Ogni 72 ore: recensione della serie TV Sky
Una serie che tocca nel profondo.
In Italia, una donna viene uccisa in media ogni 72 ore. L’84% delle donne subisce molestie per strada prima dei 17 anni e una su due non si sente sicura quando esce da sola la sera. Questi numeri allarmanti celano storie di vite spezzate, di sistemi normativi che falliscono nel proteggere le vittime e di una società che fatica a riconoscere la gravità del problema. Questa è la base, il substrato, il motivo per cui e da cui nasce, parte Ogni 72 ore, serie in onda su SKY CRIME E SKY DOCUMENTARIES e in streaming su NOW, dal 25 novembre alle 22.00, a cura di Riccardo Chiattelli, scritta da Lorenzo De Alexandris, Francesca Giorgetti, Cristina Mania, Silvia Maruffi, Bianca Rondolino. La serie, composta da quattro episodi che raccontano le drammatiche storie di quattro donne che sono state uccise da uomini che hanno fatto parte della loro vita, ex fidanzati, ex mariti, uomini che volevano cancellarle perché non avevano accettato un “no” come risposta o la loro autodeterminazione. Carol Maltesi, Marianna Manduca, Sara di Pietrantonio, Jennifer Sterlecchini, sono i titoli degli episodi, nomi delle vittime di alcuni femminicidi che fanno emergere quanto ancora la società debba fare in questo senso e in questo campo per costruire una cultura veramente paritaria. Narratrice di Ogni 72 Ore è Daniela Collu che racconta, intervista, dialoga con avvocate, psicologhe, familiari delle vittime per ricordare loro, le donne, cosa che spesso la stampa dimentica; schedano il mostro, lo etichettano non rendendosi conto che è la vittima colei che dovrebbe essere portata al centro.
Ogni 72 ore: un racconto tanto drammatico quanto necessario della morte di quattro donne uccise in quanto donne
I numeri sulla violenza sulle donne dimostrano che siamo ancora di fronte ad un’emergenza: tra l’1 gennaio e il 20 ottobre 2024 sono stati registrati 89 femminicidi – di queste, 77 sono state uccise in ambito familiare o affettivo e di queste 48 hanno trovato la morte per mano del partner o dell’ex partner -, quasi 3 mila le violenze sessuali nel corso del primo semestre dell’anno, quasi 700 casi di condivisione non consensuale di video intimi, 33 mila chiamate al numero anti-violenza. Questi numeri servono a dire che non si parla mai abbastanza di questo tema, non si raccontano mai troppo questi omicidi. Ogni 72 ore è necessario.
Le donne sono sempre giudicate per come si vestono, per come vivono, per come parlano e per ciò che dicono. Sono criticate perché vogliono avere figli, perché non li vogliono avere, perché è troppo tardi, perché è troppo presto. Vengono derise perché lottano per i loro diritti e anche forse per mantenerli. Quello femminile è un corpo desiderato, “spogliato” e messo sotto una lente d’ingrandimento, troppo magro, troppo grasso, troppo bello, troppo brutto. Spesso sminuite, sessualizzate, rese carne da macello nei discorsi maschili, sui social network, nei bar, vittime di un maschio che pensa siano di sua proprietà, ancora e ancora, nonostante tutto.
La violenza psicologica rende le donne fragili, convinte di essere amate, protette da uomini che vogliono solo possederle e metterle all’angolo. Ogni 72 ore si concentra sui femminicidi di Carol Maltesi, Marianna Manduca, Sara di Pietrantonio, Jennifer Sterlecchini.
“Donne uccise da uomini, perché sono donne. Questo è il femminicidio”
Così un’analisi ISTAT definisce tale omicidio e anche in questi casi è chiaro che Maltesi, Manduca, di Pietrantonio e Sterlecchini sono morte proprio in quanto donne, protagoniste dei quattro tragici casi di cronaca trattati, rivelando non solo l’orrore del crimine ma anche come la percezione della vittima sia
spesso influenzata da pregiudizi legati all’aspetto o allo stile di vita.
Collu, con uno stile rigoroso e estrema empatia, ci accompagna nella storia di quattro femminicidi
Madri, mogli, fidanzate, umiliate, picchiate, uccise. Uomini che amano troppo, si dice ancora sulla carta stampata o nei servizi televisivi, spinti da questo e da qualcosa di irrefrenabile, ad uccidere coloro verso cui avevano un sentimento talmente forte da diventare forza motrice. Un racconto sbagliato, miope e inascoltabile perché si tratta anche di una questione di linguagigo, ma è ancora questa la narrazione che viene fatta nel momento in cui una donna viene ammazzata, è stato fatto per Carol Maltesi – femminicidio che dà il titolo al primo episodio -, 25 anni, trovata morta il 20 marzo 2022 a Borno, un comune della Val Camonica. L’autore del suo femminicidio è il vicino di casa, Davide Fontana, 43 anni, lui aveva un attaccamento morboso nei confronti della giovane e aveva cercato in ogni modo di tenerla stretta a sé. Maltesi aveva un figlio, aveva degli amici e delle amiche, una famiglia e aveva incontrato Fontana perché insieme collaboravano per realizzare contenuti erotici per una piattaforma. Questo per la stampa è il punto centrale della storia tanto che lei non è Carol Maltesi ma Charlotte Angie, il suo nome d’arte, quasi come se fosse il casus belli, Fontana era solo un uomo innamorato che per un raptus ha ucciso una donna troppo libera (anche sessualmente), troppo indipendente, e l’episodio mostra quei titoli di giornale così violenti e irrispettosi della vittima. Una vittimizzazione secondaria che purtroppo è uno dei modi in cui si continua a colpevolizzare la vittima e quindi a renderla vittima per la seconda volta e telegiornali, giornali, opinionisti, infarciti ancora di quel patriarcato per molti inesistente oggi, parlano di questa storia. La narrazione che viene fatta della vittima è influenzata invece dal patriarcato e da quel modo di pensare per cui una donna deve comunque vivere in funzione di un maschio, in questo caso la sua colpa sarebbe relativa al suo lavoro e ad una qualche “questione morale” (lei è una poco di buono in quanto sex worker e lui innamorato di una che non lo merita).
Collu, con uno stile asciutto e con un rigore che tradisce empatia, elemento che spesso manca nella narrazione, partecipazione ma sempre estremamente misurata, in un dialogo a tu per tu con professioniste che hanno lavorato ai casi, e anche ascoltando i parenti – soprattutto “sorelle” che hanno dovuto armarsi contro un mare spesso limaccioso, violento e ingiusto – ricostruisce e ci traghetta in queste tristi e drammatiche vicende che dovrebbero sempre essere le ultime ma che continuano a capitare ancora e ancora.
Ogni 72 ore: ripetiamolo sempre, qui l’amore non c’entra nulla
Il secondo episodio è quello che riguarda Marianna Manduca, uccisa dall’ex marito, Saverio Nolfo, 36 anni, bracciante, la sera del 3 ottobre del 2007. L’aggressione avviene per stretta, sei coltellate fatali. 12 denunce e un diario, ritrovate dopo la sua morte dal cugino Carmelo Calì, in cui Marianna scrive di sentire la sua morte vicina, saranno fondamentali per aiutare anche i figli della donna. Perché questo femminicidio avvenuto per mano di Saverio Nolfo aveva un complice: lo Stato.
C’è poi l’episodio dedicato a Sara Di Pietrantonio (9 dicembre), uccisa il 29 maggio 2016, dall’ex fidanzato. Viene aggredita, strangolata e bruciata da Vincenzo Paduano, in una strada nella periferia di Roma. È la storia più paradigmatica, simile in molti aspetti al caso di femminicidio più recente di Giulia Cecchettin: l’ex che non accetta la separazione e vuole impedire che l’altra possa continuare con la propria vita.
L’ultima storia è quella di Jennifer Sterlecchini (16 dicembre), quando la giovane donna decide di lasciare Davide una volta per tutte, torna a casa per riprendere i suoi effetti personali, Davide la uccide a sangue freddo con un coltello che trova in casa. Davide per anni ha esercitato una violenza psicologica nei confronti di Jennifer che poi si è trasformata in violenza fisica: all’inizio la sua aggressività era espressa in maniera più subdola, meno palese.
Ogni 72 ore mette in luce concetti che spesso ancora non sono chiari, l’amore non c’entra nulla con questi omicidi. A farla da padrone qui dalla vicenda di Montesi a quella di Sterlecchini, ultimo episodio, ci sono controllo, insicurezza, gelosia asfissiante, paura dell’abbandono e dell’umiliazione, narcisismo, elementi – terreno fertile per i femminicidi. L’assassino non accetta che una donna voglia coltivare se stessa, lo lasci e scelga un altro uomo e di esistere non in sua funzione. C’è solo una verità che emerge, fino a quando saremo immersi in questo cultura, i femminicidi continueranno ad esistere. L’autodeterminazione femminile, la voglia di libertà, il bisogno di scegliere,
Storie utili a mostrare diversi lati di questo triste e tragico fenomeno
Ogni 72 ore mostra diversi aspetti del fenomeno: la morale e il sessismo incancrenito e interiorizzato che spesso fanno ancora giudicare la vittima (Carol Maltesi è una sex worker e viene svilita per il suo mestiere), il modello di uomo abbandonato che uccide nel momento in cui la donna non è più sua (quella di Sara Di Pietrantonio è una storia purtroppo come tante, di non accettazione della fine), non basta seguire l’iter perché se non si è davvero protette dalle istituzioni, dallo stato, non c’è scampo (Jennifer Sterlecchini, che ha avuto tutte le accortezze, ma l’ex fidanzato l’ha comunque ammazzata), l’assenza dello Stato (Marianna Manduca non è stata salvata e protetta nonostante abbia denunciato 12 volte il marito poi diventato ex marito). Nella testa di chi guarda, prima sottile e poi sempre più forte, si forma un pensiero che diventa martellante: sarebbe potuto capitare anche a me, ed è drammatico.
Le battaglie sono portate avanti dalle famiglie delle vittime. Sono loro che fanno rumore, che raccolgono firme, che vanno nelle scuole a parlare dei rischi. Nel caso di Jennifer, sono stati la madre e il fratello – uno dei pochi uomini presenti nella serie – a raccogliere le migliaia di firme contro la possibilità di chiedere il rito abbreviato per chi commette reati come il femminicidio ed è la mamma di Sara Di Pietrantonio che usa i suoi giorni di ferie per andare a fare sensibilizzazione nelle scuole. Queste persone sono abbandonate. Un’altra domanda si fa sempre più martellante: dove sono gli uomini? Riguarda loro, eppure ci sono pochi uomini in questa storia, lo dice la stessa Collu. Non può essere una questione solo femminile, deve essere una questione sociale e per questo serve la partecipazione maschile.
Ogni 72 ore: valutazione e conclusione
Ogni 72 ore è una serie che tocca nel profondo, che commuove perché il pericolo che hanno sentito queste donne l’abbiamo sentito noi almeno una volta o l’ha sentito qualcuna vicino a noi, almeno una volta. Fa ricordare, pensare e riflettere, fa emerge nodi importanti su cui bisogna lavorare.
Ci sono racconti che esplodono dentro e fuori di noi per la regia, per la scrittura, per la musica e poi ci sono narrazioni che prorompono e esondano in quanto tali per la loro forza centrifuga e centripeta e questo è il caso.
Esiste purtroppo la storia secondo cui una donna se dovesse scegliere se trovarsi di fronte ad un orso o ad un uomo preferirebbe un orso, ed è evidente il perché guardando questa serie, dolorosa e diretta proprio per la sua semplicità. Interviste, racconti, dialoghi tra le vittime e gli assassini, video reali in cui si sentono le parole del femminicida, portano a galla narcisismo patologico, anaffettività patologica, il comportamento controllante, limitante e intimidatorio e serie come queste sono utili, necessarie e fanno il cosiddetto servizio pubblico perché ricordando queste donne gettano consapevolezza per le altre. Questo dovremmo ricordarci, sempre e non solo il 25 novembre, che i femminicidi sono problema dell’uomo, tutti, a maggior ragione di quelli che tengono tanto a ripetere e precisare come un mantra che non tutti gli uomini sono così.