Joy: recensione del film Netflix
La recensione di Joy, il film Netflix per la regia di Ben Taylor disponibile sulla piattaforma streaming dal 22 novembre 2024.
Ci sono film importanti e necessari che narrano storie altrettanto importanti e necessarie. Questo è il caso di Joy, film diretto da Ben Taylor e scritto dallo sceneggiatore Jack Thorne, che arriva su Netflix il 22 novembre 2024. Il nome di Louise Joy Brown non dice granché, eppure, la sua nascita avvenuta il 25 Luglio del 1978 a Oldham, Inghilterra, si potrebbe accostare a una delle scoperte scientifiche più importanti del Novecento. Lei è stata la prima al mondo ad essere concepita tramite fecondazione in provetta grazie a un gruppo di scienziati caparbi che hanno creduto nel progresso a qualsiasi costo. Non si tratta solo della storia ma anche del racconto dei pionieri che hanno regalato al mondo nuove possibilità di vita, pagando un alto prezzo personale e morale.
Joy: una storia importante che deve essere raccontata
Cambridge, 1968. La giovane e caparbia infermiera embriologa Jean Purdy (Thomasin McKenzie) si presenta al dipartimento del biologo Robert Edwards (James Norton) per partecipare come responsabile di laboratorio a importanti studi sperimentali sulla cura dell’infertilità dei mammiferi. L’incontro con il gruppo di lavoro e con Edwards va nel migliore dei modi. Jean è una ragazza sveglia, appassionata della materia. Parte da qui Joy, un film classico che ha come primo intento quello di far conoscere una storia, di portare alla luce il lavoro intenso, lo studio lungo e incessante che c’è stato dietro ad una delle scoperte più importanti del novecento. Si costruisce intorno ai tre personaggi che hanno aperto la strada alla fecondazione in vitro e che hanno portato alla nascita della prima bambina da un ovulo fecondato in laboratorio.
Edwards è convinto di poter aiutare chi non può a concepire naturalmente. Di fronte ai suoi esperimenti, la comunità scientifica locale dimostra forti perplessità e ignora i promettenti risultati del ginecologo più anziano Patrick Steptoe (Bill Nighy). Nel suo ospedale di Oldham, forte dei suoi studi laparoscopici, tenta nuovi metodi per guarire le donne affette da anomalie agli apparati riproduttivi, impossibilitate a mettere al mondo dei figli. I due uniscono i loro risultati e mettono insieme un gruppo di volontari, coppie sterili desiderose di avere un bambino e, utilizzando gli ovuli e il liquido seminale, tentano in laboratorio la nuova tecnica della fecondazione extrauterina. Jean, che è una cattolica osservante, frequenta la chiesa locale e vive con la religiosissima madre (Joanna Scanlan), è felice di poter aiutare le donne in difficoltà ma inevitabilmente in lei si scontreranno la dedizione al lavoro e i suoi principi morali.
Diventa fondamentale quindi il ruolo di Jean che forse è una di quelle che perderà di più lungo questo intenso, doloroso e avventuroso viaggio.
Jean e le altre..
Diventa molto interessante che filtro della storia sia Jean, donna come le donne che si donano alla scienza per loro stesse o per le altre che hanno un sogno, diventare madri, figlia di una che la rinnega, e soffre due volte per il rifiuto della madre e quello della sua Chiesa. Jean ha dubbi, a volte mette ogni cosa in discussione – quando scopre che in clinica si praticano anche aborti, vacilla proprio in nome del suo credo. Si scopre che anche lei, a causa di una brutta forma di endometriosi, non può concepire e, dunque, si capisce il motivo per cui si voti a questa causa/missione perché comprende bene il dispiacere per chi vuole un figlio ma non può averne. Lei rappresenta tutte quelle donne che lavorano più degli altri per essere apprezzata, non è mai facile per le donne, ancor meno in mondi che sono prettamente maschile.
Con molto equilibrio e rigore, Joy si concentra sulla storia, mettendo da parte qualsiasi patetismo e cercando di dosare quel macigno doloroso che per chi vuole avere un figlio, l’infertilità è, e sceglie proprio per questo uno sguardo quasi chirurgico sulla storia. Lo stile è asciutto ed emotivamente sobrio, l’opera si appoggia sui suoi protagonisti, interpreti perfetti ciascuno di un sistema di sentimenti, emozioni diversi. I tre protagonisti lottano internamente con loro stessi tra ciò che è giusto fare e ciò che è giusto credere. Un dilemma etico che merita maggior approfondimento. Edwards e Steptoe non arretrano mai di fronte all’atteggiamento supponente, superiore da parte dei colleghi e della comunità scientifica che definiscono loro padri di Frankenstein. Per i due medici è doloroso anche non riuscire a spiegare ai diffidenti quale sia la portata della loro scoperta. La questione legata a Jean è ancora più complessa: comprende perfettamente lo strazio di quelle donne – ci sono momenti di dialogo molto profondi tra lei e le altre in cui emerge tutta l’umanità, i desideri, le speranze non solo di chi si dona alla scienza ma anche di chi lavora per la scienze -, vive con loro, e dall’altra parte è anche una “religiosa” che vive in funzione di quei principi (viene definita peccatrice) e che vive e lavora tormentata da essi.
Joy: conclusione e valutazione
Joy è una storia che colpisce per la sensibilità e l’asciuttezza con cui tratta un argomento delicato e urgente. Il film unisce lavoro e vita privata, fatica e problemi che riguardano il personale dei protagonisti, dosando bene i campi fino alla vittoria finale, ovvero la nascita della prima bambina. Al centro di tutto c’è Jean che tiene tutto insieme, intorno e su di lei ruotano i vari piani. Joy è un’opera semplice, non ci sono voli pindarici, ma è necessaria perché porta sullo schermo un viaggio importante e intenso.