto se non si è mai nascosta abbastanza, giungendo addirittura all’interno di un’aula tribunale, seppur celata dagli sguardi e protetta dalle colpe.
È davvero possibile cambiare?
Non è alla bilancia della giustizia, che spetta la risposta. A noi invece sì. Agli uomini e alle donne, che in quanti tali possono osservare, ascoltare e comprendere. Ecco perché l’avvocatessa dell’accusa (Toni Collette in un’ennesima grande prova) chiede alla difesa (che bravo Chris Messina!) di poter guardare ancora una volta negli occhi il presunto colpevole James Sythe. Non contano più le verità delle carte processuali, né tantomeno quelle dei dibattimenti interni alle aule di tribunale. Tutto ciò che conta, sono gli sguardi e le parole che questi celano, soprattutto in un incontro solitario, intimo e silenzioso. La verità è celata dagli sguardi. Questo grida a gran voce, il momento potenzialmente più simbolico e potente dell’intero film. Quello tra Colette, Messina e Basso, protagonisti di un interrogatorio finale, destinato a svelare una volta per tutte il dolore delle colpe. Quelli che sopravvivono in eterno e per le quali non è prevista alcuna assoluzione.
Giurato Numero 2 di Clint Eastwood è un grande film. Così come un impeccabile esempio di cinema essenziale, adulto e politico. Forse il più emotivo e sentito della carriera di Eastwood, al tempo stesso il più lucido e spietato. Una memorabile indagine sugli istinti e le colpe degli uomini, come potremmo non vederne più. Non si sfugge mai dalle proprie colpe e responsabilità, al limite ci si può nascondere, o quantomeno si può tentare di farlo. Qualcuno però ci trova sempre, chiamandoci per nome, oppure tacendo. La consapevolezza, così come la verità, resta. Da una parte e dall’altra.
Giurato Numero 2 è in sala da giovedì 14 novembre, distribuzione a cura di Warner Bros. Italia.