Nosferatu: recensione del film di Robert Eggers
La paura inganna i corpi e i desideri della mente. Eggers si spinge oltre e raramente abbiamo conosciuto un’idea di cinema horror così ferocemente carnale, spaventosa e cupa. Al cinema dal 1° gennaio
“Se vogliamo domare le ombre, prima dobbiamo accoglierle” suggerisce il Professor Albin Eberhart Von Franz, cui presta volto e corpo Willem Dafoe, in una scena chiave di Nosferatu, l’ultimo lungometraggio da regista di Robert Eggers. Precedentemente autore dei celebrati The Witch, The Lighthouse e The Northman, Eggers affida a queste parole il senso più totale del film. Poiché è lì che la riflessione del suo Nosferatu, trova la sintesi perfetta. Il male esiste, lo sappiamo. Ne percepiamo l’essenza e la presenza. Per osservarlo realmente però, dunque per sconfiggerlo, occorre indagare i nostri istinti più bassi e così le nostre oscurità, permettendo allo sguardo di penetrare a fondo, nella carne e nell’anima.
Nosferatu è al cinema a partire da mercoledì 1° gennaio 2025, distribuzione a cura di Universal Pictures Italia.
Il cinema horror non è mai stato così carnale. La paura inganna i corpi e i desideri della mente
Non c’è più spazio per l’usuale e tediosa lotta tra il bene e il male. Eggers e pochi altri, rincorrono instancabilmente un’idea di cinema nient’affatto consolatoria, cupa e capace di cogliere sfumature di maligno, perfino nell’apparente, armoniosa e dichiarata bontà, cui il cinema degli ultimi anni – e non solo – ci ha abituati a dare un solo nome. Eppure così non è. Nosferatu lo dimostra. Lode a Nosferatu.
Raccogliendo una volta per tutte, la complessiva e densa eredità letterario/cinematografico di Dracula e Nosferatu, Robert Eggers realizza con grande sorpresa il suo film più classico, rispettoso ed elegante. Scordate i manierismi e l’epica desiderata e malapena raggiunta di The Northman e così l’orrore atavico, onnipresente eppure fantasmatico di The Witch, che per quanto brutale, resta celato nell’ombra, pur possedendo bestie e non solo. L’autore è nudo e mette sé stesso a servizio di un impeccabile lavoro di intarsio, che nella coesistenza tra vecchio e nuovo immaginario, rintraccia una riflessione maligna, seducente e manipolatoria, sul male che gli uomini sono disposti ad accettare – e fare – pur di non essere più soli. Tanto rispetto a loro stessi, quanto all’amore.
Dall’evocazione, alla penetrazione. Mai prima d’ora il cinema horror si era interrogato così ferocemente e provocatoriamente sulla potenziale carica sessuale del male. Il quale pur essendo temuto, maledetto e cacciato dagli uomini, non può far altro che dialogare con i loro istinti e desideri più proibiti, oltreché ingenui. Annidandosi dunque nella mente e penetrando, o per meglio dire, violandone i corpi, talvolta vigli, altrimenti assenti. Da qui il terrore, quello vero. In questo senso, la Ellen Hutter di Lily-Rose Depp (a mani basse, la miglior prova di carriera. Capace di oscurare ogni altro interprete di Nosferatu ed Eggers sembra esserne consapevole), assume su di sé l’intero discorso. A sorpresa infatti, Nosferatu è molto più cinema di donne, anziché di uomini. Questi ultimi ben presto, svaniscono dietro le maschere. Primo tra tutti Bill Skarsgård, il cui Conte Orlok/Nosferatu ricorderà ai più cinefili, il tricheco Tusk di Kevin Smith. Seguito dagli efficaci Nicholas Hoult, Aaron Taylor-Johnson e Ralph Ineson. A condurre i giochi è sempre la Depp, guidata dall’abilità di sguardo e atmosfera, di un autore che non ha mai smesso di interessarsi ai corpi. Scoprendo qui la possibilità di sprofondare maggiormente i suoi personaggi e interpreti, in un vortice senza fine di oscurità, carnalità e apparente delirio.
Nosferatu: valutazione e conclusione
Eppure delirio non è. Il male che insidia in ogni senso, Ellen Hutter, Anna Harding (Emma Corrin) e così ogni altra anima di Wisborg, Germania, è concreto, visibile e insaziabile. Proprio perché ha a che fare con la forma più totale di manipolazione e sottomissione fisica e mentale (quella sessuale) e non con un semplice ed immediato fine oscuro da raggiungere. Non conta il patto stretto nell’innocenza e nella sua inevitabile perdita, conta piuttosto la sopravvivenza degli istinti e dei loro demoni, nella memoria degli uomini e delle donne. Dunque di ognuno di noi. Ecco perché la riflessione di Eggers rispetto alla carnalità della paura e dell’inganno dei corpi e dei desideri, è quanto di più atipico, coraggioso e unico possa esserci oggi nel cinema horror.
Non vi è più la rincorsa dell’epica e nemmeno la necessità di raccontare il male come fenomeno astratto, onnipresente e multiforme. Qui infatti ha un nome, Nosferatu e così la concretezza degradata di un volto e corpo definito, elaborato e temuto, che attraverso il ribrezzo e le logiche proprie del body horror Cronenberghiano – recentemente rielaborate dalla Coralie Fargeat di The Substance -, ci racconta qualcosa di interessante, angosciante e cupo, a proposito del male che siamo soliti ignorare. Quello puramente di fame e desiderio. Irrefrenabile, insaziabile e disposto a tutto pur di essere soddisfatto, perfino al sacrificio dell’amore.
Il male non è più il mostro che indossa la maschera. Né tantomeno l’uomo folle, piuttosto noi stessi. Non tutti questo è chiaro, ma alcuni, capaci talvolta di plagiarne molti altri. Ecco la diffusione, ecco la manipolazione che poi penetra, sfamandosi fino alla morte. Il Professor Von Franz di Dafoe, sottilmente lo dichiara tra le righe. Eggers invece non va per la leggera. Visivamente maestoso e narrativamente impavido, Nosferatu è tutto ciò che stavamo aspettando. Una spaventosa e spietata indagine sulla carnalità e gli istinti più proibiti e innominabili di ogni uomo e ogni donna. Non importa ciò che sei, ciò che importa è che l’hai evocato e “lui sta venendo a prenderti”.