M – Il Figlio del Secolo: il linguaggio del Duce tra sesso, caos e Futurismo

Una considerazione sul linguaggio e sulla comunicazione, quella messa in atto da Benito Mussolini e quella, soprattutto, adoperata nella serie TV. ATTENZIONE: potrebbero esserci spoiler sulla serie TV.

Serviva un regista britannico come Joe Wright per andare sotto la pelle degli italiani, per raccontare il Ventennio fascista e traslitterare sul piccolo schermo l’ascesa di Benito Mussolini, interpretato da Luca Marinelli in M – Il figlio del secolo, su Sky e NOW dal 10 gennaio 2025.
Una serie TV che fa tante cose e molte fatte a pennello. Se la più evidente è certamente la rottura della quarta parete, che permette ai personaggi di forare lo schermo e parlarci a tu per tu, confidarci i loro più intimi e infimi pensieri, dall’altra riesce a innescare una rete artistica che è l’essenza stessa di un pensiero. Un pensiero che rimbomba come mantra e persecuzione.
Chi erano i fascisti? Da dove derivano le loro idee? E chi era davvero Benito Mussolini? I nostalgici diranno che “ha fatto anche cose buone”, chi conosce la storia e la guarda con obiettività, invece, si renderà conto (se non l’ha già fatto) di quanto quel governo fosse violento, dispotico, incapace; di quanto fosse caotico e indefinito Benito Mussolini, il quale sembra prendere consapevolezza di cosa sia il davvero fascismo nell’episodio finale della prima stagione: è la volontà di pochi che si impone sulla volontà di molti, è sopraffazione, è arbitrio, è la legge del più forte, è odio, è eccitazione della massa, è rabbia, è il disprezzo della debolezza, del dubbio, è la legge del bastone contro il caos della mente, è decisione contro mediazione, è rifiuto del compromesso, è il nuovo contro il vecchio. È essere sempre, sempre, contro qualcosa o qualcuno. E chi si mette di traverso… questo è il fascismo.”.

La serie, sceneggiata da Stefano Bises, Davide Serino e dallo stesso Antonio Scurati, autore dell’omonimo libro da cui è tratta M – Il figlio del secolo, gioca molto sul linguaggio, scandendo bene l’uso delle parole: scritte, stampate, pronunciate in pubblico, dette sottovoce in una stanza semivuota, sussurrate, manipolate, svuotate, sottratte al loro naturale destino. Le parole, lo dice lo stesso Mussolini, sono un’arma. E non è un caso se l’ascesa politica di Mussolini si inerpica alla fondazione (dopo aver lasciato la direzione dell’Avanti!) del quotidiano Il Popolo d’Italia, nato nel 1914 con l’intento iniziale di dare voce all’area interventista del Partito Socialista Italiano d’ispirazione repubblicana.
Non è un caso neanche se la serie lascia che sia una matita rossa a impersonare simbolicamente Giacomo Matteotti: uno dei più abili e ostinati avversari del fascismo viene rapito e ucciso dagli uomini di Mussolini e, se la storia ce lo anticipa, la serie TV ce lo conferma attraverso una matita spezzata immediatamente dopo il fatale discorso. La stessa matita che il Duce tempera, affilandone la punta come se fosse un coltello, usandola per scrivere il suo discorso, quello con cui si assumerà la colpa del delitto Matteotti.

Benito Mussolini: il maestro, il giornalista, il rivoluzionario, il fascista

È allora doveroso, prima di ogni cosa, delineare quel legame profondo che persiste tra il Duce e l’uso della parola, della filosofia, delle idee perché, prima di essere un despota, Benito Amilcare Andrea Mussolini era un maestro e un giornalista ma, nella sua fedina penale, fin dalla tenera età, non mancano aggressioni fisiche ai compagni, periodi di detenzione, fughe per evitare la leva militare e confusione, tanta. Il caos più assoluto tra chi voleva essere e chi era, tra chi avrebbe potuto essere e chi alla fine è diventato. Il percorso formativo di Mussolini, il suo temperamento, le idee contro la guerra (negli anni in cui Giolitti aveva intrapreso il conflitto contro l’impero ottomano per il possesso della Tripolitania e della Cirenaica) e anche le considerazioni espresse sulle idee di Friedrich Nietzsche (ne è testimone un articolo dal titolo La filosofia della forza), il rapporto ambiguo con Gabriele D’Annunzio e le “ruberie” fatte al Futurismo sono solo alcuni dei frammenti che vanno a delineare i contorni di una personalità sovversiva, inquieta, infedele (alle donne, agli ideali, a se stesso).

Mai fidarsi di un traditore!

M – Il figlio del secolo usa la rottura della quarta parete per andare oltre la patina di Mussolini, per farcelo scorgere per l’uomo che è stato. A qualcuno piacerebbe dire che la sua essenza umana era in contrasto netto col politico che il mondo conosce, ma la verità è che sotto la maschera altro non c’è se non un uomo egoista, capace di amare solo se stesso, disposto a tutto pur di comandare; e il tutto, si sa, si esprime soprattutto nelle azioni violente degli squadristi, nei pestaggi, nelle torture, nelle donne messe a tacere dentro i manicomi (il riferimento specifico è a Ida Dalser, madre di Benito Albino Dalser, a cui Marco Bellocchio ha dedicato il film Vincere) nella corruzione dei politici e nella loro uccisione (il delitto Matteotti ne è l’esempio più celebre).
Sotto la maschera del duce ci sono altre maschere e tutte alquanto orrende. La serie Sky Original gliele toglie di dosso una a una e nel farlo non dimentica di intrecciare gli eventi storici con i percorsi culturali che alle volte tendiamo a dimenticare, facendoci notare come la potenza delle idee spesso basta a incantare buona parte di una Nazione intera e a trascinare a sé la folla. Ci ricorda, altresì, che certe idee, nella mani sbagliate, possono essere travisate, perdere la trebisonda e fare male.

Benito Mussolini e Gabriele D’Annunzio: “uccidere il padre”

Per sottolineare questo concetto M pone l’attenzione sul contrasto tra Benito Mussolini e Gabriele D’Annunzio. Il Vate (qui interpretato da Paolo Pierobon), che per certi versi potrebbe essere considerato il più ardito antagonista di Mussolini, coesiste nella parte iniziale della narrazione insieme al personaggio di Marinelli. Il Superuomo che aveva dato al malcontento degli italiani, dopo la Prima Guerra Mondiale, l’enfatico nome di “vittoria mutilata”, coinvolgendo un paio di centinaia di legionari a unirsi a lui nell’impresa di Fiume, si impone nella narrazione seriale per ciò che è stato: ispiratore di un’idea nuova, appetibile, patriottica. Lui che aveva travisato l’autentico significato di “Übermensch” nietzschiano (letteralmente “Oltreuomo“) per convertirlo in “Superuomo“, fu a sua volta sedotto, derubato e abbandonato da Benito Mussolini.
“Mio caro compagno, il dado è tratto. Parto ora. Domattina prenderò Fiume con le armi. Il Dio d’Italia ci assista. Mi levo dal letto febbricitante. Ma non è possibile differire. Anche una volta lo spirito domerà la carne miserabile… Sostenete la Causa vigorosamente, durante il conflitto. Vi abbraccio.”, così scriveva D’Annunzio a Mussolini l’11 settembre del 1919; una frase che viene riportata all’interno di M – Il figlio del secolo, insieme a molte altre celebri che vanno a scandire il rapporto che intercorreva tra il poeta e il politico.

Mussolini soffre l’eroismo di D’Annunzio, lo teme! Il fatto che il Superuomo abbia avuto il coraggio di lanciarsi in un’impresa del genere, mettendo in piedi un esercito fedele e via via più nutrito lo manda letteralmente in crisi e gli fa comprendere l’urgenza di eliminare il Vate, di metterlo a tacere prima che sia troppo tardi e che prenda il suo posto. Il futuro Duce ammira il poeta, conosce e riconosce la grandezza della “Costituzione di Fiume” (la Carta del Carnaro, scritta da Alceste de Ambris e rielaborata, solo nella forma, da D’Annunzio) e allo stesso tempo sa che supportarlo è un rischio e che “un uomo, per diventare un uomo, deve uccidere il padre”.
Sappiamo bene che Mussolini ucciderà D’Annunzio, ma non fisicamente. Lo annienterà mandando in fumo la sua impresa e poi pian piano relegandolo ai margini, presso il Vittoriale, controllandolo e riempiendolo di onori, mettendo sempre in atto un modus operandi poco limpido, atto a neutralizzarlo. Basti pensare (questo la serie non lo dice) che Mussolini anticipa la marcia su Roma (28 ottobre del 1922) per evitare che un’altra manifestazione in cui era prevista la presenza di D’Annunzio vada a intaccarne la buona riuscita; invia lettere per ammonire il poeta, per sottolinearne la sua importanza e quindi spegnere l’eventuale risentimento che certamente sapeva di meritare.

Mussolini comprende quanto nutrite frange di giovani interventisti adulino il Vate e che la sua adesione al regime può essere un valore aggiunto. La sua invidia, d’altro canto, è quanto la serie di Joe Wright più violentemente ci restituisce: il suo coraggio (il volo per mezzo dell’aeroplano, su cui torneremo, viene elogiato, quasi per imitazione, anche dal Duce), il modo in cui riesce a usare le parole, persino quell’alta considerazione per il suo pene, che M – Il figlio del secolo preferisce lasciar pronunciare a un’immagine di D’Annunzio in biancheria intima, con le esternazioni di ironica incredulità da parte del personaggio di Luca Marinelli in sottofondo.
Per tirare largamente le somme di questo ambiguo rapporto di cara inimicizia e del modo in cui la sceneggiatura se ne serve, potremmo dire che M – Il figlio del secolo riesce benissimo a farci cascare direttamente dentro le conversazioni tra questi due personaggi e a farci intendere quanto possa essere prezioso, al fine del raggiungimento di un obiettivo, usare (e usurpare) le parole.

Il Futurismo di Marinetti in M – Il figlio del secolo

Il legame che interseca l’ascesa del fascismo alla letteratura, tuttavia, non si esprime solo nella presenza di Gabriele D’Annunzio, bensì anche e soprattutto nell’introduzione, all’interno della sceneggiatura di M – Il figlio del secolo, di estratti tratti dal Bombardamento di Adrianopoli di Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del Futurismo, nonché autore dell’iconico Manifesto Futurista (1909). La distruzione della sintassi, l’uso dei verbi all’infinito, l’introduzione di rumori atti a manifestare il dinamismo degli oggetti (“ta ta tata giii tumb giii tumb ZZZANG TUMB TUMB”) fanno da cornice a quei sentimenti che animavano molti giovani dell’epoca, invaghiti dalla rivoluzione, dalla guerra intesa come “sola igiene del mondo”, della velocità interpretata come rottura col passato, pienamente espressa da tutte quelle innovazioni che hanno caratterizzato il periodo della Belle Époque, una su tutte l’aeroplano, la cui potenza simbolica, dal punto di vista letterario, arriva a superare e sostituire il ruolo che di solito spetta alle donne. Lo stesso fascino attraversa la serie Sky nelle scene in cui Mussolini si libra euforicamente in cielo.
La sceneggiatura di Stefano Bises e Davide Serino compie l’ardita impresa di intarsiare la letteratura nuda e cruda con i dialoghi e gli eventi narrati, dando ulteriore potere alla parola e delineando altresì lo scenario culturale che per certi versi ha foraggiato l’avvento del fascismo.

Nei termini della comunicazione – verbale e non – che la sceneggiatura mette in atto, c’è un altro dettaglio che non va dimenticato né trascurato, poiché è la cifra più animalesca dell’uomo Benito Mussolini. Come dicevamo in apertura, M – Il figlio del secolo ci fa scorgere i vari volti del Duce e tra questi si palesa apertamente la maschera del traditore. Mussolini, come la storia ci insegna, rinnega le sue idee per amore del potere e nel farlo rinnega inevitabilmente se stesso. Non sarebbe poi così grave, né potremmo dire che sarebbe stato meglio, semplicemente tale atteggiamento ci fa intendere meglio la labilità degli ideali, il piegarsi a una sete di potere, concepibile solo col piegamento forzato dell’altro. Va detto, a tal proposito, che l’ascesa di Mussolini non sarebbe avvenuta in un Paese retto e in grado di non cedere ai ricatti, in un Paese politicamente e socialmente sano, totalmente in grado di comprendere il significato autentico della parola “libertà” e riuscire a difenderlo. Ma cos’è in fondo la libertà? In uno degli episodi della serie TV anche Luca Marinelli se lo domanda durante una seduta in Parlamento. “È una categoria filosofico morale.” – dice – Ci sono le liberà, ma LA libertà non è mai esistita!”. E poi continua dicendo: “Io non sono, signori, il despota che sta chiuso in un castello […] io giro tra il popolo senza preoccupazione di sorta e lo ascolto! Ebbene, il popolo italiano, fino a questo momento, non chiede libertà. Toglieteci dalle baracche, dateci l’acqua […], la malaria ci uccide… Nessuno mi parla di libertà, statuto, costituzione. Nessuno, nessuno!”.

Dio, patria, famiglia: i tre inganni di Mussolini

È superfluo soffermarci su tutte quelle limitazioni della libertà che il fascismo ha messo in atto poiché, nel proseguire la disquisizione inerente la comunicazione adoperata all’interno di M, è interessante soffermarsi anche sul ruolo che viene conferito alla rappresentazione del sesso.
Se la triade “Dio, patria, famiglia” rappresenta infatti la roccaforte apparente del pensiero mussoliniano, all’atto pratico Benito Mussolini è un uomo che rinnega la religione – anche nella serie è inserita la provocazione a Dio: “Signore fulminami adesso, ti do solo un minuto” -, non ha rispetto per la patria né per la famiglia. Quest’ultima verità la si evince dal cospicuo numero di amanti, nonché dal trattamento che Mussolini riserva a Ida Dalser, che lo aveva mantenuto e aveva creduto in lui quando non era davvero nessuno, e al figlio avuto da lei. Donna Rachele (interpretata nella serie da Benedetta Cimatti) è la moglie perfetta a mantenere intatte le apparenze, è colei che il Duce sposa legalmente, la stessa che subisce i tradimenti del marito, soprattutto quelli ch’egli consuma con Margherita Sarfatti (interpretata da Barbara Chichiarelli).

Luca Marinelli e le scene di sesso in M – Il Figlio del secolo: linguaggio animalesco e volontà di potenza

La Sarfatti, critica d’arte dalla raffinata penna e intelligenza, stringe col Duce un rapporto che va oltre la passione, fungendo da consigliera di Mussolini. Tuttavia anche lei sembra concepire l’urgenza, a un certo punto (e nella realtà le cose saranno molto più travagliate) di allontanarsene, sottolineando – almeno nella narrazione seriale – la mancata partecipazione delle donne alla vita politica. C’è infatti una scena in cui Mussolini la implora di restare in vista delle elezioni e lei lo zittisce dicendo “le donne non votano” e dispensandogli gli ultimi preziosi consigli.
In M – Il figlio del secolo le scene di passione tra i due sono molteplici ma ce n’è una, in particolare, dalla quale trasuda tutta la carica animalesca del futuro Duce. Luca Marinelli è ripreso dal basso durante l’atto sessuale, cosicché si intuisca la sua volontà di dominio, amplificata da suoni quanto più simili a quelli di un bovino.

Scene come questa, tuttavia, mostrano rapporti consenzienti, ma lo stesso non si può dire per il “battesimo” (come lo definisce Cesare Rossi, interpretato da Francesco Russo) della sua nuova segretaria: la giovane donna (Bianca Ceccato, interpretata da Cosima Centurioni) viene chiamata nell’ufficio di Mussolini e violentata, in una scena che la vede schiacciata contro la porta di vetro e poi riversa con le cosce scoperte, in un’inquadratura senza dignità in cui regia e sceneggiatura usano soprattutto il linguaggio delle immagini per delineare la bassezza dell’uomo Benito Mussolini. Un uso – del corpo di lei, s’intende – che il Duce richiederà anche dopo, come se fosse un oggetto.

I suoni animaleschi e rombanti di certe scene attanagliano anche altri momenti della serie, tra cui quello in cui gli squadristi festeggiano il Duce cantando canzoni come Giovinezza.
L’allusione al sesso, poi, appare anche in altri frangenti, come nel dialogo tra Cesarino e Benito in cui quest’ultimo dice, a proposito di Don Luigi Sturzo, che vorrebbe farlo “sodomizzare”.
In tutte queste eccezioni il sesso scivola dall’essere un semplice mezzo di piacere per divenire un mezzo di potere, nonché per spogliare il protagonista del perbenismo che a stento riesce a mantenere in pubblico. Sotto le maschere, oltre la politica, M – Il figlio del secolo ci restituisce il ritratto di un uomo che è stato in grado di pronunciare tante belle parole ma poi, spesso, non ha avuto il coraggio di mantenerle, non ha avuto la forza di essere fedele a se stesso. Come può, un uomo che non ha neanche il coraggio di guardarsi davvero allo specchio, governare un Paese? La risposta è che non può. E infatti Mussolini il Paese non l’ha governato (se per governare intendiamo il senso più profondo di guidare, anche moralmente e spiritualmente), l’ha costretto a obbedire, l’ha costretto in vari modi ad adularlo e ad amarlo (lui, che era ossessionato da “quel concetto infantile di essere amato da tutti”, come gli rimprovera la Sarfatti). L’Italia è stata vittima di un uomo attanagliato dal senso di impotenza, miope dinnanzi alle cose realmente importanti della vita, incapace di dialogare, capace solo a dare (poco) o a togliere (tutto). Un uomo che è un traditore. E dei traditori, si sa, non ci si può fidare.

E infine, silenzio!

Per chiudere il cerchio della comunicabilità nella serie Sky, è interessante notare come l’ultima parola dell’ultimo episodio della prima stagione di M – Il figlio del secolo, pronunciata dal Duce di Luca Marinelli, sia “Silenzio”: una mancata opposizione, o forse un modo sottilmente ironico per dire che non ci sono parole?