Lucia Mascino parla dei Delitti del Barlume 12 e di come “tutto nutre tutto”

I Delitti del Barlume 12 è su Sky dal 13 gennaio 2025 con i nuovi episodi. La serie TV targata Palomar e Sky Original che vede nel cast fin dall’inizio, nonostante i numerosi nuovi arrivi nel corso dei tanti anni di produzione, la presenza di Lucia Mascino, interprete della volitiva Vittoria Fusco, commissario tutto d’un pezzo del paese immaginario di Pineta, che indaga sui vari casi insieme al proprietario del Barlume, il Viviani di Filippo Timi.
Noi di Cinematographe.it l’abbiamo intervista a proposito di questa nuova stagione, ma non solo.

I Delitti del Barlume è un po’ un unicum nella serialità italiana. Prima di tutto perché 12 stagioni non sono poche, e poi anche perché col tempo ha assunto una fissione particolare, con trame orizzontali che proseguono da puntata a puntata e quindi di anno in anno, addirittura sovrastando i casi del singolo episodio.
“Sì, è vero che ci siamo resi conto che è davvero un caso unico. In parte anche perché è un insieme di stili. C’è una fiducia, una fidelizzazione del pubblico che quindi conosce le relazioni che ci sono, perché che le relazioni prevalgono sulla storia. Per cui è un racconto di rapporti più che di eventi, poi gli eventi servono per sviluppare i rapporti: è un racconto affettuoso, perché poi sono tutti po’ dei poveri cristi, nel senso che dal più cattivo, dall’assassino, alla vittima, non sai per chi avere più pena.
Questo viene dal fatto che Roan (Jhonson, showrunner della serie, regista e sceneggiatore) ha messo dentro -che è proprio la cifra costante di questi anni- dei personaggi scrivendoli con una incredibile tenerezza. Se ci pensi, infatti, non ci sono dei cattivi veri. Forse solo raramente, e quando ci sono diventano caricature senza nome come il Siberiano, ferocissimo… che se ci pensi però in qualche modo fa tenerezza anche lui, nell’essere così estremo, e quindi è un unico me per questo.

Per Lucia Mascino I Delitti del Barlume è “un’esplosione”

“Per me il Barlume è un’esplosione: io sono molto fiera di essere un commissario della polizia, perché è come se fosse generato un tipo di personaggio che non c’era prima, adesso io parlo un attimo per me e poi mi parlo di nuovo della serie, è un personaggio che non esisteva. Perché esisteva magari la bionda, o la poliziotta, eccetera, ma non esisteva l’insieme con questo stile brillante: ma attenzione, non comico, ma brillante. Da questo punto di vista è stato anche un po’ e è tuttora un serial senza altri esempi, e secondo me questa è una grande qualità della serie, forse anche motivo per cui dura da così tanto, perché è sfrenata: è sfrenata con leggerezza, perché poi non ha la pretesa di raccontare le parti più complesse dell’animo umano“.

Però è sempre molto poco citata, stranamente, e se mi permetti anche un po’ sottovalutata soprattutto se si guarda ai risultati di ascolto e gradimento.
“Si, è vero, è vero, forse perché è iniziata prima dell’ondata di moda delle serie. È partita prima, 12 anni fa quasi 13, e quando è iniziata non era il tempo in cui le serie andavano così di moda. Invece, nel momento in cui sono andate di moda, esisteva già e quindi probabilmente non è riuscita ad acchiappare quel momento, o che ne so. È come se sia sfuggita, sta un po’ tra le righe, ma nello stesso tempo ha un grandissimo pubblico perché poi non c’è posto dove vado in cui non ci sia affetto per il Barlume. Principalmente affetto.”

Anche perché andare avanti per 13 anni, come si diceva, all’inizio non è facile, quindi un pochettino va da sé, perché ormai ha un successo consolidato e non ha bisogno di promozione.
“Sì, esatto, e questo da un lato è un pregio perché forse essere un po’ “nascosti” ci permette questa lunga vita senza passare mai di moda. E invece noi rimaniamo discreti, come dire, rimaniamo discreti e c’è solo affetto per il Barlume.
Poi, è difficile mettere insieme le ombrosità malinconiche di Filippo Timi, la genialità di Corrado Guzzanti, il nichilismo anarchico di Michele Di Mauro, l’ironia di Stefano Fresi… insieme alla bravura incredibile di tutti gli altri attori e gli autori. Che poi mi è capitata una volta che un autore del film Una Pallottola Spuntata (adesso non mi ricordo il nome…), mi ha incontrata e ci ha riempito di complimenti! È un fan del Barlume, e allora ho pensato che la vita è assurda, ma come è possibile, è fantastico…”

Ci sono tanti stili dentro, però in qualche modo stanno insieme, anche perché, essendo relativamente nascosta, sembra che sia anche abbastanza anarchica e libera per i temi trattati, perché poi anche nello sviluppo dei personaggi non c’è una linea già usata. Mi ricordo anche quando verso la quinta stagione il personaggio principale, impersonato ovviamente da Timi, scomparve: è stato un capovolgimento non da poco per un canale relativamente generalista come Sky Uno, perché in genere il personaggio principale è sempre presente.

Il cast vive in una dimensione realmente rutilante, e anche questo penso sia stato possibile anche grazie alle tante sfaccettature della scrittura che sia gli attori che il cast danno ai personaggi. Scorrendo i nomi, poi, faccio solo ora caso al fatto che gli attori principali vengono tutti dal teatro: lei e Timi, ma anche Fresi, Di Mauro, Alessandro Benvenuti, Corrado Guzzanti…
“Sì, sì, assolutamente. Guarda, è vero, se c’è un termine giusto per la serie è anarchico. Ed è anarchico un po’ perché durando tanti anni ha beccato anche la nostra vita e quindi l’ha accompagnata: in questo voglio fare un complimento proprio sincero anche a Roan, ma non solo lui anche a Milena Cocotta, che fa la co-regista, ma anche a tutti gli autori del Barlume. Devo dire che una cosa è che questa energia come hai detto tu rutilante viene anche da lì, perché quando, per esempio, c’è stato il Covid, e i set si erano fermati e noi guardavamo in tv le puntate con nostalgia, ad un certo punto, Rohan ci ha chiamato dicendo che avremmo girato lo stesso quell’anno, anche scrivendo, recitando e dirigendo da casa e a casa!

Si, infatti siete anche riusciti poi benissimo (perché i set hanno riaperto) ad innestare il Covid nelle trame di stagione. Abbiamo parlato di teatro: viene da chiedersi come lei faccia a dormire, visto che oltre il set del Barlume e quelli di cinema -attualmente è in sala con il film Terapia di Gruppo di Alessandro Genovese- lei è presente in teatro. Addirittura, in questo periodo porta tre spettacoli contemporaneamente in giro… C’è Amleto2, Il Sen(n)o e Smarrimento
“Per la prima volta, nella mia vita, ho fatto quattro spettacoli presenti ora tutti a Roma! Che non era mai capitato, cioè non sempre si viene a Roma durante le turneè, invece è successo. La memoria è un muscolo, come si dice sempre, e poi non li faccio negli stessi giorni, ma non è tanto per un discorso di memoria ma di mondi in cui affondi. Nel momento in cui sei in un mondo, non ti ricordi quasi di che tipo è l’altro: quando sono a ridosso dell’altro spettacolo ci metto un po’ di giorni per rientrare nel personaggio, perché il problema non è solo anzi non è quasi mai la memoria, ma è la testa, l’emozione.”

Lucia Mascino sulla serie TV Sky: “il Barlume nutre il teatro, il teatro nutre il Barlume”

“Questi tre spettacoli poi hanno delle atmosfere competente differenti, sono molto differenti tra di loro: nell’Amleto, che stiamo facendo in questi giorni all’Ambra, proprio fino al 12 di gennaio, è esplosivo, vitalissimo, una fiume di energia proprio esplosivo. Io faccio tre personaggi, tutti e tre belli carichi: e durante il giorno poi mi riposo, perché veramente faccio la centometrista. Sono tre personaggi tesi, fortissimi, anche molto diversi anche tra loro.

Però sai che c’è? Penso che alla fine tutto nutre tutto, cioè il Barlume nutre il teatro, il teatro nutre il Barlume, perché ogni cosa un po’ ha qualcosa dell’’altra, secondo me. Non credo sia un difetto, per un attore, quando si arriva da un’esperienza poi rapportarsi anche nell’altra: quando di anno in anno ci ritroviamo sul set della serie, ognuno di noi ha una velatura di quello che ci era successo durante l’anno.
Poi io non avrei mai pensato di recitare un personaggio così deciso e forte come quello del commissario Fusco, perché nella vita sono la persona più indecisa della terra, condivido con lei solo il grande senso di giustizia ma non il resto non ho quel carattere volitivo. Ma mi avevi chiesto del teatro… Smarrimento ha avuto due anni di blocco per il covid, poi è ripartito tre anni fa.

Lo smarrimento è partito. Quest’anno faccio pochissime date: sono stata due volte a Roma e due volte a Napoli. Ci sono date in giro, ma è un monologo che ormai ho inglobato nel mio corpo ed è stata una grande grande occasione per me, in parte anche un po’ una rinascita per scoprire un altro mondo: in Smarrimento devo parlare spesso molto piano, quasi sottovoce, pianissimo, ho imparato a lavorare e recitare in sottrazione, con una porzione di energia molto piccola.
È stato proprio una bella scoperta, cioè ho scoperto tanto. E invece Il Sen(n)o è il monologo di quest’anno, quello che porto in giro, ed è di Serena Sinigaglia. È serissimo, qua non si ride per niente, a parte due o tre occasioni in cui al pubblico posso strappare al massimo una risatina. Tutto il resto è molto denso e molto serio: ma ti devo dire che anche per me, anche in questo senso, cambiare completamente paesaggi o atmosfere, è un po’ una necessità ogni tanto.”

Lucia Mascino e la chimica con Filippo Timi

“Invece quello che faccio con Filippo da un po’ di anni è un Amleto pop, dove rimangono dei brandelli della tragedia originale perché è completamente bombardato di contemporaneità. Sì, c’è molto di Filippo in questo, è stato il primo spettacolo che ha fatto come regista. Noi lavoravamo già insieme da 10 anni, o forse più, come attori o colleghi, con un altro regista. Dopodiché lui ha formato questo gruppo per fare il suo primo spettacolo, quindi anni fa prima di lavorare insieme al Barlume. Ma guarda, noi lavoriamo insieme da 27 anni.

Una vita, insomma…
“Si, sembra da tutta la vita, cioè da sempre. Noi ci siamo sfiorati durante il nostro percorso formativo, ci siamo incontrati (io arrivavo un anno dopo di lui) al Centro Sperimentale. Poi ci siamo incontrati -tipo l’anno dopo- in un centro sociale di Bologna, dove un regista allestiva uno spettacolo. Quindi ci conosciamo da quando avevamo venti anni, lavorando a volte insieme a volte no.

Ognuno ha fatto le sue esperienze completamente diverse ma quell’incontro è rimasto: forse come un’appartenenza, da qualche parte, come un calore. Anche perché comunque quando cresci insieme impari un linguaggio, e noi crescendo insieme abbiamo imparato insieme un linguaggio che si è contagiato a vicenda.
Per esempio ci sono delle volte in cui durante i nostri spettacoli a teatro, se c’è un silenzio troppo lungo, in una scena nella quale un terzo attore non dice la battuta, noi all’unisono diciamo: “eh”. Ma è perché sentiamo e viviamo le cose nello stesso modo, sappiamo che in quel momento anderebbe detto qualcosa e ci guardiamo perché ci rendiamo conto che non abbiamo resistito a questo silenzio, perché per noi lì andava detto qualcosa.
Chiaramente questa chimica tra noi due non so più se è naturale, istintiva, o viene dal fatto che lavoriamo insieme da così tanti anni…”

Il palco lega molto di più rispetto al set.
“Mah, guarda, principalmente è una questione anche di tempo: nel senso che è di situazione, a teatro il lavoro dura più tempo. In un film, quando fai un protagonista, fai 25 giorni, 30 al massimo. Invece quando fai uno spettacolo la turneè dura almeno 70, 80 giorni, quindi proprio il tempo passato insieme è maggiore. E poi, c’è un carico emotivo diverso.”

A teatro si lavora più con il corpo, è un peso differente…
“Sicuramente un lavoro sull’attore diverso. Anche se però sai, ti dico che io ho una grande passione per il lavoro cinematografico, perché in realtà l’attore cinematografico permette di lasciarsi guardare. È un tipo di recitazione più immersivo, mi piace molto questo fatto che quando tu guardi un attore del cinema sembra che lo vedi nei suoi occhi, se è bravo.
Non conta quanto spingi la voce, quanto dai intonazione… importa quello che hai negli occhi. Credo che la recitazione cinematografica sia un balsamo per un attore. Nel teatro, permettimi, siamo dei servitori di battute, cioè, al cinema devi essere per forza attraversato perché se non lo sei, non c’è niente altro che appare.
Anche se la gente pensa che il cinema è più facile perché si ripete la battuta con il ciak… si, ma non sa che è tutta un altro tipo di esperienza, magari hai fatto la più bella scena della tua vita ma devi ripeterla perché c’è una porta aperta sullo sfondo.”

Lei ha lavorato tantissimo sui set, con i registi più disparati, nei film più diversi, da Mazzacurati ad Aldo Giovanni & Giacomo…

“Sì, l’esperienza è molto varia. Forse negli ultimi anni però sai? Il cinema mi sta mancando un po’, perché è vero che ne ho fatto tanto e vario, però sento che avrei proprio voglia di un’esperienza forte, di un lavorare con un regista in un ruolo che tenga insieme il tragico e il comico, di un film grande e importante come è stato quello con la Comencini. Sento che è proprio arrivato il tempo“.

Quando penso ai registi, mi viene in mente Giuseppe Piccioni: è uno dei registi italiani più importanti e più intensi. E secondo me, oltre ad una incredibile bravura, condividete lo stesso sguardo dolcemente malinconico. Giuseppe ha diretto cose bellissime, e avete fatto, insieme anche a Filippo Timi, Promenade De Santè, uno spettacolo da cui poi è nato anche un corto/documentario…  
Allora, te lo posso dire? Sono anni che glielo dico, mi piacerebbe tantissimo tornare a lavorare con Giuseppe. Penso che gli attori fioriscano veramente nelle occasioni: io sono rimasta talmente colpita dalla sua bravura nel dirigere gli attori perché non ho mai visto un regista così bravo.”