Nightbitch: recensione del film di Marielle Heller dal 42TFF

Guardando al percorso di mutazione donna/cane, Heller e Adams riflettono sul ruolo della maternità in relazione alla sensualità perduta e così alla libertà fin troppo a lungo minata da disequilibri matrimoniali soltanto apparenti e mai realmente discussi. Ingenuo, insicuro e vittima di una trasposizione letteraria inspiegabilmente appesantita. Se questo è il nuovo cinema femminista, è meglio rivolgere lo sguardo altrove. In anteprima al 42TFF

Posso rompere una noce con la mia vagina”. A pronunciare queste parole è l’ex artista concettuale, ormai mamma a tempo pieno (oltreché cagna nelle ore della notte e dell’oscurità selvaggia, d’altronde il film la offre su un piatto d’argento), interpretata da Amy Adams. Un passaggio che potrebbe rivelarsi sufficientemente accurato, rispetto alla riflessione sulla riuscita effettiva di Nightbitch.

Non è un horror, sembra essere Yates… per poi rivelarsi Harmony

Nightbitch: recensione del film di Marielle Heller dal 42TFF

Adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Rachel Yoder, immediatamente intercettato da Marielle Heller, precedentemente autrice di Copia Originale e Un amico straordinario. Guardando indietro infatti, Heller appare da sempre un’ottima regista di volti e corpi femminili e nella materia letteraria – e solo secondariamente in quella cinematografica – di Yoder, sembra aver ritrovato moltissimi degli istinti appartenuti ai suoi personaggi cardine, la cui femminilità non è mai messa in dubbio, piuttosto evidenziata e contraddistinta da un alone di mistero, anomalia e violenza. In anteprima italiana al 42TFF.

Venduto erroneamente come un horror, Nightbitch è di fatto un grottesco dramma matrimoniale, che soffermandosi sulla questione della maternità, vissuta qui un po’ come incubo e limite alla propria realizzazione emotiva, identitaria e professionale e un po’ come via salvifica per il raggiungimento della felicità, guarda alle anime letterarie di Richard Yates e Richard Ford, rispettivamente autori di celebri romanzi tra i quali Revolutionary Road e Incendi, almeno in prima battuta, sfociando poi verso la peggior letteratura Harmony di sempre, perdendosi senza più ritrovarsi.

Animato da un curioso respiro horror della primissima metà, nella quale Heller riscopre l’importanza definitiva del body horror Cronenberghiano e non soloThe Substance non casualmente, è il titolo più discusso e celebrato dell’anno – , Nightbitch racconta il graduale percorso di frammentazione di una giovane madre, che nel ricordare i bei vecchi tempi da artista riconosciuta, non può far altro che crollare di fronte all’isolamento, dunque alla solitudine imposta dalla sua nuova condizione di casalinga e madre single. Seppur un marito di tanto in tanto ci torni eccome da lei, interpretato notevolmente da Scoot McNairy, visto di recente in Speak No Evil di James Watkins, altra curiosa riflessione sulla messa in discussione della genitorialità e del rapporto spesso conflittuale e incompreso tra genitori e figli.

Come detto, un film che confuso sulla propria identità, ha inizio come fosse un horror, sfociando poi sempre più verso il dramma matrimoniale, facendosi dichiaratamente manifesto di un femminismo radicale – e tutto sommato ingenuo -, che nel ritorno alla natura, ritrova le radici vere e proprie dello spirito libero femminile, privo di limiti e confini, dunque folle, sregolato e selvaggio. Chi l’ha detto che il corpo femminile perde la propria sensualità se mutato dal logorio del ruolo materno? Lo stesso che al pari di una mutazione canina, trasforma lentamente e incessantemente il corpo della donna, donandogli nuove forme, istinti, percezioni sensoriali e doverose richieste di spazio nel quale esprimersi a fondo, senza limitazione alcuna.

Fino a qui nessuna traccia di ingenuità, né tantomeno di bizzarria. Se non fosse che al ritorno alla natura, si affianca presto il rifiuto del ruolo maschile, dunque paterno, osservato da Yoder e Heller come elemento superfluo, talvolta noioso e incomprensibile, se non addirittura inutile, recuperato in ultima battuta, poiché evidentemente chiave di un complesso discorso emotivo, identitario e sociale tutt’oggi da approfondire ed esplorare. Un discorso fino a qui parziale e scomposto, nonché associato spesso al peso della colpa e della mancanza di comprensione.

Nightbitch: valutazione e conclusione

L’evoluzione dello stesso Nightbitch lo conferma. Ogni colpa infatti, viene rapidamente attribuita alla figura spesso assente – eppure centrale, soprattutto in termini economici – del marito, padre e individuo, che nella mancata accettazione della libertà selvaggia e sregolata propria della vita canina, intrapresa da madre e figlio, sottolinea la propria estraneità all’amore universale, alla volontà di ampliare i confini di spirito e cuore, dunque ai profondi legami che definiscono ciò che la famiglia di fatto è, un branco legato dal sangue. Una riflessione estremamente fragile, che non casualmente conduce ad un finale tristemente prevedibile e ingenuo, che tutto sembra rincorrere, fuorché la ribellione femminile e identitaria fino a lì annunciata e gridata a gran voce. Viva l’ordine costituito. Viva l’accettazione dei ruoli per ciò che sempre sono stati.

Si pensi che sarebbe bastato un maggiore coraggio per raggiungere il centro della questione, affondando realmente sguardo e denti negli istinti più bassi, feroci e puri della bestia, così come di ogni uomo e donna. Un coraggio che Marielle Heller non sembra aver trovato, raschiando la superficie e il già detto di un cinema grottesco e strampalato, nonché fortemente indeciso sulla propria identità. Un po’ fa sorridere, un po’ fa sbadigliare, seppur in questo caso la causa, sia da attribuire totalmente alla presenza asfissiante di monologhi in voice over senz’altro funzionali tra le pagine di romanzo della Yoder, soffocanti invece nel cinema della Heller.

Un’occasione mancata, che potrebbe riservare però qualche sorpresa. Prima delle quali, il lavoro sul corpo femminile intrapreso da Heller e Adams. Dal logorio del ruolo materno – dunque la riflessione sulla sensualità perduta, dettata ancora una volta da fragili e personalissime convinzioni -, alla trasformazione in cane, da qui i numerosi capezzoli, il pelo e così via. Nightbitch tradisce il suo mandato. Non è ciò che dice di essere. Può essere interessante, ma anche spaventosamente soporifero. Dal grido di battaglia, al cane, che innocuo non smette d’abbaiare. Peccato!

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2