Waltzing with Brando: recensione del film di Bill Fishman, dal 42TFF

Billy Zane gioca a fare Brando, Fishman glielo permette, mettendolo a nudo, per poi farsi beffe della vita, del cinema e forse perfino di noi spettatori. Presentato in anteprima mondiale al 42TFF

Difficilmente ci saremmo potuti immaginare che un giorno, qualcuno armato di macchina da presa e spalleggiato da un interprete ormai dimenticato (è successo perfino a Brendan Fraser, dunque è lecito affermarlo), si sarebbe fatto carico del biopic più strampalato, ingenuo e curioso di sempre sull’uomo e poi celebrità Marlon Brando. Eppure è successo. Bill Fishman, dopo aver diretto Tapeheads e buona parte dei videoclip musicali dei Ramones, è tornato con Waltzing with Brando, una (auto)produzione firmata Billy Zane e Filmin’Tahiti. Come abbia fatto a divenire tale e raggiungere così moltissimi circuiti festivalieri, resta un mistero. Vale la pena approfondirlo? Probabilmente no. Il medesimo discorso non vale per ciò che il film di fatto è.

Ripescare nelle memorie di – e su – Marlon Brando. Il giullare dell’isola, il volto cinema

Waltzing with Brando: recensione del film di Bill Fishman 42TFF

Quello che certamente va detto, è che Waltzing with Brando non è ufficialmente un biopic su vita, carriera e sregolatezze del divo maledetto di Fronte del porto, Il padrino e Apocalypse Now, capace di segnare generazioni di interpreti hollywoodiani e non solo, per tenacia e meticoloso lavoro d’attore, piuttosto un biopic a metà. A spartirsi infatti minutaggio in scena e peso narrativo, oltreché interpretativo – anche se Zane il film se lo è costruito su di sé – sono Billy Zane nei panni imbolsiti eppure seducenti di Marlon Brando e Jon Heder, che veste invece quelli ben più “ordinari” – sarà proprio Brando a definirli tali – del celebre architetto statunitense Bernard Judge. A cavallo tra il 1969 e il 1974, un’improvvisa amicizia coinvolge i due uomini. L’obiettivo comune è quello di realizzare un resort o rifugio esclusivo, che dir si voglia, per intellettuali di tutto il mondo, nell’isola più remota dell’arcipelago della Polinesia, Tetiaroa.

Al di là di ogni effettivo interesse rispetto a ciò che il film in definitiva è, raramente i biopic sulle celebrità cinematografiche si sono interrogati su ciò che il cinema non mostra, accantonandolo una volta per tutte, così da allargare e poi restringere lo sguardo sempre più, su quei capitoli di vita incredibilmente dimenticati, eppure curiosi, o addirittura chiavi di un intero percorso dentro e fuori lo schermo. Bill Fishman e Billy Zane hanno fatto proprio questo. Come raccontare al meglio l’uomo e poi il divo Brando, se non attraverso l’impresa più folle, coraggiosa e per certi versi perfino esilarante della sua vita? Scavando nella memoria, o meglio, nelle memorie.

Waltzing with Brando è infatti l’adattamento cinematografico dell’omonimo testo di Bernard Judge, cui Brando inevitabilmente cambia la vita per sempre, dopo averlo reclutato per la dissennata avventura di Tetiaroa. Avventura che se Judge non avesse documentato per filo e per segno, oggi ognuno di noi avrebbe dimenticato. Il film di Fishman con fare bislacco la interroga instancabilmente, facendo lo stesso con il divo Brando, mai così sarcastico, loquace e spassoso. Dunque, nonostante moltissimo cinema documentaristico recente, si sia incaricato di raccontare e mostrare Marlon Brando come interprete crepuscolare, ombroso e raramente dedito allo svago e alla parola, Zane e Fishman ci si divertono un mondo, ribaltandone ogni logica e aspettativa e consegnandoci così un Marlon Brando sorprendentemente farsesco, fumettistico e dalle moltissime maschere, poiché di volto ne resta sempre e soltanto uno, il suo.

Waltzing with Brando: valutazione e conclusione

Seppur contagioso in termini di intrattenimento spassoso e spensierato, poiché il film di Fishman è soltanto questo che osserva e insegue, ossia lo spasso e lo svago libertino e seducente del dolce far nulla, ridendo della vita, nonostante le tragedie e le ingiustizie della realtà sociale e politica del periodo, Waltzing with Brando risulta un’operazione strampalata e autocelebrativa – almeno per Zane – a tal punto, da condurre rapidamente lo spettatore alla noia. O peggio, alla speranza che questo farsi beffe della vita, giunga presto a conclusione, realizzando poi che così non è, considerata la durata.

Non è chiaro come Zane abbia convinto Fishman rispetto all’effettivo valore che un film come questo avrebbe potuto vedere. Avrebbe potuto infatti. Poiché Waltzing with Brando in definitiva non è altro che una lunga passerella, sulla quale Billy Zane striscia meticolosamente, nella speranza di riemergere dal dimenticatoio che da qualche anno a questa parte, sembra averlo spietatamente, oppure più che giustamente inghiottito, senza volerlo restituire a noi e al cinema. È vero, di recente abbiamo visto Marcello Mio, ma il confronto con il divo Mastroianni, pur condotto dalla figlia Chiara, non è mai in forma cinema e biopic, piuttosto surreale, onirica e grottesca.

Chi mai avrebbe potuto pensare di confrontarsi con il peso simbolico di Marlon Brando, se non un interprete alla fine dei suoi giorni, cui null’altro resta da fare se non: “sono bravo ad imitarlo, guardatemi, sono bravo”. È così, la somiglianza è tangibile. Ma ci ricorda una lunga gag non particolarmente riuscita dell’SNL, o peggio, uno spettacolo liceale generato da un grande impegno, cui sentiamo di dover rivolgere un lungo applauso. Sappiamo che non verrà replicato e ne siamo felici. Un vero peccato, si fa per dire.

Regia - 1.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 1.5
Recitazione - 1.5
Sonoro - 1.5
Emozione - 1.5

1.5